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Salvatore Calleri: "le mafie ancora più pericolose dopo il Covid"

Presentato l'annuale rapporto della Fondazione Caponnetto. Scenari foschi nella Toscana post pandemia

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Il rapporto antimafia Toscana 2020 Il rapporto antimafia Toscana 2020 © 3D Animation Production Company da Pixabay
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Subdola, agguerrita, in colletto bianco e pronta ad aiutare tutti coloro che la pandemia ha messo in ginocchio. E' una mafia evoluta e per certi versi nuova quella che sta cercando d'impossessarsi anche dei nostri territori.

E' un Salvatore Calleri più accorato che mai quello che ieri, nel giorno del ricordo di Paolo Borsellino e Antonino Caponnetto nel giardino a lui dedicato ha presentato il rapporto 2020 sulla criminalità organizzata. "Oggi la mafia - dice non si present in coppola e lupara ma con cravatta e computer".

La Toscana non ne è al riparo, anzi. Quello di cui parla Calleri è un rapporto diretto e senza preamboli com'è nel suo stile "tipo i vecchi dispacci delle questure" sottolinea. Lancia l'appello davanti alle istituzioni e ai rappresentanti di tutti gli schieramenti politici chiedendo di essere coesi perchè la Toscana è oggi dopo la pandemia una preda fra le più ambite.

“Oggi la situazione, a causa del covid, è nettamente peggiorata – dice – Firenze, anche prima della crisi è sempre stata una realtà appetibile dalle organizzazioni criminali figurarsi ora, che pandemia, assenza di turismo, freno all’export rendono sempre più disperata quella piccola-media imprenditoria che magari, rifiutata dalle banche, cerca disperatamente soldi liquidi."
Le cosche con i loro usurai o compratori di immobili sono pronti. E' la stessa Dia a prospettare una strade in discesa per gli affari delle mafie a causa covid, individuandolo come uno dei pericoli più pesanti per i territori. L'infiltrazione finanziaria la mossa più pericolosa in grado di condizionare il mercato nazionale e globale e la crisi economica e sociale che fatalmente segue la pandemia può portare tanto nuovo ossigeno.

Il quadro della Toscana, messo in evidenza dal meticoloso lavoro della Fondazione Caponnetto evidenzia una strategia che oggi non è più fatta di omicidi e attentati ma di finanza.

La Toscana è molto appetibile è ormai nel novero dei "terreni" preferiti per investire i capitali delle grandi criminalità organizzate.

Per capire, il rapporto cita due dati interessanti: da un lato, le procedure in corso per la gestione di beni immobili confiscati, senza contare altri che sono già stati destinati, riguardano attualmente la gestione di 44 aziende, mentre 11 sono state già destinate.
“Alberghi, ristoranti, attività immobiliari, commercio all’ingrosso, costruzioni, attività manifatturiere ed edili, terreni agricoli, appartamenti, ville, fabbricati industriali, negozi, sono solo alcune tra le tipologie di beni sottratti alle mafie in Toscana, concentrati, seguendo un ordine quantitativo decrescente, nelle province di Lucca, Firenze, Arezzo, Pisa, Livorno, Pistoia, Prato, Massa Carrara, Siena e Grosseto”, si legge nel rapporto.

Dall’altro, analizza le operazioni condotte dalle forze dell’ordine, dove si ne vince che, sia la ‘ndrangheta che cosa nostra, entrambe ben presenti sul territorio e si rivolgono più che al controllo del territorio classicamente inteso, alla pervasione del tessuto economico.
La tendenza della ‘ndrangheta calabrese si segnala, come evidenziato anche da un’analisi effettuata dalla Banca d’Italia circa la ricaduta dell’attività delle ‘ndrine sulle imprese, soprattutto nell’infiltrare “imprese che si trovano in periodi di difficoltà finanziaria, che operano in settori maggiormente legati alla domanda pubblica o più adatti al riciclaggio, mettendo in risalto come l’infiltrazione, in tali casi, faccia registrare un significativo aumento del fatturato delle imprese coinvolte”.
Anche per Cosa Nostra, specialista in appalti e intermediazioni immobiliari, Firenze e la Toscana sono ovviamente appetibili. “La riscontrata presenza nello scenario criminale toscano di soggetti affiliati o comunque ritenuti vicini ad organizzazioni criminali di matrice siciliana in particolare cosa nostra, non si fonda sul canonico controllo del territorio, bensì su forme e tentativi di infiltrazione nell’economia e nella finanza locali e di condizionamento dell’azione pubblica, funzionali soprattutto al controllo degli appalti. Dedita prevalentemente al reinvestimento di capitali illeciti, la criminalità siciliana si avvale anche di figure professionali dotate di competenze specifiche in materia tributaria, finanziaria e fiscale. Significativi e le menti al riguardo sono emersi negli esiti dell’operazione“Golden wood” , eseguita dalla Guardia di finanza a Prato all’inizio del 2020, nell’ambito della quale sono stati tratti in arresto 12 persone (7 delle quali residenti in provincia di Palermo) ritenute responsabili di associazione finalizzata ad una serie di reati di riciclaggio, auto-riciclaggio, emissione di fatture per operazioni inesistenti, intestazione fittizia di beni, contraffazione di documenti ed altro, molti dei quali aggravati dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa denominata cosa nostra”.

Anche la camorra, storicamente presente in Toscana in particolare sulla costa, sembra stia raffinando le modalità di sfruttamento del territorio. Intanto, secondo quanto emerso dal paziente lavoro della Fondazione, “le attività criminali legate agli ambiti camorristici in Toscana non forniscono un profilo unitario, risultando distribuite in maniera eterogenea sul territorio regionale, con insediamenti sulla costa tirrenica, nelle province di Grosseto, Arezzo, Prato, Pistoia e Lucca”. In generale, sembra che questa organizzazione, in contraddizione con i propri modus operandi, “stia mirando a mantenere un profilo basso, evitando azioni criminose eclatanti, tali da attirare l’attenzione degli inquirenti. Infatti, al di là dei risultati investigativi e giudiziari ottenuti, sembra che anche i clan di camorra stiano facendo ricorso a più sofisticate modalità di infiltrazione, mettendo a disposizione delle aziende in crisi il proprio supporto (finanziamenti, manodopera in nero, forniture di materie prime, ecc.), mirando, in definitiva, a fagocitare attività imprenditoriali o rami dell’economia locale nella propria sfera criminale. La pressione estorsiva resta, comunque, uno degli strumenti essenziali attraverso cui i sodalizi campani esprimono la propria forza, accrescono il proprio potere e reperiscono le risorse per gli investimenti nei settori turistici e dei locali pubblici”.

In Toscana, da tempo, si rileva anche la presenza di una criminalità straniera, prevalentemente di origine cinese, balcanica e nordafricana, che ha trovato, come si legge nel rapporto, “nella Regione un tessuto economico-sociale prospero, connotato da un efficiente sistema infrastrutturale (terrestre, marittimo e aereo) che, agevolando ogni forma di connettività, viene indebitamente sfruttato anche per i traffici illegali e forme di“pendolarismo criminale” (così per il narcotraffico e di reinvestimento dei proventi illeciti)”.

Fra i punti da sottolineare, il fatto che le organizzazioni criminali straniere, talora creano collaborazioni o alleanze finalizzate all’ottimizzazione dei guadagni. “Significativa al riguardo – si legge ancora nel Rapporto – l’interdittiva emessa, a gennaio del 2020, dalla Prefettura di Prato nei confronti di un’azienda operante nel commercio, la cui compagine societaria, composta da italiani e cinesi, è stata ritenuta a rischio d’infiltrazione mafiosa per la vicinanza ad un clan di camorra”.

Calleri si concentra anche sulla Città Metropolitana di Firenze perché proprio per la sua particolare appetibilità anche in termini di investimento e riciclaggio e per le sue caratteristiche economiche, vede un’alta attenzione da parte della criminalità organizzata, presente con gruppi riconducibili alle famiglie mafiose siciliane, calabresi e campane, oltre a gruppi criminali più o meno organizzati di nazionalità straniera, in particolare albanesi, nordafricani e nigeriani-gambiani.

“L’ultima operazione che ha visto coinvolte le cosche siciliane nel 2020 a Firenze – ricordano dalla Fondazione Caponnetto – ha coinvolto la famiglia di Corso dei Mille di Palermo ben radicata a Prato e a Firenze. I clan siciliani storicamente si sono specializzati in italia ed all’estero nelle intermediazioni immobiliari, pertanto da un punto di vista strettamente analitico occorrerebbe iniziare a fare dei controlli a tappeto. Degno di nota pure l’interessamento delle cosche palermitane degli Acquasanti e degli Arenella in merito alle corse dei cavalli. Si veda in tal senso l’indagine “mani in pasta” e relativo pestaggio del fantino”.

Presenti in modo organico e da tempo, anche i clan calabresi, attivi nel narcotraffico, come la recente indagine che ha coinvolto Dicomano “dove risultano presenti da almeno 20 anni. I campi d’interesse sono variegati, in tal senso non si può non notare il loro interesse per la Stazione AV Foster ed il commissariamento di una importante società multiservizi che operava pure sulla FI-PI-LI. Bisogna capire se, come probabile, vi è una presenza dei clan calabresi ma non solo alla Mercafir dove anni fa si registrò un episodio di presenza ‘ndranghetista su richiesta. Successivamente nel 2019 si è assistito ad una spedizione punitiva su cui poi è calato il sipario”.

I clan campani da tempo attivi nei settori tradizionali tipici delle mafie hanno investito in numerose attività. “Nel tempo si possono trovare presenze storiche tra tutti dei Terracciano. Inoltre son presenti imprenditori che operano per i clan, vedasi in tal senso le numerose operazioni avvenute nel corso dell’anno”.

I clan albanesi son anch’essi presenti e ben radicati, “in accordo con gli italiani. Il traffico di droga è la loro specializzazione. . Operano spesso in asse con i calabresi”.

Per quanto riguarda le Triadi cinesi, come già sottolineato, non solo sono forti e radicate, ma l’area Firenze, Prato ed Osmannoro è considerata centrale a livello nazionale per la loro mafia/criminalità organizzata. Ultimamente è emerso “che per i canali internazionali di riciclaggio si servono pure di un canale comune con i clan calabresi”.

I clan nordafricani son presenti da tempo e si dedicano per lo più allo spaccio di droga .”I clan nigeriani a Firenze son ben presenti e sempre più radicati in vere e proprie piazze di spaccio – dicono dalla Fondazione – quali le Cascine, la Fortezza da Basso e la Stazione SMN. Operano con i gambiani che sono per il momento la loro manovalanza, ma non è detto che continui così in eterno. Nei loro confronti sono state fatte diverse operazioni ma al momento non gli è stato imputato l’art. 416 c.p. dell’associazione a delinquere e nemmeno il 416bis c.p. associazione mafiosa come in altre parti d’Italia. Questo non permette di colpirli in modo efficace”.
“A Firenze – conclude la Fondazione – vi sono pure tracce e presenze di clan pugliesi, georgiani e rumeni. I georgiani sono specializzati nei furti, i rumeni nella prostituzione”.

L'appello accorato di Salvatore Calleri di stare in campana è per tutti i politici in prima linea pronti per la battaglia delle elezioni regionali. Il momento è difficile e la Toscana oltre ad essere appetibile per la sua storia e il suo turismo è oggi terra dove sono in ballo moltissimi appalti di grandi opere.

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