'Prigioniero' della burocrazia, fino alla morte. E' successo in Mugello, parliamone di domenica
Può la burocrazia uccidere un uomo? Sicuramente può negargli la possibilità di accedere a trattamenti e sistemazioni adeguate. Obbligandolo a passare gli ultimi giorni della sua vita come una persona che non ha niente e nessuno, nonostante avesse risparmiato per tutta la vita in vista di necessità future; e che potesse contare su dei parenti che hanno cercato in tutti i modi di aiutarlo. Eppure è successo qui in Mugello. E la storia che raccontiamo oggi per la rubrica 'Parliamone, di domenica' è uno sfogo che, più che una denuncia 'contro' qualcuno, vuole essere una riflessione e un invito perché cose del genere non succedano più. E' la, storia paradossale, nella quali si è venuto a trovare un cittadino mugellano. Ma andiamo con ordine, era il 20 agosto scorso quando Francesco Maiani (79enne) è stato ricoverato in gravissime condizioni all'ospedale Fiorentino di Santa Maria Nuova. Lui e l'amica (93enne) con la quale aveva deciso di vivere si erano sentiti male insieme (si appurerà poi) senza poter avvisare i soccorsi. E così furono trovati solo dopo giorni, grazie alla segnalazione di un nipote che non riusciva a contattarli: lei deceduta a causa di un infarto (come si è poi appurato), lui in gravissime condizioni. Una scena che, tra l'altro, portò le autorità ad aprire un'inchiesta per cercare di ricostruire cosa fosse accaduto a queste due persone, e se vi fosse stata un'intrusione (indagine che poi ha accertato che il decesso è avvenuto per cause naturali). Fin qui tutto regolare. Peccato poi che, tra cavilli e lungaggini burocratiche, Francesco venga 'dimenticato', e che per i suoi familiari inizi un meccanismo perverso di burocrazia per cercare di curarlo ed assisterlo in maniera adeguata. Anzitutto la diagnosi: in via ufficiale pare non arrivare mai. “Secondo quanto abbiamo ricostruito – spiega Gianni, uno dei nipoti, che lo ha assistito – aveva una rabdomiolisi, ossia un'infezione muscolare. Unita ad una grave insufficienza renale e piaghe su buona parte del corpo dovute al prolungato stazionamento a terra”. Ma ecco che inizia il calvario e il perverso gioco burocratico. L'appartamento di Firenze viene messo sotto sequestro, e con esso tutto il suo contenuto, compresi i documenti di Francesco e le chiavi dell'appartamento di Ronta (nel quale si trovavano anche importanti documenti sanitari e fiscali necessari per organizzare la sua assistenza). Allo stesso tempo il suo conto in banca è inutilizzabile in quanto non aveva disposto deleghe. Carta d'identità, tessera sanitaria, tutto è bloccato dal sequestro e diventa un problema anche accedere alle prestazioni sanitarie. Le sue condizioni appaiono gravi ma stabili: gli ospedali (prima Firenze, poi Borgo e poi la clinica di San Francesco) sostenevano che poteva anche tornare a casa e lo volevano dimettere e mandare a casa. Ma a casa dove? E con chi, se non era autosufficiente e viveva solo? Fratelli e sorelle hanno tutti 80 anni e le chiavi della sua casa di Ronta sono chiuse all’interno dell’alloggio di Firenze sotto sequestro. I nipoti non potevano agire in sua vece perché non avevano nessuna delega. “Mio zio – spiega Gianni – è morto dopo quattro mesi per la burocrazia”. Intanto le normative sulla privacy avevano bloccato tutto: anche il conto corrente e quindi i risparmi che avrebbero potuto aiutarlo nelle cure. Non si potevano avviare le procedure per l'accompagnamento in quanto mancavano Isee e certificati (che non si potevano fare senza i suoi documenti, sotto sequestro insieme a tutto il resto). Inizia allora la procedura da parte del nipote per essere nominato amministratore di sostegno, ma la pratica è lunga, tanto che la sentenza, dalla fine di settembre quando fu avviata la domanda, divenne operativa solo alla fine di dicembre. Francesco, intanto non era autosufficiente, veniva dimesso dalla clinica e, dato che necessitava comunque di una assistenza continua sulle ventiquattrore, veniva trasferito dalla famiglia nella Rsa di Ronta dove pare trovare, finalmente, un clima e un trattamento adeguati. Ma intanto, sottoposto a frequenti visite e spostamenti (nonostante il suo stato di coscienza, quasi quello di un bambino, fu comunque obbligato a presenziare alla visita per il riconoscimento dell’invalidità e all'udienza per la nomina dell’amministratore di sostegno), aveva anche preso una polmonite. Alcuni aspetti, poi, sono semplicemente paradossali: come la visita per l'invalidità, che gli viene riconosciuta al 100%. Peccato però che l'esito fu comunicato dall’INPS tramite raccomandate indirizzate a Francesco, che nessuno poteva ritirare. Nelle quali, massimo della beffa, gli si chiedeva (nonostante fosse invalido al 100%) di registrarsi con la procedura online o tramite Caf. Alla fine, il 29 dicembre, Francesco si è spento; proprio un solo giorno dopo che il nipote era finalmente riuscito a farsi nominare amministratore di sostegno. “Vorrei - conclude Gianni – far tesoro di questa nostra brutta esperienza per invitare tutti gli anziani a prendere provvedimenti quando ancora sono in salute, in quanto la legge permette di nominare un amministratore di sostegno anche in via preventiva. “E' inconcepibile – conclude – che una persona che ha lavorato e risparmiato per una vita debba morire senza dignità né le cose essenziali; allo stesso modo è veramente brutto che le famiglie debbano impiegare quasi più tempo ed energie fisiche e nervose nello sbrigare gli adempimenti burocratici, piuttosto che nell’assistenza del loro congiunto ammalato. Tutte le procedure che sono state avviate non sono servite a niente”. Eppure è successo. In Mugello.


