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Uno studio Meyer-Unifi conquista la copertina di Science Translational Medicine

Lo studio è stato finanziato dalla Regione Toscana e dall’European Research Council.

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la prestigiosa copertina la prestigiosa copertina © Met
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Un team di ricerca Meyer-Unifi dimostra per la prima volta che alcune gravi forme di glomerulonefrite, un gruppo di malattie frequenti che affliggono il rene e possono portare alla necessità della dialisi o del trapianto, sono causate da meccanismi simili a quelli di alcune malattie del sangue e potrebbero pertanto essere curate con farmaci usati per curare queste patologie.
Lo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Science Translational Medicine che gli dedica la copertina.

Le glomerulonefriti sono malattie infiammatorie del rene che affliggono da 2 a 10 persone ogni 100, a seconda delle diverse età, dai bambini agli adulti. Sono fra le cause più frequenti di insufficienza renale terminale (oltre un quinto dei casi che richiedono dialisi o trapianto).

Uno studio della Nefrologia dell’Ospedale Meyer e dell’Università degli Studi di Firenze coordinato dalle professoresse Paola Romagnani e Laura Lasagni e svolto soprattutto dalla dottoressa Maria Elena Melica stabilisce per la prima volta che alcune forme di glomerulonefrite derivano, in maniera simile ad alcune malattie del sangue, dalla proliferazione abnorme di singole cellule staminali (cloni) che generano nel rene delle lesioni denominate “semilune”.
L’utilizzo di farmaci già usati per curare alcune malattie del sangue blocca la formazione delle “semilune” e le converte in cellule renali mature, perfettamente funzionanti, aprendo la strada a nuove possibilità terapeutiche per queste gravi malattie. Lo studio inoltre suggerisce che l'espansione di un particolare sottotipo di cellule staminali renali nelle “semilune” nelle biopsie di pazienti affetti da glomerulonefrite è associato alla malattia renale allo stadio terminale, una informazione che può essere utile per meglio diagnosticare queste malattie e prevedere la loro prognosi.

Lo studio è stato finanziato dalla Regione Toscana e dall’European Research Council. Maria Elena Melica è titolare di una borsa di studio della Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro.

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