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Montesenario. Campidori ci racconta le sue ipotesi sugli Etruschi

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Montesenario. Campidori ci racconta le sue ipotesi sugli Etruschi Montesenario. Campidori ci racconta le sue ipotesi sugli Etruschi © n.c.
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Paolo Campidori, che già altre volte ha scritto su OK!Mugello delle sue ipotesi sulla diffusione degli Etruschi nella zona di Montesenario, invia alla redazione questo nuovo contributo, relativo al ritrovamento di quello che secondo lui potrebbe essere un megalito (dolmen), ribattezzato dallo stesso Campidori come "La casa della principessa". Ecco il suo testo:
Non tutte le scoperte che si fanno in archeologia sono frutto di una meticolosa ricerca, ce ne sono alcune che avvengono così, per caso, magari passeggiando per un sentiero del bosco, come è capitato a me, che dopo tre o quattro scivoloni sul terreno umido, ho girato la testa a destra e a sinistra per controllare se non avessi l'osso del collo rotto e... girandomi, ho visto a poche decine di metri da me una vera e propria meraviglia: una costruzione (tempio? tomba principesca? santuario?) che ho subito riconosciuto essere non opera della natura (come è riportato nella carte sentieristiche come "Masso del Fuso"), ma opera dell'uomo. Con grande emozione, sapendo ciò che si parava davanti ai miei occhi, ho voluto subito accertare se quello corrispondeva a ciò che vedevo. Entrando in questa specie di 'fungo', dopo un lungo ambulacro, ho riconosciuto certi graffiti, che rappresentavano degli 'ometti', dallo stile sicuramente villanoviano-etrusco. Questa era la prova 'regina' che il 'manufatto', il tempio, la tomba, etc. etc. era databile, almeno al IX-VIII sec. a.C., cioè all'epoca villanoviana-etrusca.Ciò significava anche un'altra cosa molto importante e cioè che tutta la zona di Montesenario, Polcanto, Buonsollazzo, tutte le pendici del Monte Senario per farla breve, erano abitate da popolazioni almeno dal Mille a.C.
Che tutta la montagna dell'Appennino Tosco-Emiliano-Romagnolo fino a comprendere i monti in prossimità di Firenze fossero 'antropizzati' (popolati) da popolazioni 'indigene già a partire dal XII secolo è cosa risaputa, e molte sono le 'risultanze' che ce lo confermano.
In modo particolare, si ha la prova di popolazioni appenniniche, verso il II Millennio a.C, definite genericamente 'primitive' che vivevano allo stato primordiale nelle grotte più o meno artificiali dell'Appennino, costituendo così la popolazione Appenninica, definita genericamente 'primordiale', se non addirittura additate con nomi specifici che si rifanno ad altre civiltà. Tale è il caso dei Ligures Magelli che, secondo Strabone o Dionigi di Alicarnasso abitarono i monti sulla destra dell'Arno. Alla cultura Ligure (o Celtica), sembra che si soprapponesse, successivamente, la cultura Villanoviano-Etrusca, durante tutto l'arco di tempo del I Millennio a.C. Ho l'impressione, ma non la certezza assoluta, che queste genti (autoctone), appartenessero a culture fluviali, che usavano i fiumi per lavorare i loro utensili, esercitare la caccia e la pesca, ma che, tuttavia, abitassero in alto sui monti, dove probabilmente esercitavano attività di caccia, allevamento, pastorizia, etc.
Una civiltà quindi dal doppio aspetto abitativo: uno fluviale (temporale), forse invernale ed uno montano (estivo). Queste culture (seminomadi) fluviali e allo stesso tempo montane, seguivano, nel loro peregrinare, la direzione dei fiumi, cioè da Nord-Sud e viceversa. Le stesse, risalivano i fiumi dell’Appennino Tosco-Emiliano-Romagnolo del  Santerno, della Diaterna, del Senio, dell'Idice, del Savena, per cacciare, pescare e allevare animali. Le loro abitazioni erano probabilmente fatte di capanne (per lo più di legna e frasche), oppure si servivano di ‘abituri’ ricavati nelle rocce (grotte). Sulla montagna, durante la stagione buona si svolgeva la loro vita  comunitaria. Le grotte montane, servivano loro sia come rifugio contro il freddo e le intemperie sia come difesa dalle bestie feroci, ma anche come depositi di armi, pelli, prodotti caseari, etc. Tracce di vita primordiale sono state rilevate, tempo fa, anche in alcuni villaggi della Valle dell'Inferno, che si trova presso l'attuale Badia di Moscheta, in modo particolare nelle località di Osteto, dove ancora si possono notare alcuni resti di queste primitive abitazioni inglobati nelle nuove abitazioni. Altre realtà dello stesso genere l'ho ritrovate in Mugello, principalmente nella zona pedemontana di Vicchio.
Tali abituri, formati da lastroni posti in pendio e sorretti lateralmente da grossi massi (pilastri) si trovano anche sui declivi del Monte Senario, che più volte ho avuto l'opportunità di segnalare. Anche in altre occasioni ho avuto l'opportunità  di segnalare la presenza di popolazioni villanoviane-etrusche in tutta quella zona, in modo particolare sul versante est che guarda Polcanto (Borgo San Lorenzo) e sul versante Ovest che guarda Buonsollazzo. In tutta la zona sono presenti moltissimi segni (simboli) graffiti sui massi; si tratta di piccole croci, freccette, serie di punti che formano dei cerchi, lettere e numerosissimi ‘ometti’, in varie posture, simili a quelli che si trovano sulle urnette cinerarie a forma di casa del periodo Villanoviano, di Vulci e altri siti.
Ma tornando alla scoperta del megalite, un complesso litico, di grandi proporzioni, in parte distrutto e non si sa per quali ragioni,  possiamo parlare di un ‘ritrovamento’ veramente importante, forse un tempio, forse una tomba risalente approssimativamente al XII secolo a.C. Devo dire, per onor del vero, che questo complesso megalitico era segnalato nelle carte sentieristiche di quei luoghi come un masso naturalistico, al quale era stato dato il nome di “Masso del Fuso”, vale a dire come uno dei tanti massi ‘creati’ dalla natura, come potrebbero essere altri massi che si trovano nella zona o in zone come questa. Debbo dire con franchezza che non furono le carte sentieristiche del luogo a condurmi al “Masso del Fuso”. Ad un certo punto il sentiero biforcava sulla destra, e ad una cinquantina di metri c’era questo ‘manufatto’ gigantesco, formato da enormi pietre, lavorate grossolanamente. Mi resi conto di trovarmi davanti ad un grande ‘edificio’ costruito anticamente, composto da un lungo ambulacro fatto di lastroni di pietra e da una specie di ‘cappella’ con una cupola fatta di lastroni rotondeggianti, che assomigliavano al guscio di una chiocciola. Questa cupola era sorretta da un enorme colonna litica (dolmen), il tutto di straordinaria bellezza. Lo chiamai subito la “Casa della Principessa”, poiché un graffito (o forse un disegno naturale della pietra) mostrava una figurina di una giovane con una treccia che lanciava in aria una specie di palla. La bellezza del luogo, la posizione, la grandiosità dei manufatti, mi fecero pensare che ciò non fosse una abitazione, ma piuttosto un tempio, una tomba principesca o altro edificio a carattere religioso. Sono ritornato sul luogo e mi sono reso conto, anche dalle grosse pietre che componevano tale ‘manufatto’ che sono rotolate più in basso, che lo stesso potesse essere davvero una tomba del periodo Villanoviano o precedente. Per quanto riguarda la parte centrale, un ambiente sovrastato da una specie di cupola rotonda fatta di grossi massi, mi sembra di poter azzardare una certa somiglianza con la Tanella di Pitagora di Cortona, anche se questa mi sembrerebbe appartenere ad un periodo più tardo. Dai ritrovamenti archeologici fatti a Fiorenzuola, al Peglio e un po’ in tutto l’Appennino Toso-Emiliano-Romagnolo,  pare esserci un trait-d’union, un fil-rouge importante che univa tutte le popolazioni appenniniche. Paolo Campidori

 

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