
Probabilmente la nostra generazione – e con buona probabilità anche quella dei nostri figli – è data per spacciata: condannata a una cementificazione selvaggia in nome della “cura del ferro”, ovvero binari al posto del verde urbano.
Una certezza che ci arriva proprio mentre l’esimio neuroscienziato-green, guru dell’amministrazione fiorentina, eletto a testimonial del “piano del verde”, pontifica sulla necessità di piantare alberi su alberi per salvarci dall’apocalisse climatica.
Salvo poi specificare che il 58% di noi è composto da “coglioni” che non sanno nemmeno leggere. (e allora perché scrive libri, verrebbe da chiedere?).
Nel frattempo, l’amministrazione continua imperterrita con il suo albericidio.
Dopo la desertificazione del lungarno Colombo – dove, in nome della tramvia, è stata creata una nuova, rovente isola di calore – ecco servito un altro scempio urbanistico dell’estate 2025.
Stavolta tocca al ponte San Niccolò, dove prende forma l’ennesimo mostro di cemento.
Un manufatto che non solo deturpa uno dei panorami più belli della città, ma che sorge in una zona notoriamente pericolosa: è un alveo fluviale, ma tant’è.
Dovrebbe diventare la futura centralina della tramvia (articolo qui), anche se non si capisce bene come sia stato anche solo pensato di costruirla lì.
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E non finisce qui. Come se non bastasse aver asfaltato con cura certosina il sentiero in terra battuta del giardino Caponnetto, adesso – nel silenzio generale – si è abbattuto anche un altro grande albero: una bellissima magnolia, “colpevole” di intralciare l'orripilante manufatto.
Forse i nostri pronipoti, un giorno, leggeranno nei libri di storia degli “ruggenti anni Venti fiorentini” del Duemila,
Quelli in cui a Firenze la prima sindaca della sua storia si vantava di aver piantato 50.000 alberi.
Una foresta meravigliosa e rigogliosa, sorta sulle ceneri di case demolite e residenti sterminati dal precedente albericidio progressista.