Il loro campo-base si trovava di fianco allo Stato Maggiore dell’esercito brasiliano, a pochi chilometri dal Congresso, dal Tribunale Supremo Federale e dal Planalto, sede del presidente, che da due settimane ha un nuovo volto, quello di Lula da Silva. Sto parlando dei sostenitori di Jair Bolsonaro, populista di destra che in questi quattro anni al potere si è fatto riconoscere in tutto il mondo per la sua intolleranza nei confronti di persone omosessuali, bisessuali e transgender, diminuendone i diritti che avevano faticosamente conquistato nel corso degli anni. Da liberale di ferro quale è, senza considerare le spinte socialiste che da tempo affluiscono in questo sistema economico - il liberismo appunto -, Bolsonaro ha attuato politiche di austerità e dato il via alla privatizzazione di numerose aziende statali. Drammatico l’impatto delle sue decisioni nei confronti della pandemia di covid-19, preferendo ignorare le avvertenze della comunità scientifica e continuare così a far circolare liberamente il virus, che secondo i dati ufficiali ha ucciso quasi settecentomila persone.
Bolsonaro ha perso le elezioni del 2022 contro il socialista Lula da Silva, che ricoprirà il ruolo di presidente per la terza volta. Ma, come abbiamo visto in questi giorni, il clima che si respira all’interno del paese è tesissimo. Il campo-base dei circa tremila sostenitori di Bolsonaro, che non accettano l’esito delle votazioni e denunciano brogli, è stato sgomberato lunedì 9 Gennaio dopo che sono stati presi d’assalto i palazzi del potere più importanti. Un’azione di puro vandalismo, che lascia dietro di sé non soltanto qualche finestra e sedia rotta, ma la paura che certi comportamenti possano prendere forza e sfociare in qualcosa di ben peggiore, come un colpo di stato vero e proprio. Questa azione ricorda quella avvenuta negli Stati Uniti dopo la vittoria di Joe Biden, quando i sostenitori di Donald Trump assaltarono il Congresso a Washington.
Ora, parlando sinceramente: un piccolo branco di facinorosi non può mettere in pericolo una democrazia consolidata da decenni. A Washington le proteste cessarono dopo che una donna morì colpita da un proiettile nei corridoi del Congresso, e a Brasilia in poche ore le forze dell’ordine hanno riportato l’ordine. Ruberie, sfoghi animaleschi contro oggetti vari, un paio di selfie scattati in segno di trionfo, e poi via, in cella o, nel migliore dei casi, a casa. Sono azioni scoordinate, in fondo deboli, senza un piano preciso, attuate da gruppetti di imbecilli più per fare scalpore che per rovesciare davvero il sistema.
Per ora (e si spera per sempre).
Dico per ora in quanto si sospetta che la polizia militare non sia intervenuta nei confronti dei facinorosi quando era chiaro cosa sarebbe successo di lì a qualche ora. Otto chilometri separavano il campo dei bolsonaristi dai palazzi del potere, eppure li hanno percorsi senza alcun intoppo. Possibile? O tra i ranghi dell’esercito c’è chi ha deciso di voltarsi dall’altra parte? Ecco il pericolo: che alla massa anonima di comuni cittadini possano unirsi soldati dell’esercito e componenti delle forze dell’ordine. Con le armi, la situazione cambia.
Pinochet, responsabile del golpe cileno avvenuto nel 1973, non è un personaggio storico così lontano come sembra. La sua fu una dittatura militare cruenta, che dovrebbe farci stare sull’attenti. Il Sudamerica purtroppo è un territorio difficile, con un’economia fragilissima, dove realtà come il narcotraffico e la povertà assoluta non sono state ancora debellate. Il Brasile, che si estende su un’area vastissima, è un paese frammentato, che Bolsonaro ha reso peggiore e che ora, anche per colpa della disinformazione dilagante che parla di elezioni truccate, si trova a convivere con sentimenti di forte disprezzo nei confronti del presidente Lula.
L’apparato della democrazia non può permettersi di abbassare la guardia, e per farlo deve prima di tutto garantire la diffusione di una corretta informazione. Con la circolazione di notizie false, la rabbia dei cittadini può esasperarsi a tal punto da compiere azioni del genere. Forse è proprio questo che voleva Bolsonaro, che il 30 Dicembre, prima della scadenza del suo mandato, si è recato a Orlando, roccaforte repubblicana in Florida.
L’uomo all’apparenza invincibile che detesta perdere è un archetipo eterno, e il suo operato è guidato dalla forza. Per fare alcuni esempi: Bolsonaro non credeva nella potenza devastante del covid, e per non far crollare l’economia ha tenuto tutto aperto, mentre l’Europa scelse la via del lockdown. Il messaggio era: Siamo più forti del virus, che infatti definì come una semplice influenza. Con lui alla presidenza l’ambiente ne ha risentito: l’Amazzonia ha subìto un processo di deforestazione a livelli mai visti in precedenza, procurando oltretutto sofferenze indicibili alle popolazioni indigene. Anche qui il messaggio era: Siamo noi i padroni della natura, perciò possiamo e dobbiamo sfruttarla a nostro vantaggio.
L’uomo invincibile in realtà nasconde una grande fragilità, e la vincita di Lula è un segno che la maggioranza dei cittadini brasiliani ha aperto gli occhi. Come potevano restare indifferenti davanti ai troppi decessi da covid, all’ambiente deturpato senza pietà e all’impennata della povertà?
La disinformazione è un’arma che viene spesso usata per incrementare il bacino elettorale, perciò se una democrazia vuole resistere ai tentativi sovversivi deve dotarsi di strumenti, soprattutto informatici, per combatterla. Oggi è la disinformazione, le fake news - termine che ormai fa parte del nostro vocabolario abituale - a far compiere alle persone gesti estremi come quello avvenuto in Brasile. Persone fragili e non abituate a discernere informazioni autentiche da informazioni false, sentendosi in balia di chissà quali poteri forti, sono pronte a lottare contro una realtà che considerano ostile e adulterata; per loro è una questione morale, quasi di vita o di morte.
Se un sito qualunque afferma che le elezioni sono state truccate, allora la mia rabbia è giustificata. Sono loro i cattivi, i falsi, gli ipocriti, non io, che combatto per me stesso ma anche per i miei figli e i miei nipoti. Bolsonaro, come Trump, agli occhi di queste persone sono gli eroi del bene che il male vuole annientare, e per evitare che in troppi caschino in questo vortice di disinformazione serve un efficiente apparato di vigilanza.
La vita della democrazia, come è spesso accaduto in passato, è appesa al filo dell’informazione.