Non aveva niente del campione epocale.
Nemmeno il nome, che era banalissimo, e a quei tempi c’era persino un cartone animato che si chiamava come lui: “il signor Rossi”. Un signore calvo e grigio, che portava i baffi, un anonimo cappello e lavorava in un ufficio.
Normale come Paolo Rossi.
Che non aveva le acrobazie di Bettega, o l’irruenza di Puliciclone. E c’era Graziani, che era più generoso, o Savoldi che era più centravanti… Altobelli più tecnico, Pruzzo più continuo e poi Anastasi, Chinaglia, Boninsegna e tutti quei centravanti ormai lontani.
Però se un bel giorno vincemmo il Mondiale, buon Dio, fu grazie a Paolo Rossi, che del campione non aveva niente, a cominciare dal fisico.
E fu grazie a lui, e a quella squadra, che cominciarono gli anni ottanta.
E vennero Fantastico e Drive In. Gorbaciov, la perestroika e Rocky III. La fine del terrorismo, Craxi a Sigonella e il boom della Borsa. Vacanze di Natale, con Toninho Cerezo che “a quest’ora dorme perché è un professionista”. Last Christmas e Careless Whispers degli Wham, e il Live Aid.
Troisi e Benigni, Mickey Rourke e Kim Basinger. Bruce Springsteen a Milano: 21 giugno 1985… un caldo pazzesco.
Tomba la bomba, il crollo del muro di Berlino e, infine, le notti magiche.
Senza Paolo Rossi, forse, saremmo ancora lì… Con l’inflazione al 20%, la paura delle Brigate Rosse e ad aspettare il venerdì per vedere Portobello.
Invece, arrivo il Mundial: e tutto il brutto, e il grigio, che l’Italia aveva vissuto per tanti anni, parve improvvisamente un ricordo lontano.
Come se Paolo Rossi (e Zoff, Scirea, e l’urlo di Tardelli) ci avessero fatto voltare pagina, in una sola notte.
E nacque Pablito.
Anzi, “rinacque”: dopo l’innamoramento improvviso durante i Mondiali del 78, e l’altrettanto improvviso disamoramento con il calcioscommesse, che fu una specie di schiaffo in piena faccia.
E che lì per lì nemmeno ci parve vero. “Possibile?” – si disse. “Paolo Rossi? Con quella faccina lì?”.
Eppure, proprio quella faccina lì: così poco epocale e così poco da campione, ha finito per rappresentare i nostri momenti migliori, e talvolta a ricordarceli.
Come quando ci guardiamo allo specchio, ormai invecchiati, e realizziamo di non essere riusciti a dare un senso compiuto a tutte le nostre cose.
Ma con il sollievo, comunque, di aver avuto dei bellissimi vent’anni, e di essere stati compiutamente felici, almeno per un attimo.
Mentre, insieme a Pablito, vincevamo il Mundial della nostra vita.
Ti sia lieve la terra.