Ci sono uomini destinati a lasciare un segno nella Storia ma dei quali si è persa incredibilmente memoria; me ne sono capitati alcuni sulla punta di una celebrativa ma tardiva penna. Invece, ce ne sono altri che, pur non lasciando tracce mirabili di sé, sono rimasti indimenticabili per una sciocchezza: magari che so io, una lettera oppure un decrepito… servito di piatti! Proprio così, ed è questo il caso di Fra Timoteo ma, per non confondere prematuramente il lettore, è bene a questo punto andare con ordine.
Dunque, per prima cosa dovete far mente locale alla presenza in Mugello di San Giovanni Gualberto, fondatore della Badia di Vallombrosa, onesto pedalatore di sandalo e piuttosto avvezzo alle salite del nostro Appennino; costui portò alla fondazione nell’XI secolo di numerose Badie nella nostra zona tra cui San Pietro a Moscheta, Santa Maria a Crespino, Santa Reparata in Salto, San Paolo a Razzuolo e via dicendo; molte di queste strutture furono la causa principale della “fortuna” storica avuta dalla via Faentina poiché collocate proprio lungo quel tracciato. Evidentemente il nostro sant’uomo lo gradiva molto per il suo splendido isolamento oppure ci passava perché era un vero e proprio appassionato di funghi, questo non saprei dirvelo.
Della fondazione delle Badie mugellane e di quello strano personaggio che fu San Giovanni Gualberto ho comunque già parlato ampiamente nel mio ultimo libro L’ALBA DEL FEUDALESIMO, inutile che mi ripeta tanto l’avrete sicuramente già letto tutti con attenzione. Fatto sta che quattro secoli dopo, era l’anno 1520, proprio nella Badia di Santa Reparata a Marradi s’insediò un certo Fra Timoteo che ne divenne abate fino al 1524; ma chi era costui, un devoto religioso qualsiasi?
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Intanto vi dirò che il suo nome da civile era Alessandro Michele Carnesecchi, nato a Firenze nel 1489 da Zanobi di Simone e Maria Gondi, altra famiglia molto legata al Mugello (si erano sposati nell’anno di grazia 1477). Alessandro discendeva da una nobile dinastia perché il casato fiorentino dei Carnesecchi è antichissimo e conta su numerosi “pezzi grossi” tra cui Priori, Gonfalonieri, consoli ma anche mercanti e condottieri; ad esempio, suo fratello Lorenzo fu intrepido commissario protagonista della resistenza nella Romagna e Alto Mugello ai tempi dell'assedio di Firenze. Così intrepido che si spinse fino all’ardire di mettere una taglia sulla testa di Papa Clemente VII, pensa te.
I Carnesecchi ebbero comunque a lungo e in larga misura ottimi rapporti con i Medici e con la famiglia Machiavelli, in particolare Niccolò, politico e scrittore. Da parte sua, il nostro futuro abate Alessandro aveva ben più modeste ambizioni anche se, abbracciato l’abito religioso, mostrò almeno insospettabili doti ironiche scegliendo il nome di padre Timoteo, lo stesso utilizzato dall’amico Machiavelli per disegnare il prete corrotto e calcolatore nella Mandragola, famosa commedia del primo Cinquecento. La vita terrena di Fra Timoteo era dunque fatalmente destinata a cadere nell’oblio se non che.. accadde un piccolo fatto, all’apparenza insignificante.
Il nostro amico abate pensò di ordinare alla fabbrica di ceramiche di Cafaggiolo un servizio da tavola composto di oltre 21 pezzi che probabilmente prevedeva anche vassoi, saliere, boccali e ampolle come si deduce da alcuni frammenti rinvenuti. Saprete certamente che la storia delle ceramiche cafaggiolesi, per secoli considerata leggenda, rasenta l’incredibile perché ha lasciato pochissime tracce di sé seppur di alto profilo artistico, in particolar modo nel periodo in cui lavorarono nella fabbrica i fratelli Stefano e Piero Schiavon.
Ebbene, nel servizio di piatti in questione la committenza è dimostrata dallo stemma dei Carnesecchi che appare nel disegno sul fronte mentre sul retro i piatti mostrano proprio il prestigioso e raro monogramma intrecciato “S” e “P” (Stefano e Piero). Passati alcuni anni al buon Timoteo forse questi piatti vennero a noia; alcuni si erano rotti o “sbeccati” e li fece buttare; altre ipotesi affermano che andarono persi dopo un terremoto o una grande pestilenza. Fatto sta che, durante i recenti lavori di trasformazione dell’Abbazia di Santa Reparata a Marradi, con grande sorpresa dalla fossa biologica sono saltati fuori pensate un po’, proprio i famosi piatti.
Il ritrovamento non avrebbe niente di eccezionale se non per un particolare; erano ceramiche che, si capì subito, provenivano dalla poco testimoniata Cafaggiolo ed erano quelle commissionate dal mitico Fra Timoteo. Certamente anche lui, seppur di carattere estroverso e fantasioso, mai avrebbe immaginato che il suo nome sarebbe passato alla storia a seguito di questo semplice ritrovamento! Messi sul mercato, i pezzi sono finiti solo in parte nei musei; molti purtroppo andarono a ruba sparpagliandosi tra Francia, Filadelfia, Firenze, Faenza. Incredibile a dirsi, tutti in posti che iniziano con la F, proprio come la parola “Fortuna”.
Proprio in questi giorni in vendita a un’asta antiquaria ho trovato uno di questi piatti e sono rimasto incantato come un baccalà sulla cima del Falterona. Costava parecchio ma, credetemi, la tentazione di acquistarlo è stata davvero grande perché, mentre guardavo rintronato e affascinato dentro al magico piatto, sognavo Medici ozianti a Cafaggiolo, gli Schiavon tra i fumi della cottura ceramica, Machiavelli che scriveva un capolavoro consultando per sicurezza il mio libro “L’ALBA DEL FEUDALESIMO” mentre nel mezzo a tutto quel guazzabuglio medievale Fra Timoteo urlava indispettito: “Fratello Vincenzo, buttali nì bottino codesti piatti vecchi che coi terremoto e si son tutti sbeccati tutti e ora e un vargan più nulla!”.
N.B.-notizie tratte in parte dal sito internet www.carnesecchi.eu