Pubblichiamo di seguito una nuova puntata dei nostri diari di viaggio. Del reportage da Cuba della studentessa mugellana Caterina Suggelli. Con un invito: con l'occasione dell'estate raccontateci i vostri viaggi e le vostre avventure...
Dopo due mesi senza interruzioni di vita metropolitana, per una figlia della campagna come me, è necessario prendersi una pausa.
Decido così di passare il fine settimana alla scoperta dell’occidente cubano, per godermi la sua idilliaca natura e scoprire i diversi volti che il viaggiare per questa isola offre e impone allo stesso tempo.
Parto decisa alla volta di Viñales, un paesino prezioso al centro di una valle rurale bellissima, e come tale, meta privilegiata di molti turisti. Per non perdere troppo tempo e stimolo, prenoto il viaggio di andata con Viazul, gli autobus per turisti a prezzi da turisti: 12 CUC! Menomale che anche il trattamento non è da meno, con tutti i vantaggi della situazione.
Dopo aver dormito buona parte del viaggio – dovevo recuperare le forze dall’ultima notte habanera…-, la prima meraviglia che mi apre gli occhi è la splendida vista che si gode sulla valle, una volta scavalcate le montagne: il verde iridescente dei prati, interrotto dagli scuri mogotes, rare formazioni geologiche di origine antichissima, che sembrano cupole di roccia cadute lì per caso; secondo la leggenda locale sarebbero nate dallo starnuto di un dinosauro, ma nella mia fantasia assomigliano più a dei copri-piatto metallici su una bella tavola imbandita, e mi viene la voglia di andare a vedere cosa nascondono…
Appena arrivata alla meta, tocca tornare alla realtà: come scendo tutti mi catalogano “turista” naturalmente, e quindi vengo assaltata da una calca di gente che propone stanze nelle loro casas particulares, gite con guida, prodotti artigianali, e chi più ne ha più ne metta!
Non appena riesco a uscire da questa giungla umana, mi dirigo al telefono pubblico per chiamare il contatto in loco, fornito dal mio amico Tobias, tedesco ormai residente sull’isola, il quale mi porta in una casa dove potrò passare due notti a prezzo da “amica”.
Lasciati i bagagli, parto alla scoperta: prima di tutto voglio visitare la Cueva del Indio, la grotta più famosa della zona, una delle tante meraviglie nascoste all’interno di questi bizzarri e affascinanti mogotes. E chiaramente non voglio andarci da turista, troppo facile altrimenti! Infatti mi dirigo alla fermata dei bus, per vedere con quale mezzo posso raggiungere la grotta; dopo un’ora di attesa sotto un sole cocente in compagnia dell’organizzatore dei trasporti, che per lo meno mi intrattiene simpaticamente, all’orizzonte non appaiono né autobus, né auto collettive.
Sto quasi cedendo, quando vedo arrivare un bel camion addetto al trasporto di qualsiasi cosa, persone comprese! Il vecchietto mi avverte che il mezzo non arriva fino alla grotta e mi lascerà circa 3 km prima, ma ho sufficiente acqua con me e poca voglia di aspettare ancora, così saluto e salgo sul cassone. Certo il camion non è il mezzo più comodo, ma ha i suoi vantaggi: ti rinfresca e asciuga il sudore dell’attesa! Arrivata al mio bivio scendo e proseguo a piedi; è ancora molto caldo, ma vuoi mettere camminare nella campagna in confronto a camminare per le fumose strade dell’Avana?! E comunque, dopo neanche un chilometro, una jeep si offre gentilmente per darmi un passaggio, che non rifiuto, claro!
Ed eccomi finalmente alla grotta: gli occhi vengono invasi dalla flora rigogliosa che incredibilmente riesce a crescere su queste rocce! Le mille tonalità del verde delle piante, il rosso, il fucsia, il viola, il giallo e l’arancione dei diversi fiori, la altissime palme che si innalzano nei punti più impensabili… Una festa della natura!
Il percorso della cueva è facile e turistico, ma entrare nell’oscurità misteriosa di queste cupole rocciose è comunque affascinante e mi riempie di emozione. Prima di partire, ho letto nella mia guida di fiducia, la Routard, che la Cueva del IndioConquista spagnola. In effetti, in ogni dove le grotte sono sempre il miglior rifugio: qui a Cuba servono tuttora da riparo durante il periodo dei cicloni, ma sono state usate anche come nascondiglio durante la Guerriglia della Rivoluzione, e addirittura dallo stesso Che durante la Crisi dei Missili del 1962. deve il suo nome alla scoperta di un contadino, negli anni ’20 del secolo scorso, di alcuni corpi di indigeni qui rifugiatisi ai tempi della
Il passaggio dalla luce accecante del sole tropicale all’oscurità totale della caverna è brusco ma piacevole: l’aria fresca ristora, e non appena gli occhi si abituano al buio, si entra in un’altra dimensione. Ho la fortuna di essere sola nella visita, così posso godermi il totale silenzio e ascoltare solo il mio respiro, il rumore dei miei passi e il rilassante e ritmico cadere delle gocce d’acqua dalle pareti.
Non importa neanche chiudere gli occhi, perché si è già al centro di un’esperienza mistica, e ne godo a pieno. Ho avuto anche la brillante idea di portare con me la torcia, così posso addentrarmi anche in alcune stanze della grotta dove il percorso turistico non arriva, e neanche a dirlo, queste sono le più belle, perché le stalagmiti e stalattiti non sono sciupate dal contatto umano, né dalle luci artificiali e quindi risplendono ancora di bianca e lucente vita. Nella terra umida di queste stanze poco frequentate vivono e si riproducono i serpenti più grandi dell’isola, che raggiungono i 4/5 m di lunghezza e sono popolarmente chiamati Majà de Santa Maria. Si dice siano un piatto prelibato e da essi si ricava un grasso utile per gli usi più disparati. Non appena me ne ricordo, decido di uscire: non che siano eccessivamente pericolosi, i Majà, non hanno mai ucciso nessuno, ma sono comunque molto grossi e aggressivi se molestati, quindi preferisco continuare a pensarli solo con la mia immaginazione…
Dopo un’oretta di percorso ufficiale e deviazioni personali, giungo alla parte più simpatica della visita: la grotta è percorsa da un fiume, purtroppo non cristallino come mi aspettavo, perché si tratta di un fiume di superficie, che quindi si tinge del rosso tipico della terra di questa regione, molto simile alle tonalità del nostro Salento, o di alcune terre d’Africa. Per uscire è quindi necessario montare su una barchetta, il cui traghettatore, per chi lo vuole, si addentra nei meandri più oscuri e reconditi, prima di restituirti, da buon Caronte tropicale, alla luce accecante e al caldo infernale del pomeriggio caraibico.
La visita è stata soddisfacente, e ora mi merito un po’ di riposo all’ombra di una ceiba, prima di riprendere il cammino per il ritorno. Dato che il sole sta iniziando la sua discesa, decido di rientrare a piedi per godermi lo spettacolo dell’ora antecedente il tramonto in questa natura incontaminata. Lungo la strada polverosa mi accompagnano un gruppetto di cani randagi che non riesco a levarmi di torno; un contadino che passa in bicicletta mi consiglia di tirargli le pietre perché se ne vadano, ma io non mi sento tanto sicura, e non ho voglia di mettermi a correre, quindi cerco semplicemente di ignorarli e di evitare che mi stiano alle calcagna.
Lungo il cammino continuo a sorprendermi della vegetazione, soprattutto di questi alberi completamente invasi dalle orchidee, e cerco di immaginarmi lo spettacolo che dev’essere in dicembre, quando sono in fiore. La tranquillità è totale, passano poche macchine, qualche camion di servizio, alcune moto e sidecar, molte biciclette, e carri trainati da cavalli o da buoi, guidati da campesinos con i tradizionali cappelli di foglie di palma, petto nudo e muscoloso e pantaloni lunghi da lavoro. Vige il silenzio, ed è davvero piacevole e rilassante camminare a questa pacata ora del giorno.
Con il tramonto aumenta un po’ il “traffico”, i contadini iniziano a rientrare alle loro case, così dopo circa 5 km di strada una famiglia di gentili guajiros, babbo, mamma e due sorridenti bambini di ritorno dal campo, mi offrono un passaggio fino al paese, e anche se ormai non dista tanto, salgo, perché è difficile negarsi a tanta cordialità. Mi offrono un caffè in casa loro, e dopo due chiacchere sulla vita di campagna, ringrazio, saluto e mi dirigo verso una bella doccia calda di cui ho davvero tanto bisogno…
Caterina Suggelli