Ormai tutti i nostri lettori conoscono la storia, le radici e le vicessitudini sul futuro della Ex Ceramiche Brunelleschi. Nel corso del 2020, infatti, Ok!Valdisieve grazie alla rubrica "Nuova Brunelleschi" (Clicca qui per leggere tutti gli articoli) si è dedicato settimanalmente e a più riprese del tema con video-interviste, testimonianze , foto dell'epoca e attuali. La rubrica ha riscosso da subito successo dato che il tema è da sempre molto a cuore ai cittadini del Comune di Pontassieve e di tutta la Valdisieve.
Oggi torniamo a parlare di "La Fornace Brunelleschi" o "delle Sieci", nel comune di Pontassieve, che è stata per anni il cuore economico del territorio. Qui sono stati prodotti mattoni, “tomettes” (piastrelle esagonali per pavimenti) ed è sempre in questo posto che ha operato la prestigiosa "Brunelleschi Ceramiche" che ha chiuso i battenti nel 2012. Oggi il complesso industriale storico si trova abbandonato e da anni all'asta sotto la tutela di un curatore fallimentare. Tra le ipotesi di intervento sul complesso, che è stato posto all'asta, sono stati avanzati progetti come quello di costruire un discount assieme a due Rsa e quello di un centro residenziale improntato al verde. Dopo la notizia di una possibile asta ad ottobre 2020, per molti mesi è poi calato nuovamente il silenzio sulla Fornace.
In questi giorni è stata resa nota, però, la notizia che, grazie all'impegno dell'associazione "Vivere in Valdisieve", il 14 aprile 2021 per l'ex Fornace delle Sieci è stato attivato da parte della Soprintendenza il procedimento di dichiarazione di interesse culturale 'particolarmente importante' ai sensi degli art. 10 e 13 del D.Lgs. 42/2004 Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio per la Fornace delle Sieci, verificabile dall'Albo Pretorio del Comune di Pontassieve, con relativa proposta di tutela sul complesso di matrice storica, non solo per gli aspetti architettonici, ma anche per quelli storico-testimoniali e per il legame con la comunità locale.
"Sono molti anni che lottiamo perché quell'area di interesse culturale, oggi completamente abbandonata, venga salvaguardata insieme alle sue attrezzature di archeologia industriale. Abbiamo presentato diversi esposti alle autorità e da tempo siamo in contatto con la Soprintendenza alla quale abbiamo fornito notizie storiche sul sito con relativa documentazione iconografica", racconta Paolo Rosini, presidente dell'associazione Vivere in Valdisieve. "Per fortuna – continua Rosini – questo provvedimento della Soprintendenza ha bloccato tutto per 4 mesi. Una bella notizia per ora, ma dobbiamo aspettare il 14 agosto, giorno in cui è atteso il pronunciamento definitivo da parte della Commissione Regionale per il Patrimonio Culturale, anche in relazione alle eventuali osservazioni che dovessero pervenire".
L'area in cui sorgono gli edifici della Brunelleschi è vasta e, come auspica l'associazione Vivere in Valdisieve, potrebbe essere utilizzata per valorizzare il patrimonio culturale del territorio. "La Fornace secondo noi potrebbe essere sfruttata benissimo da un punto di vista artistico e culturale, come abbiamo proposto tempo fa anche al direttore degli Uffizi, sarebbe infatti idonea per valorizzare le opere d'arte del territorio e anche le sue tipicità a livello agroalimentare per questo motivo continuiamo a darci da fare collaborando con la Soprintendenza anche in questo periodo." , ha concluso il Presidente dell'associazione.
La storia della Ex Ceramiche Brunelleschi in sintesi
Negli articoli presenti nella rubrica di Ok!Valdisieve "Nuova Brunelleschi" abbiamo più volte parlato con testi d'epoca, video-testimonianze e immagini d'epoca ed attuali del presente, del passato e del futuro della fabbrica al centro del piccolo abtato di Sieci che è stata per decenni il cuore di una comunità (Clicca qui per leggere gli articoli di "Nuova Brunelleschi"). Ecco però alcuni cenni storici sul complesso industriale per i nuovi lettori:
Le prime notizie certe relative alla fornace delle Sieci risalgono al 1774: sappiamo infatti che in quell’anno essa fornì gran parte dei laterizi utilizzati per i lavori di restauro ed ampliamento del Palazzo Pretorio a Ponte a Sieve. Si può ragionevolmente supporre però che la fornace esistesse già da qualche tempo, anche se nel coevo "Plantario" del Paganelli non se ne trova traccia.
La scelta del luogo d’impianto è da mettersi in relazione essenzialmente con la vicinanza dell’Arno, da cui veniva tratta la materia prima per la "formatura" dei mattoni, che avveniva nelle "piazze dei mattonai" situate sul greto del fiume. In origine la fornace era strettamente legata alla vita e alle necessità della vicina fattoria Albizi di Poggio a Remole, cui spettava, attraverso la figura dell’agente (fattore), l’amministrazione della fornace stessa: come testimoniato per molte altre simili realtà disseminate nel territorio circostante, la fornace, alimentata dalla "stipa" e dalle "fastelle" provenienti dai boschi aziendali, forniva il materiale necessario per la manutenzione della villa padronale e delle numerose case coloniche dipendenti dalla fattoria stessa, in un’ottica principalmente di auto-consumo (non si hanno notizie, se non sporadiche, di vendite di materiale).
Alla morte del marchese Amerigo degli Albizzi, avvenuta il 14 gennaio 1842, e con la conseguente estinzione del ramo fiorentino della famiglia, l’intero patrimonio familiare (compresa quindi la fornace di Sieci, facente parte della fattoria di Remole) passò ad un ramo collaterale della famiglia (trasferitosi in Francia fin dal ‘400), nella persona del Cav. Alessandro. Fu il figlio di quest’ultimo, Vittorio, figura di primo piano nel panorama culturale ed economico fiorentino, ad avviare alla metà del secolo la ristrutturazione e il potenziamento della fornace, secondo principi imprenditoriali; egli fece importare dalla Francia nuove tecnologie con le quali dette inizio alla produzione di speciali embrici di copertura in seguito chiamati "marsigliesi", dal luogo d’origine delle maestranze specializzate.
Agli inizi del ‘900 erano impiegati nella fornace (il numero variava a seconda dei periodi dell’anno) tra gli 80 e i 120 uomini, una ventina di ragazzi e circa 30 donne. Poco dopo gli occupati raggiunsero le 200 unità, per diventare circa 400 durante gli anni venti, che rappresentarono il periodo di massimo sviluppo della fabbrica. Negli anni trenta venne attuata una riconversione che portò allo spegnimento del vecchio forno e alla produzione sperimentale di grès rosso, mentre la gamma dei laterizi si ridusse a due soli tipi di pezzatura (5x10 e 7,5x15).
La fabbrica, dopo il fallimento del 2011 ha chiuso definitivamente alla fine dell’anno 2012.