Fede arte e tradizione nel Presepe di Marradi. Alla Chiesa del Suffragio, foto © n.c.
I bambini lo guardano estasiati, appoggiandosi alla rustica staccionata di legno. Alcuni - figli del nostro tempo- già smanettano con le piccole dita sullo smartphone per catturarne un’immagine. I grandi si chinano insolitamente premurosi alla loro altezza, ascoltano le domande: “Non ha freddo il bambino? Cosa fanno il bue e l’asino? Ma quante pecore! Perché tutti vanno alla capanna? Quel vecchione non si sveglia?” Si diffonde nella piccola chiesa una musica antica. “Tu scendi dalle stelle o Re del Cielo, e vieni in una grotta al freddo, al gelo…” Suono di zampogne, vecchie armonie dell’infanzia. È la magia del presepio della Misericordia, che si rinnova e si apre nella prima domenica di dicembre, e invita sommessamente quelli che passano davanti al portone, adorno di rami d’abete. Marradi: una chiesa settecentesca, concepita in senso orizzontale, con tre solenni altari allineati, ognuno con la sua grande pala dipinta sovrastante. Sembra progettata apposta per ospitare la sacra rappresentazione della Nascita. Tra le volute a stucco dei motivi a fogliame, le cornici e gli stemmi delicatamente variopinti, una sinfonia della linea curva, si dispiegano le scene della vita sulla terra degli uomini, raffigurati nelle piccole statue, colti di sorpresa dall’Evento sacro. Il Settecento fu il secolo del teatro, della diffusione dei teatri, che dal chiuso mondo privato dei palazzi nobiliari proliferarono nelle comunità, destinando ad un pubblico più vasto, affamato di emozioni, lo spettacolo di drammi e musiche, di scene fisse e mobili, di macchine e marchingegni atti a creare effetti di luce e buio, tuoni, lampi, incendi, burrasche… Ed ecco perché il presepe della Misericordia si lega tanto armoniosamente alla chiesa settecentesca che lo ospita. Anche il presepe, così come lo manteniamo vivo nella nostra tradizione italiana, senza simbolismi e moderne sintetizzazioni, è prima di tutto il presepe settecentesco, affollato, elaborato, e a suo modo spettacolare. I giovani artisti marradesi (Fabrizio e Martina, Marina e Maurizio, Riccardo, Gianluca, Massimo e Andrea) che lo hanno allestito, disponendo sull’altare di sinistra la capanna della Natività e sviluppando fino a tutto l’altar maggiore paesaggi e scene, con grande gusto compositivo, si pongono in compiuta sintonia con quel tempo lontano: il Settecento. È il secolo in cui il presepio si volle estendere dal solo mistero della Nascita alla variopinta simbologia dei personaggi, delle situazioni, alla partecipazione collettiva di tutto un popolo di gente minuta che abbandona le incombenze della quotidianità per lasciarsi illuminare dall’annuncio e incamminarsi solidale, ognuno col proprio dono. La capanna incoronata di edere è piena di luce, e il pastorello giovane e biondo, il primo fra tutti, mostra il suo cesto. Altri sono in arrivo, lasciano i villaggi illuminati sulle montagne e le case turrite in primo piano, traversano il ponte, seguiti dai loro animali, nei loro dimessi e pittoreschi abiti di tutti i giorni. Il paesaggio è ricco e vario, fatto di rocce e cucuzzoli, scarpate a picco dove le pecorelle si inerpicano temerariamente e qua e là l’ampia chioma di una palma richiama appena un’ambientazione esotica dell’evento sacro. È tutto palesemente anacronistico, ma questo non dispiace. Ci riconduce al tempo dell’infanzia, quando cercavamo sulle bancarelle le statuine dei personaggi che mancavano ancora al nostro presepe domestico: il vecchio che si scalda al fuoco, la guardiana delle oche, il primo che avvista la stella e ne rimane abbagliato, il dormiglione…Guai a svegliarlo! Sparirebbe il presepio, dice la leggenda. Un bambino si attarda a guardare i panni stesi nei pressi di una casetta: si muovono come sospinti dal vento che dovrà asciugarli. E la piccola scena, così ben raffigurata, continua a stupirlo. Da dove viene quel vento? La mamma gli fa notare che la lavandaia non ha tempo per raccogliere i panni, deve affrettarsi con gli altri alla capanna. Tutti verso quella greppia, la culla del “Re povero”, come predicò San Francesco, seguendo la testimonianza evangelica di Luca: “Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro in albergo”. Livietta Galeotti Pedulli [email protected]


