16 MAR 2025
OK!Firenze

Verso l' 8 marzo. Intervista a una collega in prima linea nei centri antiviolenza

Alcune domande per approfondire il ruolo della donna nella società di oggi con Barbara Amoroso Donatti.

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8 Marzo. 8 Marzo. © Ok!News24
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In avvicinamento alla data dell'8 marzo, festa della donna che da alcuni anni è diventata più che un momento conviviale come avveniva qualche anno fa in un'occasione di riflessione a 365 gradi sul ruolo della donna nella società moderna noi di Ok!News24 abbiamo deciso di avvicinarsi a questa ricorrenza con una chiacchierata con la collega Barbara Amoroso Donatti responsabile della comunicazione del centro antiviolenza Donne Insieme Valdelsa che peraltro sabato ha organizzato una cena di gala di beneficenza per finanziare i centri antiviolenza della Toscana. (leggi qui).

Partiamo dal valore stesso della festa della donna di cui peraltro molti ancora ignorano l'origine. Una festa che negli anni è molto cambiata. Dalle proteste femministe degli anni Settanta, alle pizzate con le amiche degli anni Ottanta fino agli spogliarelli per signore degli anni Novanta.  Dov'è che abbiamo sbagliato a suo avviso?
Sappiamo tutti che se non si parla di un determinato fenomeno, quel fenomeno non esiste nell’immaginario collettivo.il termine femminicidio, il vertice drammatico della piramide della cultura dello stupro, della violenza di genere, è apparso solo in tempi recenti, codificando non il genere della vittima, bensì il motivo per cui è stata uccisa.
Nel 2004 l’antropologa messicana Marcela Lagarde ha utilizzato il termine femminicidio per accendere i riflettori sulla drammatica situazione delle donne in Messico nella zona del Ciudad Juárez. 
Da quel momento il concetto di femminicidio è diventato oggetto di studio anche di altre attiviste dell’America centrale diventando un concetto globale. 
Il femminicidio è la estrema espressione di una violenza di genere contro le donne, prodotta dalla violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso condotte misogine come maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria, istituzionale.
Ancora più recente la convenzione del consiglio d’Europa sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, del 2011, altrimenti conosciuta come convenzione di Istanbul. 
impossibile non notare come queste date siano estremamente recenti, pertanto come soltanto in tempi vicinissimi il fenomeno della violenza di genere ha iniziato ad occupare l’attenzione dei governi e dei tavoli di discussione. 
Questo per dire che non parlerei tanto di errore, ma quanto di aver ignorato un fenomeno devastante, pertanto penso che persino noi donne solo in tempi recenti abbiamo iniziato a prendere coscienza del peso delle nostre azioni e delle nostre scelte per prevenire la violenza di genere e salvarci la vita. 
È giusto celebrare, festeggiare le donne, ma i numeri drammatici odierni dei femminicidi in Italia, con una media di circa uno ogni due giorni, ci impongono di affrontare il fenomeno, con campagne di sensibilizzazione, diffondendo una cultura basata sulla parità di diritti tra i generi, prima ancora di festeggiare.
Perché quando una delle nostre sorelle viene stuprata, uccisa, nessuna di noi ha voglia di festeggiare, e sentiamo l’urgenza di fare rumore, esattamente come dice la poesia di Cristina Torres Cáceres “se domani non torno, se domani sono io, se domani non torno, Mamma, distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima”.
La poesia di cui parlo: “Se domani non torno” di Cristina Torres Cáceres
Se domani non rispondo alle tue chiamate, mamma.
Se non ti dico che non torno a cena. Se domani, il taxi non appare.
Forse sono avvolta nelle lenzuola di un hotel, su una strada o in un sacco nero (Mara, Micaela, Majo, Mariana).
Forse sono in una valigia o mi sono persa sulla spiaggia (Emily, Shirley).
Non aver paura, mamma, se vedi che sono stata pugnalata (Luz Marina).
Non gridare quando vedi che mi hanno trascinata per i capelli (Arlette).
Cara mamma, non piangere se scopri che mi hanno impalata (Lucia).
Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato abbastanza, che era il modo in cui ero vestita, l’alcool nel sangue.
Ti diranno che era giusto, che ero da sola.
Che il mio ex psicopatico aveva delle ragioni, che ero infedele, che ero una puttana.
Ti diranno che ho vissuto, mamma, che ho osato volare molto in alto in un mondo senza aria.
Te lo giuro, mamma, sono morta combattendo.
Te lo giuro, mia cara mamma, ho urlato tanto forte quanto ho volato in alto.
Ti ricorderai di me, mamma, saprai che sono stata io a rovinarlo quando avrai di fronte tutte le donne che urleranno il mio nome.
Perché lo so, mamma, tu non ti fermerai.
Ma, per carità, non legare mia sorella.
Non rinchiudere le mie cugine, non limitare le tue nipoti.
Non è colpa tua, mamma, non è stata nemmeno mia.
Sono loro, saranno sempre loro.
Lotta per le vostre ali, quelle ali che mi hanno tagliato.
Lotta per loro, perché possano essere libere di volare più in alto di me.
Combatti perché possano urlare più forte di me.
Perché possano vivere senza paura, mamma, proprio come ho vissuto io.
Mamma, non piangere le mie ceneri.
Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.

La violenza di genere è aumentata o se ne parla di più?

Non è aumentata la violenza, ma se ne parla di più, e soprattutto le donne stanno prendendo coscienza, complice anche la convivenza obbligata con gli uomini maltrattati durante il Covid, di quanto sia pericoloso restare in una relazione violenta, stanno imparando che ci sono i canali a cui chiedere aiuto, vedi il il numero nazionale 15 22 che ti indirizza al centro antiviolenza più vicino a te, c’è un aumento delle donne che chiedono aiuto.
Il numero drammatico di donne uccise in quanto tali da uomini che dichiaravano di amarle, è drammatico, in media negli ultimi anni, una ogni due giorni in Italia, fenomeno che sta spingendo i media e le comunità a fare qualcosa, prima di tutto parlarne di più.
È importante che quando noi donne decidiamo di uscire da una relazione violenta, lo facciamo accompagnate da esperte, perché è il momento più delicato e critico, e c’è una metodologia precisa per farlo in sicurezza salvare se stesse e i propri figli.
Non è solo questione di non andare al famoso ultimo appuntamento, tutto il percorso va fatto affiancate dai centri antiviolenza dove ci sono operatrici esperte e formate sul tema.

Un dialogo con le associazioni degli uomini maltrattanti a suo avviso è una strada da percorrere o è una provocazione?
No, non è utile, ci occupiamo di cose diverse, pur essendo legate allo stesso fenomeno.

Quanto e cosa possiamo fare, come società di concreto e a breve per contenere il fenomeno della violenza di genere?
La prima cosa che possiamo fare è credere alle donne, il fenomeno della vittimizzazione secondaria è uno dei deterrenti che spingono le vittime a tornare indietro sulle denunce. La seconda cosa è rompere gli stereotipi di genere, sia per le donne sia per gli uomini. La terza è prendere posizione sul fenomeno, a partire dalla quotidianità.
Sottovalutare comportamenti già codificati dalle esperte come base della violenza di genere, vuol dire condannare le donne.
È un momento storico e sociale complesso per tanti motivi, non è vero che non si può dire più niente, ma oggi abbiamo dati e ricerche sufficienti per sapere che determinate parole, azioni, comportamenti, nutrono la cultura patriarcale che uccide le donne.
Non è una campagna contro gli uomini, specifichiamo sempre che parliamo di uomini maltrattanti non di uomini in quanto tali, anzi è importante che gli uomini siano al fianco delle donne per salvare le proprie madri, le proprie sorelle, le proprie figlie.
Gino Cecchettin, padre di Giulia Cecchettin vittima di femminicidio nel 2023, nel suo libro parla di alleanza tra i sessi in contrasto alla prevaricazione dell’uno sull’altro. Cecchettin parla di una cultura della riconciliazione e come padre, come uomo, che ha perso la figlia uccisa dall’uomo che diceva di amarla, con 75 coltellate, si è chiesto che cosa può fare per cambiare le cose. A pagina 124 del suo libro ‘Cara Giulia’ scrive:  “siamo noi uomini prima di tutto a dover cambiare. E dobbiamo parlare soprattutto a quelli che desiderano il cambiamento e non si sentono più aderenti ai modelli che sono stati trasmessi dai loro dai padri. […] 
Solo così possiamo trasformare gli atteggiamenti collettivi a modelli di riferimento e togliere la terra sotto i piedi all’uomo violento. Che poi non è altro che un uomo talmente fragile da interpretare un rifiuto, un fallimento, come un attacco alla propria individualità più profonda, quella di essere chi decide e comanda, che intende la relazione a due come un possesso e considera un rifiuto come un furto da cui essere risarcito. […] 
Dobbiamo lavorare tutti, uomini e donne, genitori e figli. E dobbiamo farlo nelle nostre azioni quotidiane”  […] la violenza sulle donne è sempre frutto della fragilità dell’uomo. E il contrario di fragilità non è forza, ma solidità”.

Come operatori della comunicazione in cosa sbagliamo?
Pur essendo professionisti della comunicazione, siamo immersi nella società e nella cultura che alimenta la violenza di genere, se non riconosciamo i nostri pregiudizi, e non ci diamo l’opportunità di capire gli effetti nocivi se non letali di una comunicazione basata sugli stereotipi, allora sbagliamo e possiamo diventare complici un fenomeno odioso che uccide le donne.

Alcuni consigli per riconoscere i possibili rischi...
Con Donne Insieme Valdelsa abbiamo scritto un libro e fatto un podcast dal titolo “insieme fuori dalla violenza”, dove sono raccolte le interviste a esperte sul tema e sono codificati i segnali della violenza di genere, anche quelli più subdoli.
Non esistono parole o gesti innocui, ma quello che mi sento di dire a noi donne, è di ascoltare quella vocina che ci dice che qualcosa non va, quella paura che si infiltra nella nostra quotidianità.
In una relazione intima personale, ci deve essere alla base la fiducia. Se così non è non dobbiamo avere paura, chiamiamo il 15 22, i centri antiviolenza sono al nostro fianco, anche solo per rispondere a una domanda, a un dubbio, l’accesso è gratuito, Anonimo , e non costringe la donna alla denuncia né a intraprendere un percorso irreversibile. 
Uscire dalla violenza si può, i centri antiviolenza ci sono per farlo insieme

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