Venerdì 26 ottobre, si è tenuto al Cinema Garibaldi di Scarperia, organizzata dall'associazione culturale Arzach, una serata dedicata al tema dell'accoglienza e della solidarietà nei confronti dei "migranti", denominazione generica che accomuna le moltitudini di esseri umani che per vari motivi fuggono dalle loro aree di vita in cerca di nuove possibilità di esistenza. Un tema che dovrebbe essere di particolare urgenza e meritevole di una forte riflessione, in un momento politico in cui si tende a ridurlo a questione di ordine pubblico e a questione di interesse elettoralistico fomentando la paura di una invasione che non esiste nei fatti reali: quindi, un tema "scomodo" ed ambiguo che deve invece essere analizzato alla luce della realtà e di quello che sta in verità accadendo intorno a questo fenomeno. Caratteristiche, queste, che da sempre contraddistinguono il senso dell'impegno di Arzach che ha fatto dell'"andare oltre l'ovvio" la sua caratteristica principale, come dimostra anche l'impegno a sostegno del cinema di qualità, che rappresenta da sempre il centro della sua iniziativa a Scarperia. La serata del 26 ottobre scorso, forte di una grossa cornice di pubblico partecipe ed attento (con presenze da tutta la provincia) ha avuto come contorno un breve concerto di musica tradizionale del Gambia e del Mali ed una mostra di foto di Francesco Noferini che ritraggono donne africane di varia età e nazionalità. Si è passati quindi alla presentazione del libro "Non lasciamoli soli", presentato dalla sua autrice Alessandra Ziniti, giornalista di "la Repubblica". L'autrice ha illustrato il suo lavoro, frutto di un incessante ricerca di testimonianze da parte di chi è arrivato in vario modo nel nostro Paese, con l'obbligo di fermata in Libia come da accordi realizzati dal governo Gentiloni. Le testimonianze sono state raccolte principalmente grazie alla meritoria azione di "Medici senza Frontiere": racconti di una realtà agghiacciante, che danno l'idea di una programmatica azione di "vigilanza preventiva e repressiva" (detto con le parole della giornalista) attuata da sedicenti forze armate di un paese (la Libia) che politicamente non esiste più, sorretto solo da una indicazione generica internazionale di comodo mentre la realtà parla di un territorio dilaniato e percorso da bande di sfruttatori di esseri umani per gli scopi più turpi: abusi sessuali, torture, assassinii..... Particolarmente toccanti gli episodi di adolescenti sfruttati con il compito di "becchini", incaricati di spogliare i cadaveri di ogni avere (un orologio, una catenina, un ricordo....) e di seppellirli sommariamente. Così come toccanti sono le testimonianze delle poche donne sopravvissute alla "pulizia libica", abusate, violentate, toccate per sempre da questo passaggio spaventoso. Tutto questo, nel totale disinteresse ed ignoranza dell'opinione pubblica che non conosce questo dramma epocale, perché consumato lontano dai nostri occhi e dalle nostre televisioni. Invece la realtà e questa e, come dice una delle testimonianze raccolte, l'inferno esiste davvero ed è in Libia. In tanto buio, l'autrice ci ha parlato anche di qualche piccola luce, andando di persona a cercare quei pochi che ce l'hanno fatta, come il caso di un giovane gambiano che è riuscito a raggiungere la Svezia (paese che ha un suo codice di accoglienza, rigido ma che dimostra di funzionare) dove ora vive lavorando come autista.