Nel mio libro sui personaggi mugellani, un capitolo a parte è dedicato a protagonisti della Storia che vissero in Mugello, diciamo così, delle “avventure” oppure vi soggiornarono più o meno a lungo. Tutti sanno che dalla valle transitarono i grandi Benvenuto Cellini, Donatello, Telemaco Signorini, Giuseppe Garibaldi; pochissimi invece conoscono le storie “mugellane” di Amerigo Vespucci, Giacomo Casanova, Giovanni Fattori, Alessandro Volta e via dicendo.
Tutte storie documentate ampiamente nel mio libro, lo dico per farvi venire un po’ di curiosità...
Uno dei personaggi profondamente legati al Mugello, poiché la famiglia aveva da molto tempo case ed estesi possedimenti nella zona di Fagna, fu senz’altro Niccolò Machiavelli. A Scarperia era molto conosciuto, anche per gli stretti rapporti tenuti con i potenti Vicari e per i tanti poderi di famiglia disseminati intorno alla chiesa di Fagna, a sud del paese proprio nell’area che fu la primitiva culla degli Ubaldini.
Persino la gloriosa pieve di Santa Maria a Fagna era sotto il giurispadronato dei Machiavelli, come dimostra una lettera di supplica per la corte papale che Niccolò scrisse nel 1497 a un prelato romano per difendere la proprietà dalle pretese della famiglia Pazzi.
Nei primi anni del Cinquecento Niccolò Machiavelli fu assiduamente in Mugello. Ma quali erano i motivi di questa sua presenza?
Dovete sapere che erano tempi di guerra, i Medici minacciavano la libertà repubblicana, e Firenze aveva bisogno di un esercito fidato per difendere i confini; così Machiavelli venne in Mugello per arruolare come soldati i contadini, cosa che gli consentiva di evitare la guerra ai preziosi artigiani fiorentini. In questo senso, la terra d’origine della famiglia, il Mugello, era sicuramente il posto migliore.
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La sua non era peraltro un’idea originale in assoluto. Già dal Duecento gli eserciti del Comune erano composti in gran parte dagli abitanti del contado; ce ne possiamo rendere conto consultando il lungo elenco di uomini arruolati (suddivisi per pievi) contenuti nel Libro di Montaperti nell’occasione di quella guerra. Poi, dalla fine del Trecento era prevalsa la logica dei mercenari, uomini di dubbia moralità, orde di vandali che avevano solcato le campagne toscane mettendo tutto a ferro e fuoco. Dei mercenari anche come fedeltà alla causa non ci si poteva fidare, e così Machiavelli rispolverò la logica dei soldati territoriali che avevano sicuramente più motivazioni (dovevano difendere le loro terre) e più amore di bandiera.
Firenze, diceva il nostro uomo, doveva insomma dotarsi di una “milizia propria”; i rappresentanti fiorentini lo ascoltarono, compresero il problema e così fu concessa al “Segretario” la prima patente di reclutatore con l’autorizzazione a recarsi in primis in Mugello, dove avrebbe potuto iscrivere nell'esercito gli uomini atti alle armi "che a lui pareva e piaceva". Così, dall’inizio del 1505 il nuovo Segretario della Repubblica fiorentina, in accordo con il Soderini, fu occupato in quel compito, iniziò a censire per il dominio gli uomini da arruolare, robusti e battaglieri, temprati alla fatica e al sacrificio.
Delle varie missioni resta una precisa traccia nelle lettere che intercorsero tra Niccolò Machiavelli, il Magistrato dei Dieci e i vari Podestà o Rettori dei luoghi dove si recava.
Sappiamo così che Machiavelli fu a Borgo San Lorenzo e poi dal 3 febbraio a Dicomano e San Godenzo, mentre il giorno 5 era già arrivato a Pontassieve. Non fu certamente un lavoro facile. Trovò non poche difficoltà a “raccozzare insieme uomini contadini, e di questa sorta”, come lui stesso li definì impietosamente. Scrisse Machiavelli ai “Nove ufficiali della milizia” in una lettera spedita da Pontassieve nel febbraio: “… lunedì mi trasferii a Dicomano, dove avevo ordinato per avanzar tempo che fussino gli uomini di quella Potesteria; ma non mi riuscì, perché non vi trovai se non quelli della lega di Dicomano, e di quelli della lega di S. Gaudenzio non ve ne era venuto veruno, ondechè il martedì mi trasferii a S. Gaudenzio, dove per la grazia di Dio vennono buona parte degli uomini di quella lega, tantochè nell'una e nell'altra lega, cioè in tutta la Potesteria di Dicomano, ho scritto dugento uomini, …(omissis)… è stata una fatica grandissima a condurli per dua cagioni; la prima per la loro consueta e antica inobbedienza, l'altra per l'inimicizia quale è fra quelli da Petrognano ed i Campani …”.
Insomma, diversi convocati diedero “buca” per quel campanilismo ben radicato che già allora opponeva gli abitanti delle varie frazioni. In quei giorni fu continua anche la corrispondenza tra Machiavelli e le autorità, come si evince da questa lettera delle autorità fiorentine datata 13 gennaio al Vicario mugellano, Mariotto di Piero Rucellai: “…Tu sai perché ragione noi mandammo a questi di passati Niccolò Machiavelli nostro al Borgo a S. Lorenzo, … (omissis)…. Sarà detto Niccolò o nel castello del Borgo, o a casa di Antonio del Rabatta, che è propinqua a detto castello. Fai quanto ti commettiamo non manchi”.
Alcuni anni dopo nel 1511 Niccolò Machiavelli tornò ancora in Mugello, e gradualmente l’arruolamento nel contado diventò una routine. Ma già nel febbraio 1506 un esercito di 400 fanti arruolati da Machiavelli in campagna e vestiti di un "farsetto bianco, un paio di calze alla divisa bianche e rosse, e una berretta bianca, e le scarpette, e un petto di ferro e le lance e a chi scoppietti" sfilava in piazza della Signoria davanti a un popolo decisamente incuriosito