OK!Firenze

Alpinisti Fiorentini 1969 - 2019 sulla nord delle "Grandes Jorasses"

Quando una montagna diventa leggenda

  • 1079
Alpinisti Fiorentini 1969 - 2019 sulla nord delle "Grandes Jorasses" Alpinisti Fiorentini 1969 - 2019 sulla nord delle "Grandes Jorasses"
Font +:
Stampa Commenta

Il 19 dicembre a Firenze viene organizzato un incontro per ricordare l'impresa del 1969 dove due giovani alpinisti fiorentini, Mario Verin e Leandro Benincasi (rispettivamente di 27 e 23 anni), salirono lo "Sperone Walker" delle Grandes Jorasses facente parte del massiccio del Monte Bianco, lungo l'itinerario aperto da Riccardo Cassin nel 1938. A distanza di anni altre due cordate fiorentine saliranno al Walker: nel 1988 quella formata dai mugellani Carlo Amore e Mauro Rontini e nel 2019, solo pochi mesi fa, quella formata da Jacopo Baldi, Carlo Gianassi e Niccolò Raffaelli. Ricordiamo che Carlo Amore e Mauro Rontini sono stati un'avanguardia mugellana di tutto rispetto per il mondo alpinistico, facendosi apprezzare in Italia e partecipando anche ad alcune spedizioni all'estero.

Per ricordare l'impresa abbiamo chiesto a Mauro Rontini di scriverci i suoi ricordi a proposito della conquista dello "Sperone Walker":

Giovedì 19 dicembre si terrà, nei locali della Società Canottieri Firenze, una serata dal titolo ALPINISTI FIORENTINI SULLA NORD DELLE GRANDES JORASSES 1969-2019. Il caso ha voluto che a tale serata partecipino pure due borghigiani, Carlo Amore e il sottoscritto.

Ai non addetti ai lavori forse il titolo della serata non dirà niente, ma la parete nord delle Grandes Jorasses occupa un posto di primo piano nella storia dell’alpinismo, ed insieme alle pareti nord del Cervino e dell’Eiger, rappresenta il trittico di quelli che, negli anni passati, furono definiti i tre grandi problemi delle Alpi. Salita nell’agosto del 1938 dal grande alpinista lecchese Riccardo Cassin, era sicuramente la più difficile delle tre, con un dislivello di oltre 1200 metri, uno sviluppo complessivo di oltre 2 chilometri, ed un’uscita ad oltre 4200 metri. La salita richiede una perfetta conoscenza delle varie tecniche alpinistiche, dall’arrampicata sofisticata su roccia, al ghiaccio e all’arrampicata mista, una notevole padronanza delle manovre di assicurazione e di ricerca dell’itinerario su una parete larga oltre 2 chilometri, oltre ad un perfetto allenamento ed acclimatazione vista la quota non proprio “balneare”.

Il prestigioso itinerario è stato percorso solo da tre cordate fiorentine. La prima, nel lontano 1969, vide protagonisti i fiorentini Mario Verin e Leandro Benincasi, nell’agosto del 1988 fu la volta di Carlo Amore e me, ed infine, quest’anno è stata salita dai fiorentini Carlo Gianassi, Jacopo Baldi e Niccolò Raffaelli. Ma come è andata che due borghigiani sono finiti sulla parete nord delle Grandes Jorasses? La storia comincia a metà degli anni ‘70, quando un piccolo manipolo di borghigiani iniziano a frequentare, praticamente da autodidatti, le Alpi Apuane, dove maturano velocemente una notevole esperienza. Cooptati all’inizio degli anni ‘80 nella Scuola di Alpinismo TITA PIAZ del Cai di Firenze, effettuano una serie di salite alpinistiche di tutto rilievo, sia sulle Dolomiti, che sulle Alpi Centrali e il gruppo del Monte Bianco, e che sfoceranno infine nella partecipazione a spedizioni alpinistiche extraeuropee in America Latina e Asia.

Per le ferie estive del 1988, quindi, io e Carlo, ci ritroviamo a campeggiare in Val Venì, sopra Courmajeur, insieme ad altri alpinisti di Firenze, con i quali effettuiamo una prima salita di allenamento sulla parete ovest delle Petites Jorasses.

Quì di seguito riporto il racconto della salita dello Sperone Walker, come è chiamato il poderoso contrafforte della parete nord delle Grandes Jorasses su cui si snoda la via Cassin, come è stato redatto per il Bollettino del Cai di Firenze:

6 agosto 1988, la Palud, partenza della prima funivia per Punta Helbronner.
“Walker?”
“Si”

Un lampo fugace di invidia attraversa gli occhi di Nicolino Gambi, all’epoca in servizio militare alla Scuola Alpina di Courmayeur.
Alcuni giorni prima, io e Carletto Amore, i due poveretti che stanno per imbarcarsi sulla funivia, insieme a Nicola, Leandro Benincasi e Stefano Rovida, avevamo effettuato un tentativo alla via Contamine alle Petites Jorasses, risoltosi con una rocambolesca discesa in doppia da poco sotto la vetta, e quindi ben oltre il tratto chiave della via, a causa di un repentino cambiamento del tempo con tanto di nevicata. Il ritorno si era concluso a notte fonda a Chamonix dopo 30 chilometri di passeggiata lungo la Mer de Glace e le rotaie del trenino del Montenvers.

Irrobustiti da cotanta esperienza, io e Carletto, giunti comodamente in funivia al Colle del Gigante, iniziamo la lunga discesa della Valleé Blanche, che esattamente 50 anni prima, negli stessi giorni, Cassin, Esposito e Tizzoni, avevano percorso alla volta della parete Nord delle Grandes Jorasses. Mi dicono che al giorno d’oggi, d’estate, non sia più possibile percorrere a piedi la seraccata del Gigante, per il pericolo costante di crolli causati dal riscaldamento globale. All’epoca però, pur con una certa accortezza, la cosa era ancora fattibile. Dal colle del Gigante alla capanna Leschaux ci impiegammo, se non ricordo male, circa cinque ore. Ebbene, in cinque ore io e Carlo ci scambiammo, si e no, cinque parole, tanto era il peso del macigno che gravava sulle nostre coscienze.

Al giorno d’oggi la Cassin allo sperone Walker è diventata (quasi) una gita per signorine, ma allora era ancora considerata una via di tutto rispetto. Per di più, per chi come noi, era nato e cresciuto, alpinisticamente, nel mito dei grandi alpinisti degli anni ‘30, la Walker era il mito del mito. E’ inutile raccontare come si svolse la salita. Gli unici aspetti particolari furono la coda che facemmo al famoso “pendolo” (in realtà c’era una corda fissa) ad aspettare che passassero due cordate di giapponesi, e poi, a causa di quella perdita di tempo, il bivacco sopra la Torre Rossa, appesi a tre chiodi su una placca inclinata dove fu un problema chiudere occhio, mentre una cordata di francesi, pochi metri sopra di noi, bivaccò su un comodo e spazioso terrazzo in perfetto piano.

Per colpa di quel bivacco, e delle scarpette strette, non sentii la punta delle dita dei piedi per sei mesi. Uscimmo in vetta la mattina dopo ed impiegammo tutto il giorno per scendere a valle, passando accanto a quel ghiacciaio pensile che dicono stia per crollare.
Arrivati a Planpincieux c’era da tornare a la Palud a prendere l’auto. Lasciato Carlo e gli zaini ad aspettarmi, mi avviai, in pedule d’arrampicata e calzamaglia, tutto baldanzoso e convinto che avrei trovato schiere di automobilisti desiderosi di dare un passaggio all’eroe reduce da cotanta impresa. Il risultato fu che me la feci tutta a piedi. Pur non essendo ancora stagione di bilanci, ad oggi è la salita che mi ha lasciato il ricordo più intenso.

Nel pezzo sopra riportato ho scritto che oggi la salita è diventata (quasi) una gita per signorine. Ovviamente si tratta di un’esagerazione. In realtà, pur essendosi innalzato tantissimo, negli ultimi anni, il livello dell’arrampicata, in particolare grazie all’esplosione dell’arrampicata sportiva, che è diventata pure disciplina olimpica, la salita della Walker richiede comunque, anche al giorno d’oggi, doti alpinistiche di tutto rispetto, non fosse altro che per il rischio di repentini cambiamenti di tempo, che possono trasformare una bella giornata in un inferno di neve e vento. E tale realtà è testimoniata dal fatto che negli ultimi 50 anni siano state così poche le cordate fiorentine che si sono avventurate su quello che è tutt’ora considerato uno degli itinerari alpinistici più prestigiosi.

Mauro Rontini

Lascia un commento
stai rispondendo a