La storie della Viareggio Cup: una famiglia di campioni © n.c.
“Nonno” Ercole campione di ciclismo, “Nipote” Alberto promessa del calcio e … “Babbo” Davide buon calciatore. Il paziente districarsi di “Mamma” Samuela. Gualazzini & Cerri famiglia di sportivi. Nella “Viareggio Cup 2014” il Milan, battendo l’Anderlecht in finale, porta a casa il trofeo, ma è Alberto Cerri il vero vincitore della competizione: 6 reti, titolo di Capocannoniere e Golden Boy (Mvp scelto dalla stampa).
Alberto Cerri nato il 16 aprile 1996 a Parma, alto m 1.93 per 82 kg, professione centravanti della Primavera del Parma in Serie A, ma non solo, da molto tempo sta seguendo tutta la trafila delle Nazionali Giovanili, con profitto, fino all'ultima maglia collezionabile dell'Under 21 del ct Luigi Di Biagio. A 16 anni e 348 giorni Alberto si affaccia per la prima volta tra i professionisti:
minuto 76 di Parma-Pescara (2012-2013), mister Roberto Donadoni, sul 3-0, richiama Amauri e manda in campo questo ragazzone degli Allievi Nazionali. “Un'emozione indescrivibile – racconterà Cerri dopo la partita - Prima di entrare non ho pensato niente, ero elettrizzato, ero carico, pronto e niente di più. Avevo gli occhi lucidi quando sono entrato, è stato bellissimo e indimenticabile”.
Alberto Cerri approda nelle giovanili del Parma all’età di 9 anni, dopo aver mosso i primissimi passi nell’US Fulgor di San Secondo. Nella stagione 2010/2011 il suo nome comincia a farsi largo: con i Giovanissimi Nazionali realizza 14 goal in 12 partite e nella stagione successiva viene aggregato agli Allievi, arrivando anche ad allenarsi con la prima squadra.
A febbraio del 2012 l’allenatore della Primavera dei ducali Fausto Pizzi gli regala anche la prima presenza nella categoria. Gambe forti e possenti. Il colpo di testa è ovviamente il pezzo forte della casa anche se sarebbe un errore considerarlo solo e semplicemente un centravanti-boa: la stoffa è di primissima qualità.
Il Parma può vantare uno dei migliori Under 17 d’Europa: stavolta il termine ‘predestinato’ potrebbe essere quanto mai calzante … Il boom arriva però nella stagione 2012-13: a guidare gli Allievi Nazionali del Parma Campione d'Italia è un ex-bomber come Cristiano Lucarelli, che intravede in Alberto Cerri le stimmate del campioncino e non lesina consigli per la sua giovane stella. Il CT dell’Italia Under 17 Daniele Zoratto, altro ex gialloblù, ha dimostrato di credere ciecamente nelle doti di questo giovanissimo corazziere, tanto da affidargli la fascia di capitano della selezione azzurra. Merito anche delle sue innate doti da leader, che lo rendono un naturale punto di riferimento per i compagni. Secondo "Goal.com", la Juventus avrebbe seguito a lungo la stella dell'Under 17 e con grande tempismo sarebbe riuscita a prenotare il calciatore, bruciando la concorrenza dell'Inter.
Alberto Cerri in una recente intervista al Corriere dello Sport ha parlato di se e della sua famiglia. Alla domanda …
Lo sport a casa Cerri è pane quotidiano ed è storia, grande storia. Parliamo di nonno Ercole, Ercole Gualazzini, il papà di mamma Samuela: “un signore” che tra gli anni Sessanta e Settanta ha vinto un po’ di tappe tra il Giro e il Tour. Cosa ti ha insegnato nonno Ercole, cosa continua a trasferirti?
"Nonno è una persona speciale. Non mi ha mai fatto pesare il suo passato di ciclista, non me lo ha mai messo davanti come se lui fosse il modello sportivo a cui arrivare. Mi ha trasferito il sacrificio dello sport che lui ha praticato e la fatica nel conseguire certi risultati. I suoi racconti mi servono a ragionare su quanto può ritenersi fortunato qualsiasi ragazzo che alla mia età ha fatto già il mio percorso".
Nelle tue partite sai che ti giri e c’è nonno Ercole in tribuna?
"Ogni volta che può sì. E dovreste vederlo. Non riesce a star fermo: io scatto e lui mi corre dietro lungo i gradoni della tribuna, faccio il percorso al contrario e sembra che mi segua".
Quasi fosse ancora sulla bici. E papa Davide?
"Papà è papà, fantastico. E lui non parla di aspetti tecnici con me. Si è sempre preoccupato di inculcarmi i valori giusti. La mia famiglia è un riferimento da cui non posso prescindere: papà, mamma, mia sorella Giorgia. Sono la mia forza".
In una nota dal sito http://www.settorecrociatoparma.it scopriamo chi era (calcisticamente parlando) Davide Cerri, il “babbo” di Alberto. Un passato nella Primavera e Berretti del Parma con Alessandro Melli (tra gli altri). “Babbo” Davide, classe 1969, pure lui zgondèn, il primo giugno 1986 debuttò con i crociati parmensi in Parma-Sanremese, promozione in Serie B, Arrigo Sacchi allenatore, brindata con una sua rete, dopo quella di Marco Rossi.
Davide Cerri da San Secondo Parmense, approdato al vivaio del Parma Calcio, fino alle formazioni Primavera e Berretti, allenate dal povero Bruno Mora (Parma, 29 marzo 1937 – Parma, 10 dicembre 1986) è stato un calciatore e allenatore di calcio italiano, di ruolo ala destra. In Serie A giocò con Sampdoria, Juventus e Milan. Con i rossoneri vinse la Coppa dei Campioni nel 1963 a Wembley contro il Benfica, la coppa Italia nel 1967 e lo scudetto nel 1967-68. Giocò 21 partite nella Nazionale italiana realizzando 4 gol e fece parte della squadra azzurra anche ai mondiali di calcio 1962. Un grave infortunio (frattura scomposta di tibia e perone, causata da uno scontro di gioco con il portiere del Bologna Giuseppe Spalazzi) gli impedì di prendere parte all'edizione dei mondiali di calcio del 1966, e gli compromise la prosecuzione della carriera ad alti livelli. Ha concluso la sua carriera agonistica con il Parma nelle serie minori. In carriera ha totalizzato complessivamente 245 presenze e 62 reti in Serie A. È deceduto nel 1986 all'età di 49 anni a causa di un tumore allo stomaco), da Maurizio Battistini (18 febbraio 1945 è un allenatore di calcio italiano. Inizia ad allenare nella provincia parmigiana per poi esser chiamato a guidare la Primavera del Parma, tra i suoi giocatori vi era anche Alessandro Melli. Lasciata la panchina crociata passa ad allenare la primavera del Taranto e poi quella del Brescia e infine quella del Venezia. Dopo diverse esperienze a livello giovanile e semiprofessionismo, comincia la sua esperienza nel calcio estero. Viene prima chiamato a collaborare con la nazionale della Libia e ad allenare la selezione olimpica, poi passa ad allenare in Romania per poi esser chiamato a guidare il Parmalat FC, formazione del Nicaragua di proprietà della Parmalat. Durante la sua esperienza in Centro America sarà anche scelto a guidare la nazionale. Nel 2004 decide di tornare in Europa e viene chiamato ad allenare per la stagione 2004/2005 il Bellinzona e nel 2009 ad allenare in Italia nel settore giovanile del Audace Parma) e da Ermes Polli (Parma, 9 maggio 1937 di ruolo difensore. Disputa l'intera carriera con il Parma giocando sette campionati di Serie B per un totale di 190 presenze e 2 reti, prima della retrocessione in Serie C avvenuta nel 1965 e di quella successiva in Serie D. È il secondo calciatore per numero di presenze con la maglia del Parma alle spalle di Ivo Cocconi, poi una lunga carriera come allenatore nelle giovanili).
Da lì, Davide Cerri, tante belle onorevoli stagioni nei campionati dilettantistici, principalmente come ala destra, cominciando con la maglia del Colorno (con la Casalese 1994/1995 fu promosso in Serie D), insieme a ex compagni del Settore Giovanile del Parma come Alberto Setti, Danilo Pioli e Francesco Bertolotti.
Come una routine tutti i siti specializzati ( come ad esempio Storia di Ercole Gualazzini) descrivono con queste poche righe Ercole Gualazzini: atleta possente e rapido negli arrivi avrebbe potuto vincere di più se, anche per il suo temperamento generoso, non avesse preferito eseguire con dedizione e slancio un gioco tattico a vantaggio dei leaders delle sue équipes, in particolare di Felice Gimondi, Roger De Vlaeminck, Patrik Sercu e giuseppe Saronni. Dopo un paio di stagioni a secco di vittorie con la Salvarani passò alla Max Meyer con la quale nel '69 ottenne la sua prima vittoria: la tappa di Bilbao nel Giro di Spagna. Rientrato alla Salvarani si assicurò, vincendo anche due delle tre tappe, il Giro dell'Indre et Loire '70 quindi la tappa di Benevento del Giro '71; quella di St. Jean de Monts nel Tour '72 e di Olbia nel Giro di Sardegna '73 con la Bianchi. Passato alla Brooklyn vinse ancora una tappa del Giro (Valenza) e una del Tour (Roscof) nel '74. Nel Giro d'Italia vinse ancora a Verona nel '76 e a Trieste nel '77 per la Scic, con la quale s'impose pure nella Sassari-Cagliari d'inizio stagione. Dopo tredici stagioni da professionista, alla fine del 1978 si ritira dall'attività agonistica con un palmares di una dozzina di vittorie.
Secondo la libera enciclopedia on-line Wikipedia: Ercole Gualazzini (San Secondo Parmense, 22 giugno 1944) è un ex ciclista su strada italiano. Professionista dal 1966 al 1978, conta la vittoria di quattro tappe al Giro d'Italia, due tappe al Tour de France e una alla Vuelta a España. Corridore con caratteristiche di passista veloce, ottenne dodici successi da professionista. I principali furono una tappa alla Vuelta a España 1969, il Tour d'Indre-et-Loire nel 1970, una tappa al Giro d'Italia 1971, una tappa al Tour de France 1972, una tappa al Giro d'Italia 1974, una tappa al Tour de France 1974, una tappa al Giro d'Italia 1976, una tappa al Giro d'Italia 1977 e la Sassari-Cagliari nel 1967. Fu gregario di Felice Gimondi, Roger De Vlaeminck, Patrick Sercu e Giuseppe Saronni.
Troppo poco per comprendere l'”anima” dell'uomo e dell'atleta Ercole Gualazzini. Per questo motivo a seguito due estratti da pubblicazioni specializzate e non, che in qualche modo riescono a dare uno “spaccato” dell'uomo e dell'atleta.
Peccato che certe conoscenze del passato si perdano di vista. Bisognerebbe, ogni tanto, sentirsi. Per rievocare, volendo, ma anche per parlare del presente, delle cose (belle e brutte) che ci riserva la vita. Forse esagero, ma a parer mio dovrebbe esistere un codice che ci impone un comportamento del genere. Se non altro, saremmo meno egoisti, più aperti, più solidali con questo e con quello.
Io ho la fortuna di essere un vecchio cronista e non è poco perché portato ad interpellare personaggi che hanno inciso nel mio lavoro e che affiorano nei ricordi di epoche lontane. Così, pur rimanendo tanti i dimenticati, nella mia rubrica appare Ercole Gualazzini, l'emiliano di San Secondo Parmense, cinquantasette anni, professionista dal' 66 al '78, un passista veloce ben corazzato, vedi l'altezza (1,81 metri) e il peso (83 chili). Il Gualazza prorompente nel fisico e nelle prestazioni, gregario di Adorni, Gimondi, Motta, Basso, Zilioli, Sercu, De Vlaeminck e Saronni.
Gregario eccellente, capace di imporsi nelle poche giornate di libertà. Dodici volte ha alzato le braccia al cielo in segno di vittoria, ma pur avendo gioito in quattro tappe del Giro e in due del Tour, il successo che più gli rimane caro è stato quello conseguito in una prova del Giro di Sardegna nel giorno in cui è nato il secondo figlio.
Gualazzini il contestatore, o meglio il sindacalista che non aveva peli sulla lingua quando i percorsi mettevano a repentaglio la pelle dei corridori. In una tappa del Giro che terminava a Gabicce Mare c'era una discesa pericolosa e dopo una vivace discussione con Vincenzo Torriani, l'intero gruppo ottenne ciò che Ercole andava sostenendo da tempo e cioé un gettone di presenza, un "cachet" che è poi entrato nel regolamento dell'avventura per la maglia rosa.
Gualazzini che veniva da me per chiedermi se era giusto il suo comportamento. Già, da lui e dai suoi colleghi, venivo apprezzato per le attenzioni e le polemiche ancora oggi d'attualità e che si riferiscono all'ingordigia e all'insensibilità degli organizzatori nei riguardi di chi tiene in piedi la baracca. Devo aggiungere che nell'epoca dei Gualazzini e dei Gimondi i corridori erano più combattivi nei colloqui coi padroni del vapore e per quanto mi riguarda voglio anche precisare che non mi sono mai considerato un sobillatore. Non approvo le esagerazioni, chiedo maggior rispetto per chi fatica, vorrei un sindacato più compatto, più intelligente, più forte. Punto e basta.
Tornando a Gualazzini, penso che nelle vesti di pedalatore sia stato un degno rappresentante della categoria, onesto e generoso, persino un maestro se andiamo col pensiero al Saronni prima maniera, il Saronni che ha ricevuto ottimi consigli da Ercole. La modestia, la fedeltà agli ordini di scuderia, l'amicizia coi compagni di squadra hanno contraddistinto la carriera di uno scudiero che per i suoi valori avrebbe potuto, come dire?, essere un pochino egoista e meno disponibile verso gli altri. Sicuro, ad ogni modo, che Gualazzini non ha nulla da rimpiangere. Ho risentito la sua voce, anzi il suo vocione al telefono, ho appreso che sceso dalla bici ha trovato un impiego in banca, che è nonno due volte, eccetera, eccetera. Nessun riferimento critico ai suoi trascorsi ciclistici, nessun rimprovero a questo o a quello. Soltanto la contentezza di aver dato, di aver sofferto per onorare il mestiere e di ritrovarsi con una bella famiglia.
Caro Gualazza, non sei cambiato per niente, sei rimasto giovane, sei il ritratto di un uomo che ha amato il ciclismo. Appena c'incontreremo, stapperai una bottiglia del tuo Lambrusco e insieme alzeremo i calici per un brindisi che vorrei legare all'attualità. Come tu sai, c'è bisogno di un'inversione di rotta perché i tempi sono cambiati in peggio, purtroppo. Perché dobbiamo ritrovare quella gioia che distingue la nostra disciplina. Ho vissuto il Giro d'Italia del 2001 tra mille tristezze, spero in un ravvedimento generale, in una presa di coscienza sufficente per uscire dal buio del tunnel.
Ercole Gualazzini, «sgundén» purosangue, è il parmense che, dopo Adorni, ha vinto più tappe al Giro d’Italia: quattro, più una crono-staffetta con la Salvarani, che nel 1971 aprì la sua serie di vittorie nella corsa rosa. La prova a squadre, da Lecce a Brindisi, inaugurava il Giro di quell'anno. Sull'ammiraglia Salvarani c'era proprio Vittorio Adorni, che aveva da poco appeso la bicicletta al chiodo. Nel Salento le maglie azzurre rifilarono 3' alla Molteni e 43' all’altra squadra parmense, la Scic, che però ebbe modo di rifarsi nella seconda tappa, la Bari-Potenza, dove il capitano Enrico Paolini batté Gianni Motta, ribattezzato «Steve Mc Queen» per la straordinaria somiglianza con l’attore americano che spopolava in quegli anni. Motta, come Gimondi, era uno degli uomini di punta della Salvarani. Il giorno dopo fu la volta della Potenza-Benevento, 177 chilometri su e giù nel cuore del Mezzogiorno. «Volevamo cancellare lo smacco del giorno precedente - racconta Gualazzini, nato a San Secondo il 22 giugno del '44 - per cui provammo subito a prendere in mano la situazione. L’obiettivo era quello di vincere con Zandegù, il nostro velocista». Quella tappa fu un’odissea. Dopo cinquanta chilometri un cane attraversa la strada: Bergamo e Balmamion finiscono all’ospedale. Poi la lunga fuga solitaria di Ole Ritter, passistone danese della Dreher che l’asfalto se lo beveva. Quindi ecco la Salvarani: si muove sua maestà Gimondi con Nicoletti, inghiottiti però dal gruppo a una ventina di chilometri dalla fine. Sono fuochi d’artificio. Tentano l’allungo Mori, Polidori, ancora Gimondi. Invano. Intanto Gualazzini fora. Niente paura, ci pensa un altro parmigiano, il generosissimo Emilio Casalini, a riportarlo dentro. Meno cinque: schizza via Van Springel, lo segue il redivivo Polidori. Ma a due chilometri dall’epilogo sono tutti ripresi, pure Ritter. Gruppo compatto. Al triangolo rosso Rinus Wagtmans, fedele luogotenente di Merckx (che non prese parte a quel Giro) spara le sue cartucce. Ma dietro ci sono loro, i due parmensi: Casalini è un treno, Gualazzini un aereo pronto al decollo. Wagtmans è riassorbito dal gruppo. Ultima curva, 500 metri dall’arrivo. Ercole la imbocca per primo, dà una «trenata» che leva tutti da ruota. Si volta indietro: Zandegù non si vede, in compenso s'è preso quindici metri sul gruppo. Così tira dritto. Intanto Zandegù cade ai 200 metri, lo travolgono una dozzina di corridori. Ercole è davanti, vede la linea bianca. Dietro sono in rimonta, ma per mezza ruota resiste. La tappa è sua. Si volta: ha preceduto il più grande pistard di sempre, Patrick Sercù, e il campione del mondo della stagione successiva, Marino Basso. Così: per caso e con l’aiuto dell’amico Emilio. Quel Giro (per la cronaca) lo vincerà Gosta Petterson, il più vecchio dei quattro fratelli svedesi che allevavano Chihuahua. «Non ero un velocista - ricorda Ercole - ma un passista veloce. Ero un gregario che ogni tanto aveva via libera e la sfruttava. Ho vinto 15 corse: roba buona, nessun circuito. Tappe in tutti i tre grandi giri. Ma la vittoria più bella risale al 1973, tappa di Olbia al Giro di Sardegna: mentre battevo Merckx e ancora Sercù, a Parma nasceva mio figlio Antonio ».
Il 10 ottobre 1965, supera l'esame di ammissione al professionismo vincendo il Piccolo Giro di Lombardia, battendo Franco Plebani e Bruno Centomo (un paio di stagioni da professionista: 1966 con la “Legnano-Pirelli” che aveva in Silvano Schiavon, Adriano Passuello e Flaviano Vicentini come uomini di punta e nel 1967 con la “Mainetti” che aveva in Marino Basso capitano e tra le sue fila Lucillo Lievore, passato alla storia del ciclismo televisivo con l'appassionante intervista in corsa al Giro d'Italia a cura di Sergio Zavoli). Manifestazione con un albo d'oro da “brividi”, chi ha vinto questa gara è sempre stato un “predestinato”.
Tra le grandi corse ciclistiche mugellane, sul gradino più alto senza dubbio dobbiamo inserire la “Coppa della Liberazione” di Borgo San Lorenzo. Dal 1946 una delle massime espressioni ciclistiche nazionali categoria allievi. “Nel 1946, quando il Mugello portava ancora i segni delle devastazioni belliche, pensammo di organizzare questa grande manifestazione sportiva per lanciare a tutti un messaggio di pace e di vita che sconfiggesse anche nell’animo lo spirito della guerra”. Queste le parole, oggi come allora sacrosante, sono pubblicate da anni nel volumetto di presentazione a cura del Comitato Organizzatore della “Coppa della Liberazione”, gara nazionale ciclistica per allievi che si disputa a Borgo San Lorenzo. Un riconoscimento al merito anche ad Amilcare Giovannini, appassionato di ciclismo com’era, lo vediamo in quegli anni prima fondare nel 1946 il Gruppo Sportivo Bartali di Borgo San Lorenzo, dopo che con alcuni amici si era attivato autonomamente sia il Club Ciclo Appenninico 1907 che l’A.S. Fortis Juventus 1909, poi organizzare l’11 settembre 1946, giorno della liberazione di Borgo San Lorenzo, la prima Coppa della Liberazione (così anche nel 1947 e 1948) che nel tempo, come tutti sappiamo, doveva diventare la più prestigiosa manifestazione ciclistica giovanile d’Italia.
Sfogliando l'album dei ricordi, ovvero l’albo d’oro della manifestazione comprendiamo meglio l’importanza che questa manifestazione, col passare degli anni, ha acquisito. Un traguardo “cruciale” per un allievo ciclista, una tappa fissa stagionale per ogni gruppo sportivo che lavora in questo settore e in questa categoria. Tutti i migliori ciclisti professionisti italiani dal 1946 ad oggi sono passati da Borgo San Lorenzo, molti di loro hanno concluso il “Coppa della Liberazione” nelle prime tre posizioni, quelle che contano, molti di loro si sono “arresi” agli strappi mugellani e al ritmo della gara.
Due nomi su tutti: Gianni Motta (terzo classificato nel 1961) e Danilo Di Luca (vincitore nel 1992), e poi, poi tanti eccellenti ciclisti sul podio che hanno lasciato, ognuno a modo suo un’impronta nel ciclismo o, semplicemente un’onesta carriera. Uno di questi è il protagonista della nostra storia.
Succedeva, vincitore nel 1962, a Giampiero Martelli (sempre della U.S. Amatori Parma) nato a Parma il 28 agosto 1943, una breve parentesi professionistica con la mitica “Salvarani” di Vittorio Adorni e Felice Gimondi dal 1964 al 1966.
Precedeva, vincitore nel 1964, Giacomino detto “Mino” Denti nato il 5 febbraio 1945 a Soncino (CR). Professionista dal 1967 con la “Salvarani”, nella massima categoria un solo successo nel 1969 con i colori della “Scic”. Con Pierfranco Vianelli, le due più grandi delusioni del ciclismo italiano, dopo che tanto avevano promesso nelle serie inferiori. Giacomino Denti, da dilettante Campione del Mondo a Squadre nel 1965 e vincitore del Tour dell’Avvenire sempre nel 1965. I suoi team: 1967 “Salvarani”, 1968 “Faema” (con Vittorio Adorni e Eddy Merckx capitani), 1969 “Scic” (con Vittorio Adorni capitano), 1970 “Scic”. Dopo aver appeso la bici al chiodo, Denti ha cambiato sella ed è passato a quella da equitazione, complice un amore a prima vista - ma i cui presupposti albergavano da sempre in lui grazie alla passione per i cavalli coltivata in famiglia da generazioni - per questa razza rara. Negli anni Novanta si iniziava appena a parlare di perestroika. Le possibilità di avere informazioni e le occasioni per andare oltre confine alla ricerca del cavallo d’oro erano ancora remote. Ma si sa che, quando la buona sorte ci mette lo zampino, se Maometto non va alla montagna può succedere che sia quest’ultima a dirigersi verso il profeta. E così è stato. Alla Fieracavalli di Verona, nel 1991, arrivano alcuni stalloni Akhal Teké per un numero circense del gala serale e l’intraprendente Mino (potrebbe, un bresciano doc, essere diversamente?) riesce, con qualche stecca di sigarette e un paio di bottiglie, a farsi amica la troupe e ad acquistare, a manifestazione finita, un puledro di due anni: Myzar. Ha così inizio l’avventura del signore della steppa in quel di Travagliato.
La mattina del 28 maggio 1977 il Giro d'Italia arriva nel Mugello da Forlì, 103 km e vince Freddy MAERTENS, in 2h51'24” alla media oraria di 36.056, battendo in volata nell'ordine Rik VAN LINDEN, Marcello OSLER, Miguel Maria LASA URQUIA e Marino BASSO. Freddy Maertens sul celebre circuito motoristico, disputò una volata a colpi proibiti con Van Linden, la vinse, ma cadde fratturandosi il polso. Fu il colpo di grazia, la lesione non guarì più totalmente e il suo fragile equilibrio si incrinò.
Nel pomeriggio del 28 maggio 1977 si disputa all'interno dell'Autodromo del Mugello la seconda semitappa giornaliera: 79 km. In 1h 48' 56'' alla media di 43.513 km/h vince Marino BASSO battendo in volata Piermattia GAVAZZI e il nostro Ercole GUALAZZINI.


