Costituzione. Cambiare è bello? Storia dei tentativi falliti e una riflessione © n.c.
Approfondimento di Openpolis e lettera di un lettore mugellano. Dopo circa 2 anni di discussione in parlamento la parola sulla riforma costituzionale passa ai cittadini. Il testo su cui gli italiani voteranno il prossimo 4 dicembre ha avuto un lungo iter parlamentare, che ha richiesto ben 6 approvazioni. Non è la prima volta che camera e senato tentano di modificare la legge fondamentale dello stato italiano. Il rapporto del nostro parlamento con la costituzione ha avuto varie fasi. Dalle bicamerali degli anni '80 e '90, alle tante leggi costituzionali approvate dal 2000 in poi. Ecco al link seguente un bell'articolo dell'associazione Openpolis che ricostruisce la storia di tali tentativi (clicca qui). E invece qui sotto la riflessione di un nostro lettore, Paolo Menchetti, sul tema referendum e cambiamento. Buona lettura:
Il concetto del "cambiamento" è positivo in sé, fa pensare ad una trasformazione, ad una rigenerazione di ciò che è stantio, vecch io, immobile, e quindi negativo. L'Uomo stesso ha fatto del cambiamento una delle ragioni più importanti del suo successo e della sua dominazione sul pianeta. L'adattabilità della nostra specie, è cambiamento. Noi umani siamo sempre in movimento, e quindi in perenne cambiamento. Si ca pisce quindi come la parola"cambiamento" sia positiva, e susciti speranze per il futuro. Però... Però, per rimanere nella nostra storia recente, il Risorgimento fu un' epoca di grandi trasformazioni, nacque l'Unità d'Italia, ma non nacque ro gli italiani come popolo, e questo limite lo paghiamo ancora oggi. L'arr ivo del fascismo fu salutato come un grande cambiamento, e poi si è vi sto il risultato. Il '68 fu un periodo di grandi cambiamenti, ma non tutti furono positivi, se ci ricordiamo come il terrorismo si impadronì di t ante speranze per una società migliore, deviandone le migliori intenzi oni verso un interventismo armato assurdo e mostruoso, o usando le bombe di Stato per mantenere lo status quo. Il 1992, con l'avvio di Tangentopoli, parve rappresentare una sorta di "primavera araba" italiana, quando le inchieste demolirono i partiti della Prima Repubblica e i cittadini sperarono che il "cambiamento" potesse generare spontaneamente una nuova classe politica ed una società più dinamica. Ma quel trauma invece rappresentò l'avvio di quella stagione dell'antipolitica, e del populismo deteriore, che terminò il processo, già iniziato da anni, di riduzione in pezzi del nostro modo di vivere e pensare alla cosa pubblica (lo "specchio rotto" di Scalfari) e che ancora oggi avvelena i pozzi, impedendo valutazioni fondate su una sana autocritica sociale, e su un razionale esame dei fatti e dei problemi. Quella stagione favorì l'ascesa di un personaggi o che ha inciso enormemente nella nostra società. Il "berlusconismo" ha "cambiato" in peggio i tratti degli italiani, facendo emergere gli interessi più personali, il cinismo e l'interesse corporativo, la mancanza d i solidarietà, umana e fiscale. Insomma, a differenza di quanto ci vie ne dalla vulgata popolare, il "cambiamento" non è sempre, o non è del tutto, positivo. E io coltivo una sana prudenza verso tutti coloro che mi spingono verso un cambiamento purchessia, presentandomelo come intriso di tutto il meglio a cui l'uomo possa aspirare. Soprattutto quando, per farmelo digerire, si usano slogan superficiali ma accattivanti, costruiti a tavolino da agenzie di marketing blasonate, più simili a spot pubblicitari, che a ragionamenti. O da raffinati esperti del sottobosco della politica, sopravvissuti a tutte le stagioni proprio per la loro bravura nel frugare tra le pieghe dei regolamenti istituzionali, estraendo dal cilindro frasi, periodi, aggettivi che tornino buoni al momento giusto. Allora sento p uzzo di bruciato. Perché quasi mai accade che le soluzioni che effettivamente sono positive, che possono davvero migliorare alcuni aspetti della nostra vita, in questa società sempre più complessa, possano anche essere riassunte in modo semplice ed immediato. Anzi, al contrario, spessissimo sono complicate da capirsi e spiegarsi, mentre gli slogan mediatici nascondono le fregature sotto una patina modernista. E perché, alle volte, i "cambiamenti" non servono a migliorare le cose, ma solo a consolidar e e prolungare sine die il potere dominante, come Tomasi di Lampedusa ci in segna nel suo Gattopardo. Paolo Menchetti


