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La Toscana dopo un anno di pandemia. La fotografia e il rapporto Irpet

Gli ultimi mesi hanno lasciato una ferita profonda nell'economia, l'analisi dei vari settori

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Irpet Irpet © Irpet
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Gli ultimi mesi hanno lasciato una ferita profonda nell'economia, sottolinea l’Irpet, istituto regionale per la programmazione economica. Un anno dopo la pandemia da coronavirus, ancora non conclusa, gli ingranaggi del motore principale della Toscana, quello spesso legato all'export e in passato più capace di generare ricchezza e sviluppo, risentono pesantemente ancora della crisi. E il consiglio di Irpet (qui il rapporto integrale) è quello di spingere sugli investimenti e farlo con rapidità, utilizzando per questo la più ampia quota possibile delle risorse europee a disposizione e ripartendo dalle imprese più dinamiche capaci di generare negli anni reddito ed occupazione. Ce n’era un nucleo apprezzabile, prima della pandemia, e la sfida è quella di innescare ulteriori nuove esperienze positive. Un percorso lungo fatto di piccoli passi, con lo sguardo volto al medio periodo ed  ‘efficienza’, come parola chiave,  affiancata a ‘sostenibilità’. 

La crisi mondiale frena l'export
La recessione innescata dalla pandemia ha indebolito la Toscana centrale e i sistemi tradizionali del ‘made in Italy’. Si parte da qui in un confronto on line organizzato da Irpet, presenti politica e rappresentanti del mondo economico, che vuole essere bilancio ma anche laboratorio di nuove prospettive. Nel 2020, si spiega, è arretrata la produzione industriale (-14,7 per cento) e sono crollati per la prima volta i servizi (-11,3 per cento).  Sono stati bruciati 14 miliardi di euro di Pil, una caduta che riporta il prodotto interno lordo regionale ai livelli di venticinque anni fa: il calo è del 12 per cento, superiore al meno 8,9 nazionale  - per via della maggiore dipendenza dell’economia toscana dall’export, che in passato l’ha fatta invece crescere  più di altre regioni - e che è tre volte quanto perso nel  2009, che era stato il peggior anno dopo la crisi finanziaria americana, quando la flessione del Pil fu di quattro punti.

Ad essere colpiti sono stati stavolta in particolare la moda e l’economia del tempo libero (dalla ricettività alla ristorazione alle attività ricreative). Tengono agroalimentare, farmaceutico e attività legate all’uso dell’informatica. La recessione ha per di più colpito le categorie più fragili: giovani, donna e immigrati. E molti sono scivolati verso il basso nell’ordinamento sociale: i lavoratori (sia autonomi sia dipendenti) e tra questi, più di altri,  le giovani coppie con figli.    

Ripresa del Pil ma rischio licenziamenti
Nel 2021, stima l’Irpet, il Pil toscano tornerà a crescere con un più 3 per cento: un ripresa più lenta di quanto atteso e minore che nel resto d’Italia, legata ancora alle dinamiche dell'export. La previsione, aggiornata a marzo, deve peraltro fare i conti con un virus che più volte ha spiazzato le stime degli economisti. Ma con la fine del congelamento, per legge, dei licenziamenti economici, rischiano di aumentare i poveri assoluti, ovvero quelle famiglie e persone  che non possono permettersi neppure le spese minime per condurre una vita accettabile. Se ne potrebbero contare 58 mila in più, nel caso di 33 mila licenziamenti.

Il 2020 ci consegna del resto già 23 mila posti di lavoro persi e 94 mila congelati, ibernati dall’eccezionale ricorso agli ammortizzatori sociali. In tutto  24 milioni di giornate di lavoro in meno, traducibili in 908 milioni di euro di retribuzioni sparite in Toscana dalle tasche dei lavoratori.  Con gli autonomi, i posti di lavoro persi nel 2020 salgono a 158 mila. 

I settori più colpiti
Il grande malato è il turismo, ma gli fanno buona compagnia, dentro al manifatturiero, la meccanica, la pelletteria, il cuoio e le calzature, il tessile e l’abbigliamento e, nei servizi, commercio e trasporti.  Nel 2019 il 44 per cento delle lavoratrici e lavoratori rimasti senza impiego trovavano una nuova significativa occupazione entro sei mesi, mentre nel 2020 mediamente ci è riuscito solo il 35 per cento (e ancor meno tra giovani, stranieri e donne).    

Soffrono le aree più forti, come i distretti di Prato, San Miniato ed Arezzo. I sistemi legati al manifatturiero tipico del ‘made in Italy’ hanno subito un contraccolpo maggiore dei sistemi locali turistico balneari.  Sono nate cinquemila imprese in meno di quelle che, sulla base dell’andamento del recente passato, uno si sarebbe immaginato. L’incertezza ha infatti scoraggiato l’avvio di nuove attività imprenditoriali.  Le imprese attive fortunatamente si sono ridotte, per ora, solo dello 0,4 per cento.  Ma alta rimane l’incertezza sul futuro, visto che il 62 per cento delle aziende  attende un’ulteriore diminuzione del fatturato nei prossimi mesi. Solo il 6 per cento prevede nel 2021 di aumentare gli investimenti.  

Bonus e ammortizzatori sociali
La crisi ha già ridotto i redditi delle famiglie: sono calati mediamente del 3,8 per cento (1.650 euro in meno in un anno), ma sarebbero diminuiti del 7,8 per cento (3.400 euro) senza bonus e ammortizzatori sociali. Così come sarebbero stati assai di più i nuovi poveri: nel 2020 se ne sono contati alla fine in Toscana 16 mila in più (121 mila in tutto), ma ce ne sarebbero stati, senza gli aiuti pubblici,  altri 123 mila. Il che non esclude che quei 123 mila siano comunque finiti nel 2020, per qualche tempo e in qualche momento, nella condizione di povertà assoluta.   

Il 'tesoretto' (per la Toscana) dei risparmi forzati 
I consumi sono comunque diminuiti più dei redditi disponibili. L’incertezza sul futuro – o semplicemente l’impossibilità di viaggiare o andare al ristorante -  ha generato un risparmio forzato.   E questo alla fine potrebbe rivelarsi un vantaggio per la Toscana, appena tutto ripartirà, perché, in un sistema produttivo fortemente orientato alla produzione di beni di consumo e servizi legati al tempo libero come quello toscano, l’effetto rimbalzo potrebbe alla fine rivelarsi più elevato.  Un ‘tesoretto’ a cui attingere, assieme ai fondi del Next generation Europe che potrebbero valere per la regione 12 miliardi da qui al 2026 (due miliardi l’anno). 
  

 

 

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