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Festa della donna o giornata della donna?

La strada è lunga e tutta in salita

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Festa della donna o giornata della donna? Festa della donna o giornata della donna?
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Basterebbe partire dalla definizione di "festa" per capire che c'è l'inghippo nell '8 marzo giorno che in realtà non è la FESTA ma la giornata mondiale dedicata alle donne istituita a perenne memoria di un fatto molto tragico che risale agli albori del Novecento.

Ricordiamolo in due righe per gli smemorati: a New York nel 1908 avvenne in una fabbrica una strage di donne. Ne morirono oltre cento chiuse come topi in trappola all'interno dello stabilimento che prese fuoco dopo che il proprietario lì le aveva inchiavisatellate per impedirli di scioperare ancora. Fu una trappola mortale.

Da ricordare ogni 8 marzo che si ricorda una tragedia. Lo ricordino in special modo le molte signore che si agghindano, si mettono il tacco 12 e amano "festeggiare" in pizzeria e al ristorante o ancora peggio in qualche teatrino di periferia davanti a uno streep maschile.
Magari tragicomicamente lo fanno nelll'unico giorno l'anno in cui possono uscire da casa se non per andare a lavorare, fare la spesa, accudire figli, nonni e genitori.

Purtroppo non è questa la giornata della donna e non devono esserlo nemmeno le autocelebrazione fini a se stesse a cui spesso mi trovo ad assistere in convegni, incontri e dibattiti pubblici da anni.
Donne che parlano di donne davanti a platee di sole donne...

La realtà è diversa e se di passi avanti rispetto a quel 1908 di New York ne abbiamo fatti sono ancora troppo pochi.
E non perchè in Afganistan le donne dopo venti anni di relativa libertà sono di nuovo sprofondate nel medioevo e nemmeno perchè in Arabia Saudita sono finalmente riuscite due anni fa (incredibile!) ad ottenere il permesso per guidare l'auto.

Mi soffermerei all'occidente.
A quell'occidente che si crede superiore e che non riesce a fermare i talebani e non si accorge che in Ucraina esiste una guerra civile da otto anni dove russi e ucraini se ne danno di santa ragione non risparmiando vecchi e bambini.

Quell'occidente decadente dove le donne guadagnano il 20% in mese degli uomini a parità di ruolo. Praticamente per ogni anno solare è come se lavorassero un mese in meno rispetto ai colleghi maschi... 

Quell'occidente che butta un po' di fumo negli occhi agli appassionati di statistica partorendo numeri sontuosi di crescita delle imprese con almeno una donna nell'alta dirigenza: 90% nel 2021 mentre erano 87% nel 2020 ma che dimentica di dire che quei numeri vanno letti tutti insieme perchè le donne nelle posizioni di vertice nelle aziende sono in assoluto (media mondiale) solo il 31%, mentre in Italia si scende al 29%!
Se poi ci soffermiamo sul ruolo dell'amministratore delegato si scende ancora di più a uno scoraggiante 18% nazionale. 

Le donne sono prime fra i banchi di scuola e prime nella laurea. Studiano di più, si laureano prima e meglio e sfruttano meglio le esperienze all’estero e i tirocini. Ma oltre a guadagnare il 20% in meno faticano anche a trovare un lavoro adeguato rispetto ai loro colleghi maschi e con il Covid-19 la forbice è addirittura cresciuta.

Il gender gap è sempre più realtà nonostante da quest'anno parta la nuova legge sulla parità salariale che introduce la certificazione della parità di genere nelle imprese. Si assottiglia, ma resta ancora molta strada da fare.

Il problema principale per le donne nel nostro Paese rimane però soprattutto nella differenza del tasso di occupazione, che si aggira intorno al 50% (contro il 68% degli uomini). Tasso che scende per le madri.
Nel 2020 secondo l'Eurostat, le mamme tra i 25 e i 54 anni in Italia risultavano avere il livello più basso di occupazione in Europa, inferiore al 60% a fronte del 72% medio nei paesi Ue.
Le madri poi sono paradossalmente quelle che hanno la busta paga è più leggera. Una donna con un figlio guadagna meno di una lavoratrice senza figli!

Eppure anche Mario Draghi quando nel febbraio del 2021 chiese la fiducia al Senato parlò di: «Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi». Lo prevede l’articolo 51 della Costituzione che dice: «Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge».

Peccato però che l’aggiunta della frase «A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini» arrivata il 30 maggio 2003, dopo un iter di quasi due anni, su iniziativa dell’allora premier Silvio Berlusconi e dei ministri Stefania Prestigiacomo e Umberto Bossi non abbia sortito gli effetti sperati dato che le cosiddette "quote rosa" oltre ad essere orrende nel nome lo sono anche nei fatti essendo diventate solo specchietti per le allodole.

La strada è lunga e tutta in salita, ma se le donne continueranno ad autocelebrarsi fra loro solo l'8 marzo più che lunga e tutta in salita sarà impossibile da percorrere.

Sarà il caso di darsi una scossa?

Nadia Fondelli

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