
La prima cosa che non dobbiamo mai scordare quando parliamo di adolescenza è che si tratta di un periodo della vita complesso e multisfaccettato, in cui l’individuo che cresce ricerca la propria autonomia e il proprio posto nel mondo, staccandosi sempre più dalla famiglia di origine e iniziando un lungo periodo di moratoria che lo porterà a sperimentare interessi diversi, che gli consentirà poi di individure il percorso di studi o la professione più congeniale alle sue inclinazioni.
L’adolescenza è anche la fase in cui il giovane comincia a farsi domande sulla vita e sulla morte, perché è finalmente in grado di padroneggiare efficacemente il ragionamento astratto; inizia, quindi a interrogarsi sui dilemmi che da sempre interessano l’essere umano, in primis, quello sul senso dell’esistenza.
L’adolescente è chiamato a dare una propria personale risposta a questa domanda, che influenzerà in maniera significativa il futuro corso della sua vita. Già dai 12 anni di età il preadolescente è in grado di sviluppare una certa consapevolezza della morte, dell’irreversibilità della perdita che subirà al momento della morte di una persona cara e delle ripercussioni emotive che tutto ciò può comportare, proprio perché i suoi pensieri stanno cominciando a orientarsi alla riflessione sul senso dell’esistenza, che con la morte di un membro della famiglia, non possono che intensificarsi (Mencacci et al., 2015). Bisogna però sottolineare che, sebbene siano consapevoli di cosa significhi morire, gli adolescenti non sono uguali agli adulti e non sono in grado di utilizzarne le stesse strategie di coping, né ne posseggono la stessa maturità emotiva.
Nella prima parte dell’adolescenza, cioè fino ai 15 anni circa, è probabile che i ragazzi abbiano difficoltà a pensare che qualcun altro possa aver mai provato un dolore tanto straziante quanto il loro e possono somatizzare le emozioni dirompenti che provano ma che hanno difficoltà a esprimere, attraverso vari disturbi fisici. Inoltre, possono ricercare nuovamente un oggetto transizionale, come un oggetto appartenuto al genitore defunto (Mencacci et al., 2015), per fronteggiare il senso di perdita e di solitudine che li attanagliano.
Gli adolescenti più grandi, invece, possono manifestare il loro dolore non ancora elaborato attraverso scoppi di rabbia o di aggressività e repentini sbalzi d’umore, così come possono chiudersi in una sorta di mutismo e rifiutare in tutti i modi di affrontare argomenti legati al morire e alla perdita (Mencacci et al., 2015).
I ragazzi più grandi possono anche oscillare tra l’idealizzazione del genitore defunto e la sua svalutazione, rendendolo oggetto di scherno e disprezzo, nel tentativo di difendersi da un dolore percepito come intollerabile. In adolescenza, poiché il gruppo dei pari viene a sostituire, per autorità, la famiglia è molto importante per il giovane che l’immagine che i pari si sono costruiti del suo comportamento non si trasformi in quella di una persona “debole”, quindi possono non mostrare sofferenza davanti agli amici.
L’adolescente che cerca di gestire il proprio lutto e di elaborare la propria sofferenza autonomamente non sempre riesce a farlo in maniera adattiva e funzionale; può accadere che metta in atto comportamenti ad alto rischio, come abusare di alcolici e di sostanze stupefacenti. Con i bambini e con gli adolescenti in lutto, per scongiurare l’eventualità che esso si trasformi in lutto complicato, è importante, dunque, poter offrire un buon sostegno psicologico e psicoeducativo.
Bibliografia di riferimento:
Mencacci, E., Galiazzo, A. & Lovaglio, R. (2015). Dalla malattia al lutto – buone prassi per l’accompagnamento alla perdita. Milano: Casa Editrice Ambrosiana.
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Articolo a cura di Linda Savelli, dottoressa in tecniche psicologiche per i servizi alla persona