Il pensiero per il 2017 di Sauro Bani. Parliamone, di domenica
Una sincera riflessione sulle nostre regole sociali, l'essere, l'avere e l'apparire. Sullo sviluppo, i rapporti tra Nord e Sud del mondo e i nostri consumi. Un punto di vista che proponiamo ai nostri lettori, scritto da Sauro Bani (presidente della Pro Loco di San Piero a Sieve). Buona lettura:
“Eufemismo”, sostantivo maschile. Si usa in maniera retorica per esempio quando non vogliamo suscitare indignazione o usare un linguaggio troppo crudo. Per esempio, invece di dire che uno è morto, si usa “passato a miglior vita”, “si è spento”, “se n’è andato”. Io penso invece che non si faccia una buona cosa se si usano spesso degli “eufemismi” quando cerchiamo di spiegarci, di dare un senso a quello che facciamo, alle cose in cui crediamo, al senso stesso del nostro vivere. Cercherò quindi nei limiti del possibile e nel solco della chiarezza da me enunciata, di fare un discorso che serva, a quanti mi leggeranno, almeno a fare una piccola riflessione, un’alzata di sopracciglia, se riuscirò a dare un aiuto a capire in quale imbuto ci siamo venuti a trovare. Posso dire… come abitanti della terra. Sto esagerando? Sarò capace di sostenere quello che sento in questo momento? Non sono né un “filosofo” autorizzato, ne’ un politico di rango o un Tiziano Terzani di ritorno. Posso essere al massimo un capo condominio o il “grullo” del paese, quindi sono autorizzato, in forza della mia “scarsa” autorità, a dire quello che penso. Ho solo la terza media e quindi non ho titoli accademici da mostrare. Libertà è anche questo. Poter, ogni tanto, dire quello che pensiamo. Consapevoli che possiamo staccare questo “lasciapassare” ogni tanto, altrimenti non potremmo vivere. Veniamo al dunque. L’anno che è passato è stato un susseguirsi, per la mia persona, di passaggi di vita, diciamo interessanti. Sono diventato nonno e ho fatto due viaggi in paesi estremamente sfortunati, io credo. Uno al nascere di una vita, al pensare cosa potrò trasmettere a questo bambino, perché possa sentirsi bene e vivere con passione la propria vita e un occhio al mondo e alla sua umanità. Una vita nella quale sappia dare un valore al significato “essere” sempre un trattino al di sopra del verbo “avere”, dell’accumulazione fine a se stessa. Perché, e non è una frase fatta, perché avere dei soldi è una cosa necessaria, determinante. Ma vivere, come molto spesso succede, per i soldi o per tutto quello di accessorio si porta dietro, forse un po’ di problemi se li porta dietro. Spesso nelle nostre società lo status comporta la necessità, intrinseca, di apparire sempre adeguato alle circostanze, vestito sempre come si conviene, mantenere un gelido distacco e non scoprire mai quel che spesso ognuno di noi si porta con sè, i propri rovelli, le proprie malinconie. Quindi desidererei, per la parte educativa che viene assegnata ad un “nonno”, servire a mio nipote ad essere il più vero possibile e mostrare quello che è realmente. A dare un senso alla parola amore, ad avere un rapporto di gratitudine nei confronti della natura, del creato che ci circonda, ad avvicinarsi al mondo della creazione artistica, presente in tutti i campi del sapere umano. E questo è quello che riguarda l’aspetto personale, il mio sentire rispetto alla “persona”. Sul secondo enunciato, ovvero il viaggio, vedere il mondo, possibilmente e nei limiti del possibile, da viaggiatore e non da turista, non me la sento di esimermi dal formulare alcune considerazioni. Su questo punto, qualcuno potrebbe obiettare, che il periodo da me passato in questi paesi non sarebbe tale da sostenere delle tesi su di esso o esprimere giudizi. Ma memore di quello che veniva detto nelle sezioni del P.C.I. (sì, il partito comunista italiano, quello di Gramsci e Berlinguer!) quando un “compagno” ritornava frastornato o leggermente “schifato” per quanto aveva visto, anni ‘60/’70, durante un soggiorno nei cosiddetti paesi del “socialismo reale”….”non si possono giudicare o capire questi paesi in pochi giorni di permanenza. Ci vogliono mesi, anni per entrare nel merito delle grandi conquiste del socialismo”. Sappiamo tutti che società infami si erano costruite, sotto il “sole dell’avvenire”. Quindi quegli occhi avevano visto giusto, avevano compreso il dramma umano di quelle popolazioni. Il danno morale e psicologico che veniva inoculato con la “dittatura del proletariato”. Quindi dopo aver visto quest’anno il Vietnam poi l’India, ho la netta sensazione, che il mondo, il nostro mondo, forse, è precipitato in un vicolo cieco. Perché? Non si può vivere in quel modo, con quei livelli di inquinamento e di sfruttamento delle risorse umane. Popoli che hanno costruito, sì costruito, con le proprie mani bellezze monumentali e artistiche che non hanno uguali. Quindi merita andare a vederle. Ma purtroppo l’umanità che ho visto dà l’impressione di essere allo sbando, senza un disegno logico. Di senso del vivere civile. Almeno secondo i nostri parametri di convivenza. E qui sta la mia amarezza, perché lì ho visto la nostra immagine deformata, l’immagine riflessa di quello che siamo noi, del nostro bisogno di accumulare, di avere a disposizione vagonate di merci spesso inutili. Io per primo vittima e carnefice. Immaginiamoci per un attimo se tutti, e parlo dei paesi dove si mangia e ci si veste non per necessità ma per “gola”, iniziassimo a usare prodotti biologici, quindi meno inquinanti ed a vestirsi con abiti cuciti a mano. Forse i 20 mila bambini, dai 5 a i 15 anni che nel Madagascar vengono impiegati per la produzione della vaniglia e il 15 per cento dei ragazzi da 6 e 14 del Bangladesh che cuciono nelle fabbriche di abbigliamento di marchi internazionali, potrebbero andare a scuola e fare quello che pretendiamo, giustamente, facciano i nostri figli. La mia è volutamente una estremizzazione, ma parlo di tendenze, di pratiche quotidiane che piano piano bisogna tendere a mutare. Le città che ho visto sono in un caos di traffico e urbanistico che il rientro in una città come Roma, l’ho salutato come una liberazione. Quindi la parola che mi è salita dal profondo e senza tante riflessioni è… “fortunati”. Sì siamo fortunati, anche il più povero dei poveri in Italia non ha paragone con la sofferenza, la precarietà che ho visto in quei paesi. Se i consigli europei, le riunioni del governo americano o il consiglio de l’ONU si tenessero in prossimità di un qualsiasi crocevia di una città del terzo mondo, forse una mano sulla coscienza qualcuno potrebbe tentare di mettercela. E qui divento “terzaniano”, profetico. Non mi importa di apparire. Bisogna essere. Quindi il nostro mondo è costruito su una catena, una montagna di bugie, di cose non dette, di accordi di ogni tipo che tendono a mantenere lo status quo. Ma purtroppo la realtà è più dura delle nostre riflessioni o seghe mentali. Ed è quindi solo con la politica, la buona politica che si possono costruire tassello dopo tassello, puzzle difficilmente decifrabili. E’ nella pratica quotidiana dell’impegno civile, della conoscenza delle cose, che possiamo dare il nostro piccolo contributo per risolvere i problemi del mondo. Perché arriveranno, arriveranno sempre di più “stranieri”, “marrocchini”, “profughi” in cerca di una mano tesa, di conforto. Negli anni 60, quando andavo alle elementari, ci dicevano che eravamo un miliardo e mezzo di persone in tutto il mondo, oggi siamo quasi sei miliardi. Ci può essere un posto per tutti, ma è necessario un cambiamento di stile di vita. La buona politica deve iniziare a riconvertire, a privilegiare tutto quello che non comporta sprechi di qualsiasi tipo. Bisogna incentivare l’imprenditoria che inventi un sistema di vendita senza involucri e plastiche inutili. Che riesca a sfruttare le risorse naturali vento, sole e maree e abbandonando gli idrocarburi. Per fare questo c’è bisogno di politici che indirizzino, incentivino settori invece di altri ed imprenditori, e ce ne sono, che sappiano coniugare profitto ed etica, per il buon vivere. Quindi c’è bisogno di politica! Non di rifiuto della politica. Questo è quello che penso io. Buon 2017.