Strage dell'Heysel trentanni dopo. Video racconto di un mugellano © n.c.
Matteo Lucii, che all'epoca aveva 16 anni, è tornato allo stadio Heysel per girare un documentario. La tragedia avvenuta il 29 maggio 1985, poco prima dell'inizio della finale di Coppa dei Campioni di calcio tra Juventus e Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles, in cui morirono 39 persone, di cui 33 italiane, e ne rimasero ferite oltre 600. Non tutti sono a conoscenza che nel mezzo dei tanti tifosi bianconeri si trovava un giovane diciasettenne di Borgo San Lorenzo che riuscì fortunatamente a salvarsi. Matteo Lucii, titolare della Pasticceria Cesarino, proprio oggi (12 Maggio) si trova a Bruxelesses insieme ad una troupe per girare un documentario al fine di ricordare quella tragedia.
"Oggi sarò di nuovo nel settore Z. Stavolta da solo, a stadio vuoto, seduto nel posto di 30 anni fa. Nessun altro se non un giornalista e un cameraman. Silenzio e ricordi di un ragazzino di 16 anni che rischió di non essere qui adesso a testimoniare la propria esperienza dentro una tragedia che si poteva evitare. Perché è importante, perché 39 persone meno fortunate di me meritano rispetto e una degna memoria."Matteo Felli, giornalista sportivo, il 30 Maggio del 2013, nel 28° anniversario della tragedia, raccolse una toccante intervista rilasciata da Matteo Lucii e pubblicata sul sito di Radio Mugello, che riportiamo di seguito.
Matteo Lucii : “Io che sono sopravvissuto all’ Heysel”.
Ricorre oggi 29 maggio, il 28esimo anniversario della strage dello stadio “Heysel” di Bruxelles, dove persero la vita 39 persone di cui 32 italiane. Il tempo non ha ne cancellato il dolore ne il ricordo, di una notte che doveva essere di festa e invece si trasformò in una carneficina. Juventus – Liverpool, la finale di Coppa Campioni del 1985. La sfida fra la “Vecchia Signora” alla ricerca del primo titolo nella massima competizione dopo tante finali perse e i famigerati “Reds” capaci di vincere in pochi anni ben quattro edizioni e fare incetta di trofei. Esodo in massa dei tifosi italiani verso la capitale Belga. Perché non si poteva mancare all’appuntamento con la storia. E fra loro c’erano tanti mugellani. Uno di questi era Matteo Lucii, a cui fu assegnato un biglietto nel settore Z, quello che diventerà la tomba di 39 persone. “Avevo 17 anni, spiega Matteo. L’eccitazione per la finale di Coppa Campioni era immensa. Mi ritrovai da solo su questo pullman, ma durante il lungo viaggio feci conoscenza di tanti ragazzi. Fra questi un ragazzo di Pistoia (ritrovato su facebook da poco tempo), che sarà determinante nel salvarmi la vita all’interno dello stadio”. Una sorta di gita spensierata verso una finale attesa da tempo. Ma una volta arrivato a Bruxelles Matteo iniziò a capire che la festa ben presto avrebbe lasciato spazio ad altro. “Tutti eravamo a conoscenza delle “turbolenze” dei tifosi del Liverpool. I famigerati “Hooligans” che già in passato si erano resi autori di atti vandalici e teppistici. Ma non credevo che sarebbero potuti arrivare a tanto. Già quando arrivammo in città la situazione sembrava ormai in mano ai tifosi inglesi, che picchiavano gente alle fermate degli autobus, spaccavano vetrine e soprattutto riuscivano a far entrare dentro lo stadio, spranghe bastoni e casse di birra a quantità industriale. Già dall’esterno lo stadio appariva logoro e fatiscente. Ma dentro era peggio. C’erano pezzi di legno ovunque. Le gradinate erano formate da “Sanpietrini” già spaccati o che potevi spaccare un con un semplice pestone. Per non parlare delle reti di recinzione, autentiche reti da pollaio. Insomma il luogo ideale per una carneficina”. Uno stadio obsoleto e non idoneo per contenere 30 mila persone, un servizio d’ordine non altezza e 10 mila inglesi ubriachi pronti a “Caricare” i tifosi italiani. “Entrammo dentro lo stadio due ore prima del match. Eravamo nella curva opposta a quella della Juventus. La particolarità di questa curva era che per metà era occupata dagli inglesi e l’altra metà doveva essere destinata ad un pubblico neutrale. E invece le agenzie di viaggio avevano venduto i biglietti anche i tifosi della Juventus. Nel mezzo la famosa rete da pollaio e 4 poliziotti che ben presto si dileguarono. Io volevo stare lontano dai tifosi del Liverpool e invece questo ragazzo di Pistoia mi disse: “Matteo non ti preoccupare sono esperto di Arti Marziali non aver paura. Ti difendo io”. Fu la mia salvezza, continua Lucii. Perché se fossi andato verso il famoso muretto, che poi crollò, molto probabilmente sarei morto anche io. Verso le 19 gli inglesi ormai in preda dell’alcol iniziano prima a lanciare oggetti verso di noi e infine iniziano a caricare, spazzando via la rete di divisione. Fu l’inizio della fine”.
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L’inizio della fine per davvero, visto che gran parte del pubblico Juventino e neutrale si riversò chi verso l’unica uscita (una porta di un metro per un metro che dava sulla pista d’atletica) e chi verso il muretto del settore Z che sotto la pressione di 5 mila persone impaurite, implose di colpo facendo precipitare nel vuoto tantissime persone. Molti morino così. Altri morino schiacciati nella calca, soffocati sotto centinaia di persone. “Ho rischiato anche io quella fine. Al momento in cui gli inglesi sfondarono la rete mi ritrovai in terra con tantissime persone sopra di me. Rimasi per oltre venti minuti in quella posizione. Riuscivo a malapena ad alzare la testa e l’unica cosa che vedevo era il tabellone dello stadio, posta sopra l’altra curva. Ad un certo punto mi resi conto che stavo male che non respiravo più. Pensai di essere arrivato al capolinea. Feci appello a tutte le forze che mi erano rimaste e provai ad alzarmi nonostante il peso delle altre persone sopra. Alla fine ci sono riuscito”. Scosso da quanto successo, Matteo, come prima cosa pensò bene di uscire dallo stadio e cercare un telefono per avvisare a casa. “Il mio primo pensiero fu quello, perché avevo perso pure la percezione del tempo. E invece quando io telefonai a casa erano le 19.40. Il collegamento con la Rai sarebbe iniziato soltanto cinque minuti dopo. Meglio così. La mia famiglia non si rendeva conto di quello che stavo raccontando. Capirono ben presto appena accesero la Tv. Cosi come fece tutta l’Italia. Non voglio immaginare l’angoscia di chi stava davanti alla Tv e aveva familiari o amici allo stadio”. Matteo scappò dallo stadio e nello shock forse non si era reso conto della gravità dell’accaduto. Se ne rese conto due ore dopo quando salito sul Pullman che lo aveva portato a Bruxelles, accese la tv portatile e dalla voce di Bruno Pizzul senti il telecronista Rai annunciare il numero dei morti. “Non credevo a quello che stavo sentendo. La partita fu giocata per motivi di ordine pubblico e forse fu la cosa più giusta. Almeno evitarono alle due tifoserie di darsi battaglia fuori dallo stadio. In questo modo dettero tempo all’esercito di intervenire e iniziare a far defluire gli inglesi fuori dallo stadio. Io non ho più rivisto quella partita. Ma quella coppa non la sento certo mia. Ha sbagliato la Juventus. Non dovevano ne alzarla quella coppa e ne tantomeno portarla in Italia. Quella fu una partita giocata per evitare ancora più morti”. Ma il dolore più grande di Matteo Lucii, cosi come quello dei tifosi Juventini è stato quello di vedere sia da parte della vecchia dirigenza bianconera, sia da parte della popolazione Belga, come una sorta di rifiuto verso quello che era successo. “E’ stato ancora peggio vedere che qualcuno e qualcosa, volesse cancellare quello che era successo al Heysel. Voler abbuiare tutto. Insomma far finta che quel giorno non fosse mai esistito. Questo mi ha fatto molto male. Non mi è piaciuto il comportamento della dirigenza della Juventus ne quello del Belgio (Nel 1990 fu il Milan la prima squadra Italiana a tornare in quello stadio dopo la tragedia, per un quarto di finale di Coppa Campioni. Prima dell’inizio della gara, il capitano Franco Baresi depositò un mazzo di fiori sotto il tragico settore Z. I tifosi belgi lo riempirono di fischi e offese, ndr). Ma questo comunque non mi ha impedito di tornare allo stadio. Adesso tutte le volte che torno allo stadio evito di mettermi vicino ai muretti o alle balaustre. Purtroppo quella sera mi ha insegnato qualcosa”. Ha insegnato qualcosa a tutti. Anche se c’è voluto il sangue e la morte di 39 persone.


