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Morte Astori: la corte d'appello conferma la condanna

“Ignorate le buone pratiche del medico sportivo”.La difesa: “Faremo ricorso in Cassazionione".

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Il capitano della Fiorentina Davide Astori morto nel 2018 Il capitano della Fiorentina Davide Astori morto nel 2018 © n.c.
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Confermata la sentenza di primo grado e condanna di un anno con risarcimenti in favore della compagna, della figlia e dei genitori e fratelli del calciatore.

Come si legge sul quotidiano La Nazione, è questo in sostanza l'esito del secondo grado del processo che vede imputato il direttore della medicina sportiva di Careggi, Giorgio Galanti, nel processo sulla morte del capitano della Fiorentina Davide Astori, deceduto 6 anni fa nel marzo del 2018 a Udine, in albergo, la notte prima della gara che avrebbe contrapposto i viola all'Udinese.

Stando a quanto asseriscono i giudici della corte di appello di Firenze, di fronte ad un “sospetto clinico motivato” il direttore di Careggi agì “in netto contrasto con le linee guida dello specifico settore e con le buone pratiche clinico assistenziali”.

A Galanti sarebbero addebitate la responsabilità dei mancati accertamenti sul cuore del capitano della Fiorentina nelle prove da sforzo per l'idoneità agonistica svolte nel luglio del 2016 e 2017, in quanto, secondo l'accusa, le extrasistole al cuore emerse già nei test del 2014 quando il numero 13 della Fiorentina giocava nel Cagliari, avrebbero imposto accertamenti di secondo livello che avrebbero potuto portarlo a uno stop dall'attività agonistica. 

Stando a quanto dicono i giudici Angela Maria Fedelino, Massimiliano Signorini e Francesco Pallini, Galanti “degradò” le linee guida previste dai protocolli della medicina sportiva “a semplici schemi di indirizzo”.
Per gli esperti, una volta scoperta la cardiomiopatia aritmogena, Astori si sarebbe potuto salvare attraverso l'impianto di un defibrillatore sottocutaneo.

Il legale del medico, l’avvocato Sigfrido Fenyes, ha annunciato che presenteranno ricorso specificando che la sentenza “non sia condivisibile” perché “contravviene alle regole dell’accertamento del nesso di causa indicate dalla stessa Cassazione”.

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