Le lunghe ricerche per la stesura del mio ultimo libro FURONO PROTAGONISTI (su 180 personaggi mugellani di tutti i tempi) mi hanno portato a imbattermi in alcuni personaggi eccellenti usciti dalla memoria collettiva per chissà quale misteriosa ragione.
Un vero shock, proprio come quello che mi è capitato quando mi sono trovato davanti all’improvviso questo terribile condottiero a cavallo, armato fino ai denti. Spaventato, stavo per scappare a gambe levate quando lui mi ha urlato in un inconfondibile dialetto: “O icchè tu scappi! E un tu mi riconosci? E son Cecco, Cecco del Borgo!”.
A parte gli scherzi, io ho davvero un amico che si chiama Cecco, anzi Cecchino e sta in Borgo, un altro Cecco che ha un negozietto da queste parti, ma questo Cecco così bardato, francamente, non avevo proprio idea di chi diavolo fosse. Eppure, Francesco del Borgo o Cecco del Cozzo, o ancora Cecco di Vanni da Senno, Cicco del Cozzo, Cecco de lo Cazo (sull’ultimo nome non sono ammesse ironie) era nato proprio in Mugello nel 1350, vicino a noi e per la precisione a Senno (oggi Senni, comune di Scarperia - San Piero).
Racconta Scipione Ammirato, storico del Cinquecento, nelle sue Istoriefiorentine: “..Fin l’anno 1373 era stato condannato a perder la vita Cecco di Vanni da Senno distretto di Scarperia per aver assassinato e rubato un cittadino fiorentino;...confesso d’aver trovato con molto mio gusto memoria di quest’uomo del quale ancora che sia uno de’ chiari sudditi del dominio fiorentino, che per mezzo d’armi sia salito a dignità e onori..”.
O che storia è mai questa?
Abbiamo un mugellano semisconosciuto che, dopo la carriera militare, in circostanze non troppo chiare uccise a Firenze un cittadino e venne per questo condannato a morte. Un giovane assassino forse legato agli Ubaldini aveva il destino segnato in una città dove, vale la pena rammentare, regnava al tempo un feroce astio politico e anti-feudale. Cecco cambiò decisamente aria, e quella scelta fece la sua fortuna.
Di lui si perdono le tracce per almeno dieci anni, finché lo ritroviamo a zonzo nel lontano regno di Napoli a combattere come condottiero di ventura per conto di Carlo III D’Angiò. Non sto qui a raccontarvi tutta la vicenda (altrimenti poi nessuno leggerà più il mio libro!). Fatto sta che a un certo punto, dopo numerose vittorie e avventure, si fece così benvolere da essere nominato da Ladislao I (figlio di Carlo d’Angiò) viceré d’Abruzzo (1392) e Marchese di Pescara.
Insomma, non era più un “Cecco” qualsiasi. Sposò una ricca nobile (Antonella di Gragnano), ottenne una generosa provvigione annua dal re, acquisì terre e fortificò la città dell’Aquila. Il mugellano aveva come si dice oggi “sfondato”, era ormai diventato da semplice mercenario il braccio armato e pericoloso di un regnante, re Ladislao; il quale aveva, nel frattempo, messo gli occhi su Firenze e il nord d’Italia.
Improvvisamente, tutto l’astio dei fiorentini svanì all’istante come per incanto. Timorosi di un’invasione, Firenze mandò numerosi messaggi di supplica all’esule riconoscendone il grande valore e dichiarandosi “orgogliosi” delle gesta del loro conterraneo; si arrivò anche a cancellare ufficialmente, nel maggio 1400, ogni condanna che gravava sul suo capo. Cecco morì in combattimento presso Capua verso il 1409. Eh sì, sarebbe quasi da farci un bel film fantastico, invece è la storia vera di un mugellano dimenticato con un simpatico nomignolo popolare, un Cecco rifiutato dalla sua Patria che divenne protagonista altrove di un’incredibile e vincente parabola umana.