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Assolto (anche dalla Cassazione) il ristoratore fiorentino che si ribellò ai lockdown

Fondo il “Movimento IoApro” e si ribello alle regole imposte in epoca di covid. Aveva rimosso 18 volte i sigilli al suo locale.

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Momi El Hawi Momi El Hawi © Facebook
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La notizia è passata un po' sottotraccia. Complice le giornate festive della Pasqua e altre notizie più  "calde" ma poco si è letto del fatto che alcuni giorni fa la Corte di Cassazione ha confermato in via definitiva l’assoluzione del ristoratore Momi El Hawi, che durante il lockdown divenne leader del movimento “IoApro”, aprendo ai clienti il suo locale nonostante i divieti imposti dal governo.
I giudici di ultima istanza hanno infatti giudicato “non punibile per particolare tenuità del fatto” il titolare del ristorante “da Tito” di via Baracca, ribadendo la pronuncia del tribunale di Firenze dello scorso maggio, che aveva assolto il ristoratore evidenziando “la situazione eccezionale ed emergenziale” e “la condizione di evidente ed oggettiva difficoltà” dell’imputato, il quale si trovava a dover fare i conti con la necessità “di guadagnare per vivere e per fare fronte agli impegni presi verso terzi”.

Momi El Hawi, noto ristoratore fiorentino, nel corso della seconda ondata pandemica era diventato la figura di riferimento del movimento “IoApro”, in prima linea nella protesta contro le chiusure stabilite dal governo durante il lockdown.

Nello specifico, El Hawi aveva rimosso per ben 18 volte i sigilli apposti al suo locale dalla polizia municipale di Firenze.
Bersagliato dalle denunce, il ristoratore era finito sotto processo: per lui la Procura aveva chiesto 6 mesi di reclusione e 300 euro di multa per ogni violazione.

Nel maggio del 2023, però, El Hawi era stato assolto con formula piena dal gup di Firenze, che, all’interno della sentenza, aveva messo nero su bianco come ai tempi della consumazione delle condotte contestate ci si trovasse “in presenza di situazioni e comportamenti eccezionali, e conseguentemente di reazioni che sono frutto di un momento storico di grave emergenza sanitaria, che costituiscono l’espressione del disagio e della conflittualità innescati da una situazione complessiva quantomeno straordinaria”, quale fu quella causata dallo scoppio della pandemia.

Infatti, se i provvedimenti anti-Covid “miravano a per quanto possibile dalla diffusione del virus”, al contempo “impedivano l’esercizio di molti diritti fondamentali, compreso quello di lavorare per vivere”.
“Una condizione grave – si legge ancora nella sentenza –, che non è stata puntualmente provata nel caso che ci riguarda, ma di cui vi è traccia nel provvedimento recentemente emesso dal giudice di pace di Firenze, che motiva anche sul fatto che l’imputato avrebbe avuto un grande debito connesso con l’affitto del locale, aveva preoccupazione per i propri dipendenti, e si era venuto a trovare sull’orlo del fallimento e della chiusura del locale”. Una situazione che rende dunque “meno grave” la condotta posta in essere dall’imputato.
Il pubblico ministero aveva avanzato ricorso in Cassazione, ma la Suprema Corte lo ha ritenuto inammissibile. Chiudendo dunque il caso una volta per tutte.

La decisione è stata salutata con entusiasmo dal legale di El Hawi, Lorenzo Nannelli: "Abbiamo appreso dell’esito a noi positivo della Cassazione che ha rigettato il ricorso del pm di Firenze che aveva impugnato la decisione del tribunale che a sua volta aveva assolto il mio assistito lo scorso anno – ha dichiarato l’avvocato –. A fronte della sua disobbedienza aveva rimosso i sigilli apposti al suo locale dalla polizia municipale durante il lockdown. Una vittoria per l’intero movimento #IoApro che aveva ravvisato nei Dpcm del Governo una imposizione che avrebbe potuto rovinarli economicamente».

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