17 MAR 2025
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Tamburi, amore e Funk Off: intervista a Alessandro Suggelli

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Tamburi, amore e Funk Off: intervista a Alessandro Suggelli Tamburi, amore e Funk Off: intervista a Alessandro Suggelli
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Il Mugello riserva sempre delle belle sorprese a chi ha orecchi per intendere. Una di queste è certamente Alessandro Suggelli, la famosa ‘cassa’ dei Funk Off, la marchin’ band mugellana ormai conosciuta a livello internazionale nel mondo del jazz e del funky. Uno a cui l’ ‘orecchio’ certo non manca. In questa piacevole intervista, ci siamo fatti raccontare la sua esperienza ai tamburi della Funk Off, il suo rapporto con il Mugello, ma anche la sua lunga e travagliata storia d’amore con la musa del ritmo. Perché bisogna partire da lontano e superare non poche difficoltà per riuscire nelle proprie passioni; ma quando finalmente si riesce a vivere di queste passioni, quando finalmente si è insegnanti di musica e percussionisti di professione, allora è bello qualche volta anche guardarsi indietro e ripercorrere il cammino... - Come ci racconti il tuo viaggio con la Funk Off, la lungimirante banda di strada made in Vicchio? “Con la Funk Off siamo partiti da zero, dalle feste di paese e dai festival di artisti di strada, da quella che era la nostra realtà, insomma... La scintilla del progetto è stato Dario Cecchini, il nostro leader band, un bravissimo musicista e un artista di alto calibro: è stato lui a mettere in piedi l’idea della Funk Off, rivisitando lo stile della tradizionale banda di paese e creando un nuovo modo di fare musica. È stata probabilmente questa novità a catturare il pubblico e incuriosire perfino un’artista come Jovanotti, con cui Dario collaborava, che ci propose di aprire alcuni dei suoi concerti. Da lì si è messo in moto un meccanismo che ha funzionato bene, siamo approdati all’Umbria Jazz, festival conosciuto a livello internazionale, e abbiamo iniziato a macinare sempre più strada: sia in Italia, che abbiamo girato in lungo e in largo, sia all’estero nei vari Jazz Festival di New York, Instanbul, Melbourne, San Paolo e via dicendo. Abbiamo messo su una bella ‘macchina da guerra’, in effetti! Perché, a dire il vero, è una cosa rara trovare un riscontro così forte nel pubblico per un gruppo del nostro genere... Credo che questo sia dovuto anche al fatto che la Funk Off è stata la prima ‘fonky marchin’ band’ in Italia. Nel nostro caso, penso che oltre alla qualità sia stata premiata la novità, perché la novità ci ha aperto le porte e la qualità ha fatto sì che la strada sia ancora lunga... Non a caso sta per uscire il nostro quinto CD e il maestro Cecchini ha già in serbo altre perle per il futuro! Il bello della Funk Off, però, non sta solo nel successo che ha riscosso, ma negli amici che ha incontrato, nella sua storia collettiva e nel percorso di ognuno di noi. Perché questa non è la storia di una sola persona, ma è il percorso collettivo di ben 15 persone, ognuna con la sua vita, i suoi sogni e i suoi ostacoli. Un’ intera banda di paese che, nonostante tutto, tutti insieme, è riuscita a realizzare quello che ognuno avrebbe veramente voluto realizzare: suonare tanta buona musica!” - Con quali altri gruppi stai suonando attualmente, oltre alla Funk Off? “Eh, ho diversa carne al fuoco, progetti vari... Suono un set di batteria e percussioni nei “New Moro Quartet”, una band “etno-jazz” in cui mescoliamo le strutture musicali jazzistiche con musiche popolari come il tango o le balcaniche e altre ancora. Sono tutte musiche originali, composte dal fisarmonicista Alessandro Moretti. Nei “Metche Dershe”, invece, suono le percussioni: è il gruppo “etio-jazz” di Leonardo Baggiani sviluppato a partire dalla sua tesi su Mulatu Astatqé, musicista etiope del quale rifacciamo cover molto fedeli alle originali ma sempre reinterpretate a modo nostro. Suono poi le percussioni con i “Sex FM”, un gruppo funky che fa sia cover che pezzi propri, con il quale abbiamo già fatto un disco. Con l’ “N.M.G. Trio” del cantautore Nicola Genovese, invece, suono la batteria e presto dovrebbe anche uscire il nuovo disco. Suono la batteria anche con i “Gato Negro”, gruppo di inediti di samba e bossa nova. Uno degli ultimi progetti in elaborazione, infine, è il disco che uscirà nel 2013 con Alfredo Vestrini, un poeta mugellano che accompagniamo musicalmente nella sua interpretazione poetica.” - Parlando di ‘Musica e Mugello’, come vedi questo binomio? Secondo te, quali sono le opportunità che il territorio offre ai suoi musicisti e quali, invece, le lacune da colmare? “Di opportunità, a dire il vero, ne potrebbe offrire il territorio... Ci sono bravi musicisti e tanta voglia di far musica. Quello che manca, invece, secondo me, è un posto dove si possa fare musica dal vivo tutto l’anno (e magari ventiquattr’ore su ventiquattro!), dove la gente possa riunirsi per suonare, ballare, condividere e anche imparare. Non che manchino i locali che ci provano a fare musica live, anzi ce ne sono e s’impegnano, fanno quel che possono, ma spesso vanno incontro a non poche difficoltà: tra i costi di gestione, i permessi, le proteste dei vicini, il poco appoggio da parte delle istituzioni, e via dicendo, capita che spesso ci rinunciano. Capisco che ci sia anche chi si sente disturbato dalla musica dal vivo, ma per questo basterebbe restare in orari di tolleranza o farlo in un locale lontano dai paesi, anche tra i capannoni delle fabbriche, per esempio, perché no?!” - Cambiamo coordinate, dallo spazio al tempo: facendo un salto a ritroso, ci racconti com’è nata la tua passione per la musica? “La passione per la musica me l’ha trasmessa mio nonno paterno, Piero. Da ragazzo aveva imparato a suonare la fisarmonica ‘a orecchio’ e lo faceva piuttosto bene: me lo ricordo ancora suonare quand’ero bambino, e mi ricordo quando mi raccontava di quelle serate di veglia tra amici... Mi sembra quasi di esserci stato a far ballare tutta quella gente! Poi, in casa, anche a mia mamma e mio babbo sono intonati e amano la musica... Insomma, questa passione me l’hanno ‘passata’ in famiglia attraverso il DNA! Mi è sempre piaciuto suonare e fin da piccolo ho interagito con la musica. Poi, quando ho iniziato a studiare il flauto alle scuole medie e a capirne un po’ di più, allora davvero non ho più smesso! Prima ho iniziato a cantare, poi a suonare la tastiera, e infine ho scoperto la batteria. Così a 22 anni ho deciso di fare il corso di percussioni al Conservatorio Cherubini di Firenze, che ho concluso nel 2006, e oggi fortunatamente lavoro proprio in quella che è sempre stata la mia passione: faccio il musicista e insegno musica.” - Come percussionista, cosa rappresenta per te il tamburo? Qual è il genere musicale che senti più nelle tue vene e quali sono i musicisti che più ti ispirano? “Il tamburo per me è il mezzo di comunicazione più immediato, è una voce che crea attenzione, che arriva diretta con una certa forza, in modo coinvolgente. Per quanto riguarda la musica, invece, a me piace tutta, non un genere in particolare. Ovviamente adoro il funky, ma poi mi piacciono e suono tanti altri generi, non mi pongo limiti in questo senso. E di musicisti pure, me ne piacciono tanti e a tanti livelli che non saprei nemmeno da che parte cominciare... Alcuni esempi?! Per le percussioni, il portoricano Giovanni Hidalgo, lo statunitense Tito Puente, i cubani Changuito ed Ernesttico; per la batteria un’altro cubano, Horacio ‘El Negro’ Hernandez, che ha fatto anche da special guest in una traccia del quarto CD della Funk Off. E ancora Chris Coleman, Aaron Spears e John Blackwell, il batterista di Prince che una volta, all’Umbria Jazz si mise a suonare con noi e a cui ho fatto “da braccio destro” in un paio di pezzi! E poi ovviamente i ‘classici’ come Buddy Rich, Jim Chapin, Steve Gadd e tanti tanti altri. Per quanto riguarda il mio percorso personale, invece, è stata una fortuna per me avere accanto un batterista come Francesco “Bibi” Bassi, uno dei “fratelli fonky”, perché musicalmente mi ha davvero aiutato a crescere...” - Infine, una domanda proiettando lo sguardo al futuro: sogni e progetti nel cassetto? “Ne porto avanti tanti e vorrei continuare così anche in futuro. Un sogno per i prossimi anni è qualche viaggio mirato allo studio delle percussioni, per esempio nelle tradizioni di Africa, Brasile, Cuba e India. Ma non è facile progettare il futuro, non c’è mai niente di così definito... Magari salta fuori qualche altra opportunità, qualche nuovo progetto o un nuovo CD. E allora è quello il mio futuro!”

 

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