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La Sequoia di Villa Torre Palagio. Fine di un glorioso testimone di guerra mugellano

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La Sequoia di Villa Torre Palagio. Fine di un glorioso testimone di guerra mugellano La Sequoia di Villa Torre Palagio. Fine di un glorioso testimone di guerra mugellano © n.c.
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La storia di una secolare Sequoia gigante posta nel parco di Villa Il Palagio a Cavallina di Mugello. Parco che fu ridisegnato nel 1800 dal famoso architetto francese Cambray-Digny. L'autore è il Prof. Valido Capodarca autore di 8 libri dedicati agli ALBERI MONUMENTALI, di 4 libri di argomento storico e di 1 libro dedicato al fiume Aso. Ieri pomeriggio, domenica 3 Gennaio, siamo tornati nel Parco della Villa Il Palagio per fotografare lo stato di salute della Sequoia. 

Dentro ci saranno almeno 20 quintali di piombo!” dichiarava una trentina di anni fa il signor Luciano, figlio del giardiniere di villa Torre Palagio, alla periferia di Cavallina, frazione di Barberino di Mugello.

L’oggetto della sua spiegazione era la colossale Sequoia giganthea, fiore all’occhiello del vasto parco della villa.

Il complesso di Torre Palagio si stende su di un poggio, alla cui sommità si eleva la villa, mentre tutto attorno si espande il parco che scende giù, lungo il pendio, fino alla piana del Mugello, solcata dal fiume Sieve, il principale affluente dell’Arno.

Il parco comprendeva – e per gran parte comprende ancora – enormi esemplari appartenenti a svariate specie, sia indigene che esotiche. Enormi cedri del Libano, di circonferenza superiore ai 5 metri, erano distribuiti sia sul piazzale attorno alla villa che lungo il pendio; lungo il viale di accesso spiccava un pittoresco faggio rosso, di fusto superiore ai 4,50 metri di circonferenza; marcito per gran parte del suo spessore, dopo svariati tentativi di salvataggio, è stato abbattuto. A seguire, una superba Thuja, dal fusto multiplo di oltre 7 metri di circonferenza, annunciava l’inizio del pendio che conduce alla pianura. Sparse ovunque, alternate a vetuste piante di tasso, spiccavano numerose sequoie, fra le quali la regina assoluta del parco. Questa era radicata lungo il pendio, circa a metà strada fra la villa e il limite inferiore del parco. Il fusto misurava m. 6,16 di circonferenza  e l’altezza, nonostante l’offesa di un fulmine, sfiorava i 40 metri.

Nel corso dell’ultimo conflitto mondiale – continuava il racconto del signor Luciano – la villa era occupata da un reparto di tedeschi che aveva nel suo organico un’officina per la riparazione di armi. Queste, specialmente mitragliatrici, una volta riparate avevano bisogno di essere provate e collaudate; quale banco di prova più adatto del tronco della Sequoia? Contro di esso, pertanto, ogni giorno venivano scaricate raffiche su raffiche fino a quando, con l’arrivo degli americani e  la ritirata dei tedeschi verso nord, Torre Palagio venne abbandonata dagli incomodi ospiti e la tortura per il povero albero ebbe termine"

Trascorsero alcuni anni e un giorno un violento fulmine si scaricò sull’oggetto più alto di tutto il parco, cioè sulla cima della gigantesca Sequoia, che venne svettata di almeno 15 metri.

Il 4 novembre 1966, come tutti ricordano, Firenze venne sommersa dall’alluvione dell’Arno. Il drammatico evento fece maturare nella mente degli amministratori regionali l’opportunità di realizzare delle opere idrauliche atte a regimentare  la portata dell’Arno in caso di future alluvioni. Uno dei detti in voga a Firenze è: “Arno non cresce, se Sieve non mesce”.

Apparve chiaro, perciò, che uno dei rimedi più efficaci sarebbe stata la costruzione di una diga sull’importante affluente la quale, trattenendo le sue acque in eccesso, permettesse alla piena di defluire con una certa gradualità.

Dopo decenni di rinvii e polemiche, sul finire del secolo scorso la diga – la famosa Diga del Bilancino – venne finalmente completata ed ebbe inizio il riempimento dell’invaso. I proprietari dei vari terreni ed abitazioni erano stati indennizzati a prezzo di esproprio.

Dopo aver sommerso tutta la piana, le acque cominciarono ad invadere la parte più bassa di Torre Palagio, situata sull’estremità opposta del lago rispetto alla diga. Le piante collocate più in basso, soprattutto sequoie, con l’acqua che montava sempre più lungo il fusto, morirono nel volgere di poche settimane e il loro proprietario, Antonio Cafulli, si vide costretto ad abbatterle.

Al livello del massimo invaso le acque sarebbero giunte a lambire, giusto giusto, il piede della grande Sequoia. Gli alberi di questa specie non sopportano di tenere le radici in terreni infarciti di acqua, perciò anche il destino della grande pianta appariva segnato. Profondamente innamorato degli alberi del suo parco, e della grande Sequoia in particolare, il Cafulli decise, di sua iniziativa, di erigere una sorta di controdiga la quale, contrastando l’ingresso del lago, gli impedisse di raggiungerla.

Dentro questa diga, di circa 150 metri di lunghezza e una decina di altezza, egli fece riversare migliaia di metri cubi di terra realizzando un terrapieno di una quarantina di metri di larghezza con una spesa, tutta personale, di un centinaio di milioni delle vecchie lire.

Come prima e immediata conseguenza, il Cafulli si vide portato in tribunale in quanto egli aveva costruito il terrapieno senza attendere le previste autorizzazioni.

Il giudice chiamato a decidere, per fortuna, si mostrò di vedute ampie e di animo sensibile e il Cafulli venne assolto da ogni imputazione avendo agito in condizioni di estrema urgenza.

Tutto sembrava aver funzionato e gli alberi al di qua della controdiga sembravano essersi salvati. L’illusione durò alcuni anni. Intorno al 2007, evidentemente, le acque del lago erano riuscite a penetrare lo sbarramento e a infarcire tutto il terrapieno. Gli alberi ricominciarono a morire, a partire da quelli più vicini al lago. Nel 2008, la maledizione si abbatté anche su questa sequoia. Al momento della mia visita metà della sua chioma era morta. Il signor Cafulli era disperato e mi chiedeva consiglio su cos’altro avrebbe potuto fare, spendendo qualsiasi cifra, pur di salvarla, arrivando perfino a ipotizzare di scavare un grande e profondo fossato semicircolare attorno alla pianta e riempirlo con un muro di cemento che impedisse all’acqua del lago di raggiungere le radici.

Non mi sentii in animo di sostenerlo nel suo proposito che, a mio giudizio, si sarebbe risolto in un grande, inutile spreco di soldi, a fronte dello stato ormai compromesso della pianta.

Non sono più tornato a Torre Palagio e non so come la storia sia andata a finire. Le immagini di Google maps, da lontano, mostrano la sequoia ancora sul posto, ma definitivamente morta.

Prof. Valido Capodarca

A seguire è possibile vedere il confronto tra la Sequoia nel corso degli anni 2000, 2008 e 2016. Spostare il cursore del mouse sulla foto per vedere la differenza.   ---   Foto Gallery con aggiornamenti di foto odierne.

 

 

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