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Michele Serra. Il suo lavoro e il suo spettacolo raccontati da un giovane giornalista a OKMugello

Lo spettacolo, durato un'ora e mezza, era incentrato sul suo mestiere, il giornalista, e sull'importanza della buona informazione.

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Michele Serra Michele Serra © Foto di google
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Mercoledì 16 febbraio, ore 21.30. Teatro Aurora, Scandicci. Clima mite. Un po' di vento, ma non ci lamentiamo; si tratta pur sempre di febbraio. Mi sono dato appuntamento con un amico. Quando arrivo, mezz'ora prima dell'evento, ne incontro un altro, e decidiamo di sederci insieme cinque/sei file prima del centro della platea. La sala è gremita. La maggioranza sono adulti, molti anziani, più qualche giovane. Tra questi ultimi, noi tre, a un passo dal compierne trenta. 

Quando ho saputo dello spettacolo di Michele Serra mi sono sentito entusiasta. Leggo sempre con piacere le sue amache su Repubblica e la satira preventiva sull'Espresso. Le sue opinioni,  talvolta opinabili - come d'altronde quelle di tutti quanti noi, esseri umani senza l'investitura di profeti - sono lucide e attendibili. Serra è un giornalista di ferro, che scrive ogni giorno il suo pensiero - poi pubblicato e letto da milioni di italiani - da trent'anni. In questi tre lunghi decenni non ha scritto soltanto in tre occasioni. In una di queste si trovava ricoverato in un pronto soccorso parigino per setticemia. Scampato il pericolo morte, il giorno dopo era di nuovo al lavoro. Ciò fa comprendere la sua levatura. 

Lo spettacolo, durato un'ora e mezza, era incentrato sul suo mestiere. Un mestiere ambiguo, direbbero molti. Infame, direbbero alcuni. Difficile, concordano tutti. Un mestiere all'apparenza sedentario, dato che a nessuno verrebbe mai in mente di scrivere in piedi camminando, ma, come direbbe James Hillman, anche il cervello è dotato di muscoli, e tenerli in allenamento è fondamentale. Allenamento che richiede impegno, fatica e calorie. Serra non era solo sul palco. Alla sua destra, all'angolo, una mucca di plastica, simbolo della quiete e del silenzio mentale, che mangia, dorme e corre senza domandarsi quali saranno le mosse di Joe Biden all'indomani dell'attacco sferrato da Vladimir Putin ai danni dell'Ucraina, com'è cambiata la vita di una coppia omosessuale dopo la legge sulle unioni civili, se è giusto impedire a partiti di matrice fascista di partecipare alle elezioni, se Berlusconi è adatto o meno a rivestire il ruolo di Presidente della Reppublica. Le preoccupazioni della mucca, dice Serra, sono le stesse nostre - mangiare, dormire, ripararsi dal freddo, per dirne alcune - ma a loro manca un elemento imprenscindibile per noi esseri umani: le parole, figlie del nostro linguaggio unico e particolare. La mucca rappresenza il suo esatto opposto; l'ombra, direbbe Jung, che dobbiamo sempre portare con noi per mantenere l'equilibrio psichico. Con sè Serra aveva anche un carrellino farcito da un alto blocco di fogli: le sue amache al completo. Trent'anni di opinioni giornaliere racchiuse in un metro d'altezza. 

Il giornalista si serve di parole, che usa in due modi. La prima narrando un fatto così com'è, senza macchiarsi della colpa di avere un'opinione idiota o di essere elogiato per averla buona. La seconda facendo l'analisi del fatto, mettendo in conto le fauci e le lodi dei lettori. Serra ha optato per la seconda. La sua carriera ha inizio in un piccolo giornale locale. Notizie di poco conto: piccoli trafiletti e tanta voglia di fare. Il giornalismo ai tempi era diverso da quello odierno. Il computer non era ancora di dominio pubblico e Google, la fonte primaria di tutto lo scibile umano, era in germinazione. Approda a Repubblica nel 1992, giornale che consacrerà il suo successo. Per Serra, come per tutti coloro che vivono di scrittura, le parole non sono soltanto parole, ma entità autonome che possono consolare o ferire. Negli anni Serra ha raccontato del periodo buio di Mani Pulite, di cui ci portiamo ancora dietro gli strascichi - la sfiducia degli italiani verso la politica parte da lì - del terrorismo mafioso, dell'ascesa di Silvio Berlusconi, della vittoria della sinistra nel lontano 1996, con l'Ulivo di Romano Prodi, del G8 di Genova, dell'11 settembre, dell'entrata dell'Italia nell'unione monetaria europea, della crisi del 2008, del terrorismo islamico, della Brexit, fino ad arrivare ai nostri giorni, con una pandemia mondiale a segnare le nostre vite, e vederlo lì, sul palco, a parlarci dell'importanza del giornalismo e della buona informazione, fuoriforma nel fisico ma non nella mente, è stata un'esperienza edificante per chi, come me, sogna di fare il suo mestiere. 

La satira esplosiva e di infinita richezza di Michele Serra non traspare solo sulla carta stampata, ma anche nei monologhi, a giudicare dalle risate del pubblico Aurora. Ci lascia con l'amaca di domani sul furto della borsa a un famoso influencer, tra applausi interminabili e volti segnati dal buonumore. 

 

 

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