Dopo il via libera a febbraio del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il 17 aprile 2016 gli italiani saranno chiamati alle urne per un referendum abrogativo contro le trivellazioni nei mari nazionali per l’estrazione di idrocarburi. Una battaglia promossa da nove consigli regionali (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise), movimenti e associazioni ambientaliste (tra cui il coordinamento no Triv), sotto la guida ufficiosa del Presidente della Puglia, Michele Emiliano. Un sondaggio commissionato da Greenpeace all’istituto Ixè e pubblicato a dicembre, ha rivelato che soltanto la metà degli italiani è informato sulla questione; e di questi, tranne nelle regioni di riferimento, il numero di chi ha la percezione di possedere una conoscenza specifica scende al 21%. Perché il referendum sia valido deve votare almeno il 50% degli aventi diritto più uno. Stando alla statistica (ma bisogna tenere conto che ci si riferisce ad alcuni mesi fa), tra chi andrà a votare, oltre gli indecisi, il 47% sarebbe favorevole al sì, il 18% al no. La storia del Referendum Nel settembre del 2015 il movimento fondato da Giuseppe Civati, Possibile, promuove otto referendum: uno riguarda le trivellazioni, la durata delle concessioni alle varie società energetiche e le modalità di estrazione nei limiti delle coste italiane. Non riesce però a raccogliere le 500mila firme necessarie (secondo l’articolo 75 della costituzione) per arrivare alla consultazione popolare. Poche settimane dopo, dieci consigli regionali (quelli sopra citati più l’Abruzzo, che poi si ritirerà) presentano sei quesiti referendari sulla ricerca e l’estrazione degli idrocarburi in Italia. E la problematica torna in primo piano. Il 23 dicembre la Camera approva la Legge di Stabilità con alcune norme sulle trivelle pensate per modificare quelle vigenti, e mettere così fuorigioco i sei referendum proposti. L’8 gennaio, dopo una rivalutazione ex-novo alla luce della differente regolamentazione, la cassazione ne boccia cinque. Il 19 gennaio, però, arriva la notizia che un referendum è sopravvissuto: quello sulla durata dei titoli per sfruttare giacimenti lì dove le autorizzazioni sono state rilasciate già negli anni addietro. Si tratta solo della durata delle trivellazioni già in atto entro le 12 miglia dalla costa, e non delle attività petrolifere sulla terraferma, né quelle in mare che si trovano a una distanza superiore alle 12 miglia (22,2 chilometri). Il quesito ufficiale recita: «Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?». Cosa cambia se vince il sì Se gli italiani si esprimessero a favore della cessazione delle operazioni al termine contrattuale stipulato con le varie società, sarà abrogato l’articolo 6 comma 17 del codice dell’ambiente, dove si prevede che le trivellazioni continuino fino a quando il giacimento lo consente. La vittoria del sì bloccherebbe tutte le concessioni per estrarre il petrolio entro le 12 miglia dalla costa italiana. Si parla, tra gli altri, del giacimento Guendalina (Eni) nell’Adriatico, il giacimento Gospo (Edison) nell’Adriatico e il giacimento Vega (Edison) davanti a Ragusa, in Sicilia. D’altro canto, se vincesse il partito contrario tutto resterebbe invariato. E quando le concessioni arriveranno a scadenza le compagnie petrolifere potranno chiedere un prolungamento dell’attività delle piattaforme già attive. Le polemiche e le denuncia degli ambientalisti Molti chiedevano di spostare il voto a giugno, quando in diverse città italiane si terranno le elezioni amministrative, in modo da risparmiare sui costi previsti per l’organizzazione. Si è calcolato, infatti, che dividendo le due votazioni, ci sarà un onere aggiuntivo di 300 milioni di euro. Per il decreto 98 del 2011, però, in Italia non è prevista questa possibilità. La concomitanza tra amministrative e referendum avvantaggerebbe i promotori del quesito referendario, perché aumenterebbe la possibilità di raggiungere il quorum necessario per garantirne la validità a fronte di una maggiore informazione collettiva. Secondo Greenpeace, i comitati no-Triv, i movimenti ambientalisti ed esponenti delle varie regioni coinvolte, le trivelle sono una grave minaccia per i mari e condannano l’Italia alla dipendenza dalle fonti fossili: in favore delle lobby del petrolio e a scapito del turismo e della pesca. Anche gli Uffici della Prefettura di Firenze si stanno preparando all’evento. Sarà possibile votare nella sola giornata di domenica, dalle ore 7 alle ore 23. Lo scrutinio delle schede avrà inizio subito dopo la chiusura della votazione e l’accertamento del numero dei votanti. Sul sito www.prefettura.it/firenze è già stato pubblicato lo “Speciale Referendum”: costantemente aggiornato con le notizie utili per i cittadini.