
"Li hanno mandati allo sbaraglio, poi dichiarati eroi e oggi, a distanza di quattro anni, a loro non viene riconosciuto neanche uno straccio di giustizia". È questo il drammatico epilogo della vicenda di Giandomenico Iannucci, medico di base di Scarperia e San Piero, morto il 2 aprile 2020 dopo aver contratto il Covid-19 mentre svolgeva il proprio lavoro, visitando pazienti nel pieno della pandemia.
Iannucci è stato il primo medico in Toscana a perdere la vita a causa del virus, eppure il Tribunale non ha riconosciuto il suo decesso come infortunio sul lavoro, sollevando l’assicurazione dall’obbligo di risarcire la sua famiglia. Una decisione che stride con la norma stabilita nel 2020 per i medici ospedalieri, che sanciva il riconoscimento del contagio da Covid-19 come infortunio professionale e non semplice malattia. Dov’è finita l’uguaglianza davanti alla legge?
Il Coordinamento Regionale Toscano Salute, Ambiente e Sanità (S.A.S.), che ha diffuso un duro comunicato sulla vicenda, sottolinea come questa sentenza si inserisca in un più ampio processo di normalizzazione dell’ingiustizia, dove le responsabilità vengono sistematicamente archiviate. Il rischio, secondo il Coordinamento, è che il modello del welfare aziendale, basato su polizze assicurative sempre più diffuse nei contratti di lavoro, si trasformi in un sistema in cui oggi sei tutelato, ma domani non più.
In vista del 7 aprile, giornata internazionale contro la commercializzazione del diritto alla salute, il Coordinamento rilancia l’appello affinché il sacrificio di Iannucci e di tutti gli operatori sanitari deceduti a causa della gestione fallimentare della pandemia non venga dimenticato. La richiesta è chiara: più risorse alla sanità pubblica per assumere medici e infermieri, meno fondi per le spese militari.
A quattro anni dalla sua morte, il nome di Giandomenico Iannucci merita giustizia, perché la sanità non può essere trattata come una merce e il diritto alla salute deve essere garantito per tutti, senza distinzioni e senza ingiustizie.