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Cuba, un giorno nei parchi fuori porta

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Cuba, un giorno nei parchi fuori porta Cuba, un giorno nei parchi fuori porta
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La nuova puntata del diario di viaggio di una nostra lettrice da Cuba:

Ah, L’Avana! Magnifica città.

Per essere la capitale non è neanche troppo caotica, la vita segue i ritmi tranquilli dei suoi abitanti, ci sono molti parchi, quartieri tranquilli, e se proprio non si riesce a trovare pace qua o là, basta camminare fino al Malecón, il lungomare, sedersi sulla cinta dando le spalle alla città, guardare il mare e sentirne la voce, ed ecco che già si scarica lo stress e si fa il pieno di energia.

Se non fosse per il tremendo inquinamento prodotto da quelle bellissime e vecchie auto americane anni ’50, sarebbe davvero un paradiso dei sensi. Ma non si può avere tutto, no?! Io, quando ho bisogno di una pausa da tutto e da tutti, scendo lungo Calle Infanta e già al terzo semaforo inizio a intravedere il mare e a rilassare i muscoli facciali in un quieto sorriso, che si apre completamente una volta attraversato il lungo Malecón e conquistato un posto in prima fila per il più coinvolgente spettacolo che ci sia: il mare che bacia il cielo e manda i suoi spruzzi a riempire le narici e confortare l’olfatto, seguendo quello sbattere di onde che cattura la vista e l’udito, e un brivido per il vento che sfiora la pelle...
E ti senti per un momento – o per tutto il tempo che vuoi -, in un altro mondo.

Così ho imparato a ricaricare le batterie, e a essere di nuovo pronta per girare la testa e reincontrare la città. Certo però che, essendo nata e cresciuta in provincia, tra i campi di grano e i boschi di abeti, vivere tanto tempo dentro la città un po’ lo patisci, alla lunga. Così un bel giorno, con un gruppo di amici affiatati, tre uruguaiani e una cilena, abbiamo deciso che necessitavamo una gita fuori porta: appuntamento alle 9, e con una jeep scassata presa in prestito partiamo per il Giardino Botanico della città, tanto in periferia da sentirla già campagna.

Il prezzo dell’entrata è simbolico: un peso cubano, che corrisponde a meno dei 5 centesimi di euro. Il giardino copre un’area di svariati kmq ed è diviso per aree geografiche, nelle quali si trovano le varie specie endemiche dei cinque continenti. Uno spettacolo della natura. Qui si trova anche la più grande banca mondiale di semi di piante, fiori e prodotti agricoli di ogni tipo: si raccolgono e si conservano semi di tutte le diverse specie botaniche del mondo, principalmente per difendersi dall’estinzione e dai tuttora imprevedibili effetti delle modificazioni genetiche. Insomma, tanto per proteggersi e assicurarsi un piano B per il futuro, che di questi tempi non si sa mai…

Dentro il parco è possibile fare visite guidate, ma noi preferiamo avventurarci soli e prenderci i nostri tempi, tanto per approfittare della possibilità di suonarci qualche nota di chitarra all’ombra di un qualche albero africano, di camminare per chilometri sotto un sole tenero e ancora poco tropicale, attraverso l’area che raduna tutti i diversi tipi di palma del mondo: la palma reale cubana, la palma da cocco caraibica, la palma da dattero egiziana, la palma del viaggiatore malgascia, e via dicendo. Continuando incontriamo l’area australiana, nella quale ho finalmente potuto vedere il famoso Tea tree, con il cui olio io stessa mi sono curata molti mali, come bruciature e infiammazioni. Infine, dopo un’oretta di buon cammino, arriviamo al giardino giapponese, con il suo bel laghetto di ninfee e la pagoda centrale dove poter riposare.

A questo punto quel che serve è proprio un bel pranzo per rifocillarsi, e infatti decidiamo di fermarci al ristorante biologico dietro la collinetta del giardino: per 20 pesos cubani (quindi neanche 0,50 centesimi di euro!) si può mangiare in quantità al buffet, che si compone esclusivamente di prodotti vegetariani, tutti prodotti all’interno del parco, dall’insalata al riso, dai pomodori e carote ai tuberi di varia specie, perfino a fiori di vario tipo che colorano il piatto e mettono appetito agli occhi. Dopo un riposo di note e chiacchere, ripartiamo e decidiamo di prendere il mezzo di trasporto tipico del Giardino Botanico: un trattore che traina una carrozza con sedili. Naturale, no?!

Così al ritorno ascoltiamo anche qualche spiegazione della guida, per esempio dove poter trovare i semi con cui il babalao, il santone della santerìa cubana, legge il futuro ai suoi adepti. Che bello scoprire da dove vengono i semi della mia collana! Ci sarebbero da vedere ancora chilometri e chilometri di verde, ma decidiamo di ripartire, perché oggi abbiamo la fortuna di girare con una macchina, privilegio che non capita tutti i giorni, e vogliamo approfittarne. Prossima destinazione: il Parco Lenin!

Il Parco Lenin è il parco delle famiglie habanere, dove si portano i bambini a giocare e a fare pic-nic i giorni di festa. Molto esteso, ospita al suo interno differenti aree all’aperto, monumenti e musei, come quello di Celia Sanchez, rivoluzionaria della prima ora. Dopo una breve passeggiata e la visita alla zona monumentale, decidiamo di prenderci un caffè in un ristorante che si chiama Las Ruinas, un edificio moderno ed incolore in mezzo a una natura verdeggiante. Ed ecco la sorpresa: questo insipido edificio in cemento armato è stato costruito sulle rovine di un vecchio e affascinante edificio a mattoni rossi, di cui all’interno sono ancora visibili parte delle mura e dei pavimenti. L’arredamento, inoltre, è strabiliante: i vecchi mobili con specchiere, il pianoforte, le vecchie statue di marmo e i paralumi di vetro colorato del periodo precedente la rivoluzione sono stati tutti restaurati e reintegrati nella nuova costruzione che, formandosi dalla fusione dell’ antico con il moderno, assume un fascino particolare che aiuta la mente a reinventare vecchi fasti e nuove conquiste.

Ho dunque la conferma che spesso l’apparenza inganna: questo casermone grigio e poco gradevole all’occhio, nasconde invece uno scrigno colori e sensazioni. Quindi mai fermarsi alle apparenze e decidere a priori, altrimenti si rischia di privarsi, talvolta, di grandi piaceri, come mi sarebbe senz’altro successo in questo caso, se non avesse prevalso su tutto la voglia di un buon caffè…

A questo punto del pomeriggio rimane ancora una parte del parco da vedere, quella che nasconde l’anfiteatro sull’acqua con il palco roteante, ormai arrugginito e mezzo affondato. Questa struttura ha lavorato per il pubblico cubano fino alla fine degli anni ’80, e l’atmosfera che si respira lascia presagire un fiorire di spettacoli in una cornice in cui la mano dell’uomo ben si sposa con la natura circostante. Mi sembra di vederli i concerti che si facevano, le opere teatrali e i balletti a pelo d’acqua. Con un po’ di immaginazione è facile intravedere i protagonisti.

Purtroppo, il decennio del ’90, con la caduta del mondo sovietico che sosteneva il commercio con Cuba, oltre a una situazione gravissima di crisi economica e di risorse, alimentari e materiali, ha portato anche all’abbandono di una florida politica di produzione culturale, che in pratica si traduce, anche, nell’abbandono di strutture culturali come il palco roteante e il suo grande anfiteatro, a causa della mancanza di risorse per il suo mantenimento.

Ecco cosa significa, tra l’altro, la crisi cubana degli anni ’90: significa veder appassire sotto i propri occhi tante belle conquiste per le quali insieme si aveva lavorato e creduto, opere che da un giorno all’altro smettono di funzionare e pian piano muoiono su sé stesse, ma rimangono lì, visibili e presenti, quasi come un monito, a futura memoria.
E vedere quest’opera in tale stato mi da un po’ l’idea di come deve sentirsi il morale di un cubano qualsiasi all’alba di questo terzo millennio…

Decadente, forse, sì. Ma con dignità e orgoglio!

 

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