La generazione che ha vissuto gli anni bui del Novecento sta pian piano scomparendo, e i testimoni superstiti dell’orrore dei campi di sterminio sono sempre meno. Ai tempi erano bambini, o tutt’al più adolescenti, ma l’inferno che hanno attraversato lo ricordano nitidamente ancora oggi. Inferno è un termine di un certo peso, ma non credo ce ne sia uno migliore per descrivere la vita in un campo di sterminio. Iconica è l’immagine dell’entrata di Aushwitz fotografata da uno dei binari d’arrivo. L’ingresso, che sorregge un edificio con due finestrelle ai lati e un tetto a forma triangolare, ricorda il volto di un uomo malvagio che ingoia tutto ciò che entra. E infatti la stragrande maggioranza di chi ne ha varcato la soglia non ha mai fatto ritorno. I pochi che sono riusciti a sopravvivere affermano che chi non ha vissuto un’esperienza simile, non potrà mai capire lo smarrimento e il dolore che provarono.
La Germania nazista fece costruire i campi di sterminio con lo scopo di trucidare coloro che venivano ritenuti responsabili dell’imbarbarimento dei popoli europei e del collasso della Germania: gli ebrei. Oltre a loro, basandosi su una fantasiosa e razzista scala gerarchica, gli appartenenti ai popoli e alle etnie ritenuti inferiori alla stirpe germanica, come gli ebrei e i rom, minoranze considerate aborti della natura, come omosessuali e handicappati, oppositori del regime e molti altri componenti di gruppi non conformi alla visione del mondo nazista, come i Testimoni di Geova. Un genocidio costata la vita a più di sei milioni di persone. Una tragedia partorita dal pensiero prima, e dalle azioni poi, di un uomo senza scrupoli, vittima della sua ideologia che ha portato il mondo al disastro.
Il giorno della memoria, che viene celebrato ogni 27 Gennaio, commemora le vittime dell’Olocausto. Commemorare in questo caso equivale anche a ricordare una pagina di storia buia, dove l’essere umano si è macchiato di crimini e violenze sistematiche. Non era mai successo che venisse allestito un sistema per fare fuori quante più persone possibili; un inferno terreno dove i diavoli erano gli addetti ai lavori.
Ma a cosa serve ricordare? E perché sentiamo la necessità di farlo? Qualcuno potrebbe pensare: non sarebbe meglio dimenticare, e fare finta che il passato non esista? Perché non ripartire da adesso?
La risposta è che soltanto conoscendo gli errori passati possiamo evitare di commetterne altri in futuro. Ricordare significa avere sotto gli occhi le azioni dei nostri fratelli maggiori, ossia i nostri antenati. Per comprendere l’oggi, dobbiamo guardare a ieri. Posso riconoscere un individuo come Hitler solo se ho presente il suo modo di parlare e agire, i suoi deliri confusi per perle di saggezza, il suo rapportarsi con la società. E’ così che ho la facoltà di impedirne il ritorno.
Dimenticare il passato significa condannare l’umanità alla ripetizione. L’eterno ritorno di Nietzsche ha un’arma: la conoscenza del tempo che fu.
L’insegnamento scolastico deve gravitare intorno alla storia, diventata oggi una materia secondaria rispetto alle materie tecniche e scientifiche. E’ pur vero che viviamo in un mondo tecnologicamente avanzato, ma potrebbe perire da un giorno all’altro se non siamo allenati a scovare i pericoli a cui può andare incontro. Pericoli che la maggioranza delle volte scaturiscono da individui malvagi che ambiscono al potere assoluto. Ecco svelata la funzione principale della storia: conoscere il male compiuto per puntare al bene.
A differenza di quanto sostengono molte dottrine psicologiche, che non indagano il passato di uno specifico individuo per spiegare un disturbo che si manifesta nel presente, ma anzi tendono a farglielo dimenticare, ciò non deve accadere per il passato della collettività. Siamo individui singoli ma anche collettivi, e ciò che vale per il singolo può non valere per l’insieme in cui è inserito. Forse, come disse Jung, dobbiamo essere astorici quando riflettiamo su noi stessi, ma storici quando lo facciamo sulla società in cui viviamo.
Parlare dell’Olocausto fa male, i bambini non riescono a credere che possa essere davvero accaduto, ma è un dovere farlo. Perché non accada mai più.
Paolo Maurizio Insolia