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Il sesso delle parole

L'ascesa a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni ha riaperto un dibattito che più che linguisitico è politico. Ecco un po' di buone nuove per districarsi nel tema.

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Il sesso delle parole Il sesso delle parole © Foto di Gerd Altmann da Pixabay
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Con l’insediamento della prima donna a Palazzo Chigi è tornano fortemente d’attualità il tema del sesso e del sessimo della lingua italiana ed è così che la grammatica ostica a molti diventa opinione e scatena polemiche

Potrebbe sembrare di parlare del niente (e in effetti un po’ lo è) se non fosse che in tanti, in questi giorni, salendo in cattedra come improvvisati linguisti ai microfoni delle tv si arrogano il diritto di essere i tenutari delle verità assolute.

Peccato però che la lingua italiana è una lingua viva - come mi è stato detto più volte dagli accademici della Crusca in occasione di incontri specifici anche sul tema dell’uso femminile nei nomi professionali – e quindi non esiste mai una verità assoluta.

“Il settore dei nomi professionali è soggetto a discontinuità e oscillazioni che dipendono spesso da ragioni extra-linguistiche” si legge nelle pagine dell’Accademia e mi permetto di aggiungere che le ragioni extra-linguistiche delle polemiche di questi giorni sono solo politiche. Ecco che così la lettura che viene data a un’interpretazione piuttosto che un‘altra assume una valenza fuorviante e non linguistica.

La vera causa dei dubbi che riguardano la forma corretta del femminile di alcuni nomi di mestiere negli ultimi anni è infatti da rintracciare nei cambiamenti sociali e nel nuovo ruolo della donna nella società contemporanea.
Il tema è dunque di per se alquanto scivoloso delicato e saturo di implicazioni sociali, comunicative, psicologiche e giuridiche, nonché linguisticamente difficile.

Nella stessa Accademia della Crusca, alcuni accademici sono intervenuti a più riprese, non sempre concordando tra loro, per rispondere a quesiti su questo argomento e anche nell’interessante corso da me seguito le posizioni del Presidente dell’Accademia Claudio Marazzini e quelle della Professoressa Cecilia Robustelli che da anni si occupa del linguaggio di genere erano discordanti.

Nonostante ciò voglio provare a districarmi per fornire almeno una lettura linguisticamente corretta senza dilungarmi troppo dato che sfogliando il sito dell’Accademia della Crusca trovate molto sull’argomento

Storicamente per generare nomi professionali femminili si usava l'aggiunta del suffisso -essa sulla base del nome maschile (del tipo dottoressa da dottoreprofessoressa da professore, ecc.), suffisso ritenuto normale per le grammatiche ottocentesche ma che poi ha perso progressivamente vitalità e produttività.
Nel Novecento infatti i movimenti femminili hanno rivendicato alle donne il diritto di esercitare certi ruoli professionali con piena parità giuridica e economica avvertendo come una limitazione la derivazione del nome professionale femminile da quello maschile rivendicando la mancanza di denominazioni autonome. A conferma di ciò si può notare come fino a pochi decenni fa proprio i femminili in -essa indicavano spesso canzonature oppure l’essere la "moglie di" piuttosto che una forma di femminile professionale.

I nomi delle professioni uscenti in –ente (presidente dirigente) poco frequenti fino a pochi anni per figure femminili e linguisticamente ambigenere che derivano dal participio presente dei verbi venivano variati nel genere con l’articolo che li precede: il dirigente, la dirigente, etc…
In merito dunque all'oscillazione sulla forma femminile di il presidente, l'uso dell'articolo femminile senza aggiunta di suffissi può essere un buon compromesso.

Ricapitolando linguisticamente parlando tornado alla polemica che ha investito Giorgia Meloni Presidente è tale sia al maschile che al femminile perché la parola è ambigenere.
Rimane la disquisire sull’articolo “il” piuttosto che “la” e qui le letture sono individuali perché linguisticamente entrambi gli usi sono corretti ma tutt’al più come sostiene la Professoressa Robustelli “l’uso della lingua italiana non si può imporre. Le parole si impongono solo attraverso l’uso implementandolo.”

Basti pensare a Ministra, Deputata e Sindaca ad esempio che a molti suonano strane ma non perché siano linguisticamente sbagliate ma solo perché sono poco usate e quando lo sono da poco tempo.

Cercare di aggirare la questione con storture e arrampicate sugli specchi della lingua italiana ha portato negli anni alcuni colleghi a degli equivoci dal risvolto comico. Alcuni esempi?
“Il sindaco di Cosenza aspetta un figlio! Il segretario Ds “il padre sono io”. Dalla lettura è facile pensare che sindaco e segretario siano una coppia omosessuale in attesa di un bebé con madre surrogata mentre in realtà il  Sindaco è una Sindaca…
Altro titolo esilarante che non commentiamo neanche è: “La Presidenza va al marito del Sindaco”


Fa sorridere quindi che in tempi di caro bollette, guerra alle porte e tanti temi caldi da discutere nel neo insediato Parlamento l’opposizione decide di puntare il dito contro la decisione di Giorgia Meloni di farsi chiamare “il” Presidente.
Lo fa schierando in prima linea la paladina del linguaggio di genere per eccellenza ovvero l’’ex Presidente della Camera Laura Boldrini che puntò tutte le sue rivendicazioni femministe sull’uso dell’articolo “la” per la sua carica al punto da far rifare la carta da lettere che era intestata con la dicitura “il” presidente.

Perché dover aggiungere l’articolo davanti alla carica istituzionale di una donna? “Perché ad esempio Draghi e la Meloni” e non “Draghi e Meloni”?
Aggiungere l’articolo davanti al cognome di una donna è un diminuitivo o peggio ancora un dispregiativo come sostiene qualcuno oppure usarlo serve solo ad identificare la persona?
“L’articolo è stato fieramente osteggiato in passato. Io non ritengo grave usarlo anche perché è documentato negli usi regionali” chiarisce la Professoressa Robustelli.
Siccome anche l’Accademia della Crusca stessa si è trovata di disquisire sul tema nel corso della Presidenza di Nicoletta Maraschio vogliamo sottolineare le sue parole. "Essere la presidente è una buona soluzione, favorita da forme analoghe di grande diffusione, anche se non del tutto sovrapponibili, come la presidela cantante. La lingua italiana consente, in questo caso, una soluzione semplice e per così dire trasparente e naturale di un problema, quello del riassestamento maschile-femminile nei nomi professionali; bastano infatti l'articolo (maschile o femminile) e l'eventuale accordo (una presidente impegnata / un presidente impegnato) a definire, insieme, il genere e la funzione.”

Quindi come abbiamo detto in premessa stiamo quasi parlando del niente linguisticamente parlando, ma tutto quando fa politica.
L’unico problema è che è davvero drammatico disquisire di queste quisquillie con questioni molto più grandi da derimere.

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