Le Amministrazioni Comunali, se sensibili alla storia ed alla cultura del proprio territorio, solitamente intitolano una nuova strada ad un figlio illustre del proprio circondario. Così capita sovente in molte cittadine, città o metropoli del mondo. Anche a Ronta, ridente stazione climatica adagiata ai piedi dell'Appennino, alcune vie sono dedicate a personaggi, degni di nota, nati tra quei poggi. Di Filippo Pananti (ne ho parlato fino allo sfinimento), di suo zio Angiolo Gatti, di Luigi Andreani, si è già accennato in precedenti scrittarelli. Manca all'appello un nome, sempre storpiato dalla metallica voce della “signorina” dei nostri navigatori: Giovan Battista Stefaneschi. Personaggio oscuro al 97 % della popolazione rontese e al 99,9% del resto della provincia; e come dare torto a questa ignoranza? Pochi libri lo trattano e le informazioni sul suo conto sono estremamente frammentarie, oltre che contraddittorie. “Giovan Battista Stefaneschi. He was born at Florence”: con questo errore inizia il lemma che lo riguarda nel “The Gentleman's and Connoisseur's Dictionary of Painters” stampato a Londra nel 1798. Ma cerchiamo di mettere un poco d'ordine: Melchiorre Stefaneschi vide la luce nel paese di Ronta. Nato nel 1582, era discendente di un'onesta famiglia di generazioni di scalpellini e muratori; cresciuto sano e riflessivo, intraprese fin da giovanissimo l'attività paterna. Nonostante il molto lavoro, il giovane Melchiorre non si sentiva pienamente realizzato, la vita da manovale non faceva per lui. La vocazione religiosa e l'Eremo di Monte Senario, che fa bella mostra di sè sui crinali a sud del paese natio, fecero il resto ed all'età di poco più di vent'anni Melchiorre chiese di avvicinarsi e di essere accolto tra i Servi di Maria. Nei silenzi di quelle nuove mura si prodigò con fede nel seguire la rigida regola claustrale, abbandonando immediatamente il suo vecchio nome temporale per farsi chiamare fra' Giovan Battista. La meditazione, la lettura sacra e la preghiera riempirono le sue giornate; pur non avendo mai preso lezioni di pittura od altro, per merito della frequentazione di un suo confratello, il padre Arsenio Mascagni e di altri suoi amici, tra i quali il fiorentino Comodi, si avvicinò – casualmente - alle materie pittoriche, dimostrando fin da subito un'ottima predisposizione. Con passione e costanza si prodigò anima e corpo allo studio e ben presto affinò invidiabili tecniche nella pittura ad olio e soprattutto nella composizione di miniature. Ricercato ed ammirato per le sue virtù artistiche, venne annoverato tra i grandi e considerato come un rinnovatore oltre che un grande interprete nell'ambito delle miniaturistica. Fu anche un celebre ritrattista oltre che copista e le sue opere si possono ancora trovare ed ammirare - cercandole con un poco di fatica - in diversi “meandri” di quella Firenze nascosta e così ancora ricca di tesori sconosciuti. Lo Stefaneschi fu amico e vicino - tra l'altro - a Galileo Galilei ed altri famosi uomini che lo rispettarono per la grande umiltà e la profonda pietas cristiana. Chiuse gli occhi nella serenità del Convento dei Servi di Venezia, dove era giunto con il desiderio di fondare un Eremo, il 31 ottobre 1636. Di lui, ad oggi, rimangono due autoritratti, la memoria tramandata dai frati di Monte Senario ed una stradina che si snoda nel “colorito” paese vecchio di Ronta.