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Elezioni europee 2024. L'assenza del tema della pace pesa come un macigno. Dobbiamo davvero rassegnarci alla guerra?

Le guerre in Israele e Ucraina vengono affrontate con passività e ineluttabilità. Eppure è qui che si gioca il nostro futuro.

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Sono passati cinque anni dalle ultime elezioni del parlamento europeo, e le prossime si svolgeranno dal 6 al 9 giugno 2024 in tutti gli stati dell'Unione Europea. A differenza di quelle precedenti, caratterizzate da un relativo periodo di pace, queste trascineranno alle urne cittadini esasperati e impauriti a causa di nuovi e accesi conflitti. Da più di due anni un paese europeo - l'Ucraina - sta combattendo una feroce guerra di sopravvivenza contro un avversario molto più forte sia in termini economici che militari - la Russia -, e l'unica democrazia del medioriente, Israele, dal 7 ottobre 2023 - giorno in cui subì il peggior attacco terroristico della sua storia, ordito dai miliziani dell'organizzazione terroristica Hamas - bombarda la Striscia di Gaza, territorio palestinese da cui l'attacco è partito.

Fin dall'inizio del conflitto, la maggioranza dei paesi europei - Italia compresa - ha dichiarato vicinanza all'Ucraina e al suo governo, guidato dal presidente Volodymyr Zelensky - membro del partito liberale Servitore del Popolo - e accusando la Russia di aver invaso un paese sovrano. La vicinanza non è stata trasmessa soltanto a parole, ma anche tramite ingenti aiuti militari. Nessun paese europeo è però entrato direttamente in guerra contro la Russia; un modo che può sembrare ipocrita - e da una parte lo è - ma che è risultato vantaggioso: per un verso ha evitato uno scontro frontale tra NATO e Russia - che potrebbe provocare una guerra nucleare, e che tutt'oggi non è da escludersi -, e per l'altro ha aiutato l'esercito ucraino a difendersi da un'invasione. 

Il conflitto tra Israele e Palestina, anche se non è combattuto nel nostro territorio, ci riguarda comunque da vicino, e per diverse ragioni. La prima è che Israele, come specificato sopra, è l'unica democrazia del medioriente, un faro in mezzo a paesi illiberali dove non esiste la laicità di stato e in cui la religione, o meglio la sua interpretazione, guida le scelte di chi governa; il contrario del mondo occidentale, dove da secoli c'è una netta separazione tra stato e chiesa, e non saranno certo le "bibbie patriottiche" di Donald Trump a farci ripiombare ai tempi bui in cui gli eretici e le donne accusate di stregoneria venivano bruciati vivi. La seconda è collegata alla prima: essendo una democrazia, Israele gode dell'appoggio dell'occidente - anche se nell'ultimo periodo il presidente statunitense Joe Biden, e molti europei come il presidente francese Macron, hanno condannato il governo Nethanyahu per l'eccessiva violenza e crudeltà nei confronti dei civili palestinesi -. 

Se Israele cadesse, la democrazia subirebbe un durissimo colpo, e ciò galvanizzerebbe i paesi illiberali nel conflitto - non solo armato, ma soprattutto ideologico - con questa forma di governo, che pur con tutte le sue miriadi di problematiche garantisce pluralità e diritti fondamentali, come quello di sciopero e di parola. E se, nella peggiore delle ipotesi, il conflitto in medioriente si allargasse, coinvolgendo il nemico giurato di Israele, l'Iran, e altri paesi arabi quali l'Egitto e la Siria, un intervento della NATO sarebbe inevitabile. Ciò, oltre a provocare morte e distruzione, getterebbe il mondo in una situazione di forte instabilità. 

Ma proseguiamo per gradi. Dopo più di due anni di conflitto in Ucraina, crediamo sia giunto il momento di chiederci se è conveniente, per l'occidente, continuare ad armare l'esercito ucraino. Chi scrive è sempre stato favorevole all'invio delle armi, a un aiuto in termini economici per aiutare l'Ucraina a difendere i suoi confini, sperando che il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ritirasse il suo esercito senza rivendicare il Donbass - ricordiamo che il conflitto tra Russia e Ucraina partì nel 2014 propria da questa regione, collocata a est dell'Ucraina -. Contrariamente alle aspettative, Putin però non si è lasciato intimorire dalla NATO e dall'isolamento che ha subito, e non sono state sufficienti le migliaia di unità del suo esercito cadute e ferite a farlo desistere dal continuare la sua impresa. 

Oltretutto le elezioni in Russia tenutesi a marzo scorso e stravinte da Putin, pur con tutte le perplessità circa la loro correttezza - e una propaganda continua a favore del regime - ci fanno comprendere quanto il popolo russo sia vicino al suo presidente. È necessario prendere consapevolezza che se continuiamo con la politica fallimentare degli aiuti militari, il rischio di una guerra mondiale non è così remoto. Pare che i nostri politici si siano dimenticati delle parole di Putin a inizio conflitto, dove dichiarò che chiunque avesse aiutato l'Ucraina l'avrebbe pagata cara.

Pertanto quale soluzione possiamo immaginare?
Prendere in considerazione le richieste fatte dal presidente russo? 
Oppure è riconsiderare il rifornimento di armi l'Ucraina? 

La risposta a tali domande non ce l'abbiamo noi giornalisti, ma forse i vertici della NATO e i nostri politici sì, e le elezioni europee dovrebbero concentrarsi proprio sulla tematica: guerra sì, guerra no. Com'è ovvio, la soluzione diplomatica al conflitto, qualunque essa sia, non deve danneggiare il paese più debole, in questo caso l'Ucraina. 

Il tema della pace sembra essersi eclissato dai discorsi di chi sta al potere. La maggioranza dei cittadini europei desidera la pace e la cooperazione tra le varie regioni del mondo, eppure la politica europea sembra che si sia arresa al fatto che la guerra sia ineluttabile. Qualche giorno fa il capo delle forze armate francesi Pierre Schill ha dichiarato di essere pronto a schierare ventimila soldati in un mese nel caso la Francia entrasse in guerra contro la Russia; il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha parlato di un fondo per l'Ucraina di ben cento miliardi di euro; in Italia i due maggiori partiti, Partito Democratico - all'opposizione - e Fratelli d'Italia - al potere - sono entrambi favorevoli agli aiuti militari all'Ucraina. 

Si dimentica che nel caso di una guerra totale, l'arruolamento non avverrà solo tra le file dell'esercito, ma anche tra i comuni cittadini, come sta accadendo in Ucraina. In Israele il governo sta pensando di eliminare l'esenzione del servizio obbligatorio di leva agli ortodossi ebrei. Allo scoppio della prima guerra mondiale i giovani italiani idealizzarono la guerra come una possibilità di evasione dalla monotonia quotidiana, un'avventura da vivere con entusiasmo e spavalderia - credendo che sarebbe stata breve e indolore -. Si ricredettero dopo qualche mese, quando le postazioni dell'esercito non riuscivano a sfondare quelle del nemico, e viceversa. La vita in trincea è durissima, ed è più o meno la stessa che stanno vivendo i russi e gli ucraini in questi ultimi due anni. Vogliamo arrivare a tanto? Vogliamo commettere l'errore di quei giovani italiani di inizio Novecento e credere che in fondo il conflitto sarà breve e che verrà vinto senza troppo spargimento di sangue dalla NATO, l'alleanza militare considerata la più forte del pianeta?

Per concludere: i partiti candidati alle elezioni europee dovrebbero puntare alla pace, al negoziato con la Russia, sennò tali elezioni rischiano di focalizzarsi su temi poco importanti ed escludere l'unico che è fondamentale per la nostra esistenza. A differenza del passato, quando andare in guerra per molti era sinonimo di riscatto sociale, libertà e nuove avventure, oggi la maggioranza dei cittadini europei non accetterebbe mai di combattere una guerra, oltretutto per questioni in cui non sono direttamente coinvolti. I candidati poi dovrebbero cercare di trovare una mediazione tra Israele e la Palestina, rifuggendo dall'idea che quella terra non troverà mai pace. Sarebbe doveroso che l'occidente riconoscesse ufficialmente lo stato di Palestina, primo ostacolo da superare per iniziare una vera e propria cooperazione con il mondo arabo, e sanzionare Israele se - come fa da decenni - continua a sottrarre territori ai palestinesi per fondare nuove colonie. Israele ha tutto il diritto di combattere il terrorismo, ma se vuole davvero trovare una soluzione definitiva al problema, deve fare delle concessioni; il terrorismo si nutre non soltanto di oscure ideologie, ma anche di odio, spesso conseguenti a soprusi, e Israele è un paese che ne commette con regolarità.

L'Unione Europea deve intervenire non soltanto legittimando Israele a sconfiggere Hamas tramite l'utilizzo della forza, ma adoperandosi per far sì che il conflitto si concluda, e non che rimanga irrisolto. I cittadini europei domandano pace, e l'Europa non può ignorarli. 

Paolo Insolia

 

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Commenti 1
  • Accà niscuno è fesso

    Ma soprattutto: Dobbiamo davvero rassegnarci alla UE? Oggi siamo oppressi da tutti i problemi dai quali la UE avrebbe dovuto salvarci (guerra , crisi economica, speculazione, depopolamento, deindustrializzazione, import selvaggio dalla Cina etc.), in più abbiamo un sacco di altri problemi che senza la UE non avremmo avuto... ce l'avevano prospettata in maniera completamente diversa e forse oggi è arrivato il momento di dichiarare in tuta onestà che il progetto è fallito e finirla qui, o meglio è fallito per i popoli e per il benessere di alcune nazioni (come l'Italia e la Grecia) ma è riuscito benissimo per il benessere delle Banche private proprietarie dell'Euro ( e quindi delle nostre vite) e anche per paesi come Germania, Francia etc. Torniamo con i piedi per terra e mandiamo a casa quella massa di corrotti e venduti che siedono a Bruxelles fuori da ogni controllo democratico.

    rispondi a Accà niscuno è fesso
    gio 11 aprile 15:45