Papa Francesco non è così aperto come alcuni lo dipingono. Certamente egli afferma - come la Bibbia insegna - di non giudicare chi è diverso, di ospitare i diseredati e di non ricorrere alla violenza, ma su questioni politiche di impronta progressista ha quasi sempre tenuto un atteggiamento conservatore. Basti pensare all’aborto, che considera un omicidio, e al matrimonio, che può aversi solo tra un uomo e una donna. Ma in fondo non ha colpe: il suo pensiero è influenzato dalla Sacra Scrittura, che nessuno ha il potere di stravolgere, nemmeno lui. Per la Bibbia la vita va difesa sempre e comunque, anche se non ha ancora visto la luce del sole o se è affetta da malformazioni che non le permetterebbero di vivere una vita in salute, e l’omosessualità è intesa come qualcosa di non conforme all’armonia della natura stabilita da Dio.
Ma la chiesa è la chiesa, e lo stato è lo stato. Il nostro è un paese laico, e di ciò che afferma il Papa ci può interessare fino a un certo punto. Con la chiesa e il Papa però, volenti o nolenti, dobbiamo confrontarci; prima di tutto perché il Papa rappresenta la massima autorità di una delle istituzioni più antiche del mondo, seguita da più di un miliardo di fedeli, e poi in quanto le chiese si trovano a ogni d’angolo del territorio non solo italiano, ma europeo, e rappresentano gran parte del nostro patrimonio artistico e culturale.
In questo senso il Papa, prima ancora di presentarsi dalla finestra di San Pietro - dopo la consueta fumata bianca - come Vicario di Cristo, e assumersi così la responsabilità di prendere le redini della chiesa e di portare a ogni angolo del globo il messaggio del Vangelo, è un uomo come ciascuno di noi; un uomo le cui gesta vengono riportate ovunque, e che perciò hanno il potere di influenzare sia in negativo che in positivo.
Francesco è un Papa che ha fatto dell’umiltà e della parchezza il suo stile di vita. A inizio del suo mandato disse che sognava una chiesa povera, proprio come voleva il santo vissuto nel medioevo da cui ha preso il nome, San Francesco, che volle vivere una vita povera per somigliare in tutto e per tutto a Gesù. Le sue vesti modeste senza ricami esemplificano bene la sua idea di chiesa universale, eppure non tutti i suoi predecessori furono inclini alla moderazione, anzi, molti di loro sono conosciuti per essere stati spregiudicati uomini di potere e sopraffatti da vizi contrari alla morale cattolica.
La Riforma Protestante attecchì proprio in un periodo in cui la chiesa di Roma pretendeva ingenti quantità di denaro dai paesi cristiani europei per arricchirsi e finanziare le guerre. Ciò disturbava le monarchie dell’epoca, che vedevano destinare le loro ricchezze verso un paese straniero. Oltretutto i papi di allora facevano sfoggio del loro sfarzo e vivevano una vita mondana, come Alessandro VI e Giulio II. La Germania era il paese che destinava più denaro degli altri, e Martin Lutero fu l’uomo giusto al momento giusto; fu lui a spingere, anche se inconsapevolmente, la popolazione tedesca alla ribellione, stanca delle pretese del papato.
Perfino Dante, il grande poeta fiorentino, si scontrò con il Papa in carica allora, l’odiato Bonifacio VIII - nella lotta fiorentina tra guelfi bianchi e guelfi neri sceglierà di schierarsi a fianco dei primi, capeggiati dalla famiglia Cerci e ostili al Papa -. Dante ebbe una controversia con Bonifacio VIII in quanto quest’ultimo affermava che il potere papale doveva essere superiore a quello imperiale, mentre Dante sosteneva la loro complementarietà. Bonifacio VIII riuscì, con accuse infamanti, a esiliare Dante dalla sua città natale, e, con suo grande rammarico, non vi fece mai più ritorno.
Per Dante, Bonifacio VIII era l’emblema della corruzione ecclesiastica. Avido di potere e immorale, guerrigliero, lussurioso e vendicativo, è l’esatto opposto di Papa Francesco. Il poeta fiorentino spedisce Bonifacio VIII nell’inferno da lui immaginato nella sua opera più importante: la Divina Commedia. Non farebbe lo stesso con Francesco, un Papa disinteressato alla mondanità e al lusso, che nel giorno del Giovedì Santo di quest’anno ha scelto di svolgere il rito della lavanda dei piedi su detenuti minorenni: un gesto di profonda umiltà che riporta la chiesa sui suoi passi originari.
Usando una analogia tra i papi imperialisti e lussuriosi del passato e Francesco, possiamo dire che i primi somigliano a molti degli uomini di potere odierni, ma non solo: in quanti al giorno d’oggi fanno di tutto per apparire, spesso umiliandosi per ottenere successo e denaro?
Non si parla d’altro che di business sulle piattaforme online: chiunque ha visto video di ragazzini che filmano individui griffati dalla testa ai piedi su macchine da centinaia di migliaia di euro, dove spiegano come guadagnare senza sforzi. E siti come OnlyFans, che arricchiscono uomini e donne disposti a fare qualsiasi tipo di oscenità davanti alla telecamera?
Individui come Francesco, indipendentemente dal proprio credo, ci fanno comprendere che l’uomo è altro, molto altro, dal successo e dal patrimonio che possiede. I valori che contano nella vita sono, tra i tanti, trovare la propria verità e la propria via, e valori effimeri quali il denaro e la fama, se idealizzati come gli unici scopi importanti, ne sbarrano la strada. Il rischio che si incorre è di diventare contenitori vuoti, un po’ come Re Mida.
Francesco insomma ci ricorda quanto sia importante riconnettersi con il centro di noi stessi, e che la debolezza è una virtù, non un difetto da respingere. Prostrarsi per lavare i piedi agli ultimi è un atto di amore verso il creato, creato che si manifesta con la presenza nostra e con quella di tutte le creature viventi. Credo che abbiamo un urgente bisogno di assistere a gesti come questo.
Da laico, grazie Francesco.
Paolo Insolia