“Ambiente” e “sostenibilità” saranno sicuramente anche in questa tornata elettorale due parole usate (leggi abusate) in comizi e incontri con gli elettori.
Parole “di tendenza” si potrebbe dire parafrasando il linguaggio dei social oppure da cronaca se si guarda ai blitz vandali di Ultima Generazione, ma parole che desideriamo siano tolte da una politica fricchettona e fancazzista per diventare fatti.
La vera sfida della politica italiana in ottica europea sarà sicuramente quindi nella capacità di guardare oltre, proporre e poi agire.
C’è poco da girarci intorno l’Italia è il paese più bello del mondo ma anche uno dei più fragili per conformazione che vive però di fatalismo medievale. Quello che fa sì che ad ogni piccolo acquazzone si debba incrociare prima le dita sperando che vada tutto bene salvo poi contare feriti, morti e filiere economiche in ginocchio.
Il dissesto climatico trova poi un alleato formidabile nelle politiche scellerate che in decenni non hanno mai considerato la prevenzione una priorità perché i soldi che si spendono in prevenzione non sono così visibili e scintillanti da mostrarsi in campagna elettorale anche se con cifre risibili rispetto a quelle che si spendono (anche male) per riparare i danni si salverebbe non solo l’Italia ma molte vite umane.
Senza girarci intorno è un dato di fatto che in Italia si è costruito troppo e male.
Più delle piogge più o meno estreme e torrenziali può il dissesto idrogeologico che diventa “emergenza” perché in 70 anni si è edificato sull’intero territorio nazionale più che in 2000 anni di storia!
Numeri Ispra alla mano dal 1950 ad oggi siamo passati dal 2,3% all’ 8,5% di edificato e cementificato costruendo in aree sismiche, franose e alluvionali a colpi di abusi sanati poi con condoni edilizi. Il tutto peraltro senza nessuna attenzione all’antisimicità, alle infrastrutture idriche di contenimento e alle opere di adattamento e difesa del suolo.
Eppure basterebbe prendere una piantina dell’Italia e guardarla con attenzione per capire che questo meraviglioso paese ha una morfologia particolare fatta da montagne, colline e mare intorno per tre quarti che qualcosa non va e dovrebbe dirci in termini di esposizione a rischi.
Siamo il Paese più bello e anche più rischioso del mondo convivendo da sempre (ad esempio) con vulcani attivi terremoti, erosioni costiere e mareggiate, frane e alluvioni.
Non è un caso che il 94% dei nostri comuni (7423 in tutto) si trovi su aree considerate a rischio ma rimaniamo fatalisti salvo poi piangere i morti e polemizzare (dopo) su cosa non si è fatto.
Sono 1,3 milioni i nostri connazionali che vivono a rischio frane e 6,8 milioni quelli che convivono con il rischio alluvioni.
Siamo l’unico paese che ha ben 5 vulcani attivi e che non considera che questi prima o poi erutteranno e non è importante sapere quando ma come evitarne le conseguenze; abbiamo una sismicità talmente seria che siamo colpiti da un terremoto serio ogni 5 anni; il 18,4% (55.609 km2) del territorio è classificato a pericolosità frane elevata, molto elevata e a pericolosità idraulica.
E l’Italia frana e si allaga troppo facilmente anche per la più ricca idrologia europea con una media annua di 305 miliardi di m3 di piogge e per 7.494 corsi d’acqua che con la loro natura torrentizia hanno causato 11.000 alluvioni solo nell’ultimo secolo.
Abbiamo la media record di uno smottamento ogni 45 minuti e con l’impressionante numero di 628.808 frane i nove terzi delle 750.000 dell’intero continente europeo.
In un secolo, 4.439 località di 2.458 comuni in tutte le nostre regioni sono state colpite da oltre 17.000 gravi frane che hanno lasciato 5.455 morti, 98 dispersi, 3912 feriti gravi e oltre un milione di senzatetto.
Di fronte a tutto ciò allarghiamo le braccia, guardiamo il cielo ed imprechiamo ai cambiamenti climatici.
Eppure si potrebbe fare molto e di più anche per contenere le conseguenze di quanto di male si è fatto costruendo dove non si dovrebbe prima e non avendo agito in ripristini poi.
Basterebbe che prima di tutto nelle scuole e poi nei luoghi di lavoro s’insegnasse l’educazione al rischio o meglio la resilienza come si dice oggi.
E invece no…
Allarghiamo le braccia, guardiamo il cielo ed imprechiamo ai cambiamenti climatici, invochiamo il santo protettore, tocchiamo ferro, imprechiamo contro la politica continuando a piangere i morti e le tragedie che poi dimentichiamo altrettanto velocemente.
E invece no…
Possiamo e dobbiamo fare molto di più agendo su più fronti, E’ un dovere morale e un obbligo.
La politica deve agire per fermare (o almeno ferenare) lo spaventoso ritmo con cui divoriamo il suolo, a una media folle ancora oggi di 19 ettari al giorno, 2 metri quadrati al secondo.
Ricordiamo che per rendere di nuovo fertile (e quindi sicuro) un centimetro di suolo servono almeno cento anni!
Noi in controtendenza rispetto a una norma europea ben chiara continuiamo a riempire il Paese di nuove costruzioni, nuovi parcheggi, nuove infrastrutture e ci vantiamo anche di ampliare quelle esistenti sottraendo suolo su suolo che si somma a quello già violentato in nome del progresso e graziato poi dai condoni.
La vera sfida della politica italiana in ottica europea sarà sicuramente nella capacità di guardare oltre dato che il rimedio dopo le emergenze non funziona da nessun punto di vista sia esso di salvaguardia delle vite umane, sia ambientale o economico.
Già nel 2015, l'ex presidente di Italia Sicura Erasmo D’Angelis aveva stimato che i danni economici dal dopoguerra a oggi, dovuti ai disastri ambientali (considerando anche i terremoti) sono quantificabili in circa 7 miliardi l’anno, per un totale di 448 miliardi di euro.
Una somma da far rabbrividire e riflettere, a cui va aggiunta una stima di almeno 200mila morti dall’Unità d’Italia a oggi per gli stessi tragici avvenimenti.
Che sia il momento di agire?