
Paolo Insolia: Ennesimo massacro di palestinesi in fila per il cibo. Quando pagherà Israele?
Sono oramai quasi due anni, da quel maledetto 7 ottobre 2023 - giorno in cui Hamas ha deciso di attaccare lo stato ebraico - che assistiamo ogni giorno a massacri di civili innocenti all’interno della Striscia di Gaza per mano di Israele. E ogni volta il governo di Tel Aviv tenta di rendere legittime le sue azioni, che vengono racchiuse nella seguente formula: “tutto è concesso pur di fare fuori non soltanto i vertici di Hamas, ma ogni suo componente”. I bombardamenti diretti contro i miliziani hanno tolto la vita a quasi 60.000 civili, di cui molti bambini. Oltre a polverizzare Hamas, Netanyahu ha dichiarato di voler trasferire gli abitanti della Striscia in altri paesi, liberando il territorio dai palestinesi. A quel punto, il destino di Gaza sarebbe legato o agli Stati Uniti - Donald Trump ha detto che la trasformerebbe nella riviera del Medio Oriente - o a Israele, che la annetterebbe a sé, come d’altronde chiede una buona parte del governo in carica e della popolazione, che sogna l’intera Palestina abitata da soli ebrei.
Per adesso, nessun paese a cui Netanyahu ha fatto richiesta si è detto disposto ad accogliere i palestinesi. Quasi due milioni e mezzo di abitanti non sono poche migliaia, e la loro gestione richiederebbe sforzi e costi immani. Nel frattempo la guerra sta continuando, e miete vittime. Lo scorso maggio Hamas ha rifiutato il piano Witkoff, accettato invece da Israele. Il piano prevedeva una tregua di 60 giorni e scambio di ostaggi, carcerati e cadaveri da parte di entrambe le fazioni in conflitto. Hamas ha rifiutato perché, secondo l’organizzazione terrorista, l’accordo è troppo sbilanciato a favore di Israele.
Hamas avrebbe accettato il piano se Israele avesse a sua volta accettato delle precise condizioni, ma così non è stato. Le condizioni erano: una tregua permanente della guerra, il ritiro delle truppe nemiche da Gaza e la ripresa del flusso di aiuti umanitari alla popolazione, bloccato da Israele lo scorso marzo e ripreso a metà maggio dalla Gaza humanitarian Foundation, un’organizzazione americana fondata nel 2025 che si occupa di distribuire aiuti umanitari a Gaza, fortemente criticata dalle Nazioni Unite in quanto la distribuzione avviene, al contrario di come avveniva prima del blocco - tramite centinaia di hub e centri di distribuzione - soltanto attraverso quattro centri, situati a sud. Ciò rende difficoltose le consegne agli abitanti del nord - è forse una strategia per far spostare la popolazione a sud, e occupare senza troppa resistenza il territorio a nord? - In più, la liberazione degli ostaggi, fa sapere Hamas, avverrebbe non in una settimana, come specifica il piano, ma in cinque fasi, l’ultima delle quali si concluderebbe l’ultimo giorno di tregua. Questo per garantire il rispetto del cessate il fuoco.
Accordi o non accordi, il punto qui è che continuano a morire individui innocenti. Da quando è iniziato il conflitto Israele ha invocato il sacrosanto diritto di difendersi da criminali terroristi che hanno assassinato, stuprato e rapito centinaia di persone. Abbiamo visto palazzi colpiti dai missili sbriciolarsi; gente scappare dalla propria città in cerca di un riparo altrove - nella Striscia di Gaza nessun luogo è sicuro -; immagini e filmati di bambini feriti sui letti d’ospedale; cadaveri di cinque, sei, sette anni; mamme e papà piangere per la perdita dei propri figli e viceversa; distese di tende di fortuna, diventate le case degli sfollati; ospedali e scuole in fiamme; gente che si fionda sulle casse degli aiuti umanitari piovuti dal cielo su paracaduti; vermi nei contenitori di cibo; giornalisti trucidati. Pianti; sangue; dolore. E poi i racconti, veri quanto terribili, come quelli del giornalista palestinese Sami al-Ajrami, che per mesi ha raccontato su Repubblica l’orrore della guerra vista dai suoi occhi. Al-Ajrami faceva luce sugli effetti secondari della guerra, ovvero la mancanza di acqua potabile; la convivenza di dieci-quindici persone in case pensate per quattro; lo spostarsi da una residenza a un’altra, spesso in città diverse, con la paura di essere colpiti da un momento all’altro. Tutto questo materiale fa oramai parte di noi; lo abbiamo introiettato, come le immagini degli aerei che si schiantano sulle Twin Tower, il camion bianco scaraventato a tutta velocità da un lupo solitario fedele all’Isis sulla Promenade des Anglais di Nizza, il crollo del muro di Berlino.
Israele è stato condannato più volte in questo periodo di guerra. A causa della violazione del diritto internazionale e dell’attuazione di crimini contro l’umanità e di guerra, la Corte Penale Internazionale ha emesso mandati di arresto nei confronti di Netanyahu, presidente del paese, e di Gallant, ministro della difesa. Sono loro i maggiori responsabili del blocco degli aiuti umanitari a Gaza, che hanno causato malnutrizione, sofferenze e disidratazione alla popolazione di Gaza.
Inoltre, per gli stessi motivi dei mandati di arresto a Netanyahu e Gallant, 17 paesi europei, tra cui la Spagna di Pedro Sanchez e l’Irlanda di Micheàl Martin, hanno chiesto la sospensione dell’accordo di associazione tra Europa e Israele, firmato nel 2000, e che prevede un rapporto di libero scambio tra i due paesi firmatari. Nell’articolo 2 viene espresso che elemento essenziale dell’accordo deve essere il rispetto dei diritti umani e democratici, pena la sua sospensione. Un documento di otto pagine, presentato da Kaja Kallas, l’Alto rappresentante per lapolitica estera europea, mostra come Tel Aviv potrebbe aver violato l’articolo 2. Se la situazione a Gaza non migliorerà, nella prossima riunione a luglio l’Unione europea avrebbe tutto il diritto di richiedere la sospensione parziale dell’accordo - per la sospensione totale è necessaria l’unanimità, ma paesi come la Germania e l’Italia sono contrari -.
Nel maggio del 2024 Spagna, Irlanda, Norvegia e Slovenia hanno ufficialmente riconosciuto lo Stato di Palestina.
Fin dall’inizio dell’offensiva israeliana su Gaza tutti, dalla classe dirigente di ogni paese ai giornalisti, dagli intellettuali alle persone comuni, hanno espresso la loro opinione su dove inizia, e dove finisce, il diritto alla difesa. Le opinioni sono sempre state contrastanti. Quando un ospedale veniva colpito da un missile con la giustificazione che “sotto le sue fondamenta c’era un tunnel di Hamas”, o “era una base operativa di Hamas”, le riflessioni circa la legittimità del gesto hanno richiesto sforzi intellettuali non da poco. Così come quando veniva colpito un palazzo abitato da civili con il pretesto di uccidere un terrorista che ci abitava. E’ legittimo uccidere venti innocenti per prendere un criminale?
C’è chi sostiene che Israele sta commettendo un genocidio, chi invece che è colpa di Hamas se i civili muoiono, poiché li usano come scudo. C’è chi dice che se Israele è così in gamba da uccidere chirurgicamente un leader di Hamas o di un’altra organizzazione terroristica in un paese straniero - com’è successo con Haniyeh in Iran e Nasrallah in Libano - allora potrebbe farlo anche all’interno di Gaza, e chi invece afferma che la Striscia, essendo uno dei territori più densamente abitati del mondo, non permette di evitare il coinvolgimento di civili durante i bombardamenti. Le considerazioni sul comportamento in guerra, come si è visto, sono tante. Ma a Gaza si è arrivati a un punto su cui non è più possibile discutere, e non rimane altro che indignarci e sperare che ci sia una ferma condanna da parte di tutti i paesi, Italia compresa, nei confronti di Israele.
Se a Gaza era già stato toccato il fondo, adesso siamo arrivati a un punto da cui non è più possibile risalire. Il riferimento è alla Gaza Humanitarian Foundation, l’organizzazione americana a cui avevamo accennato sopra. Con sede centrale nel Delaware, si occupa di distribuire gli aiuti umanitari ai palestinesi di Gaza, anche se ogni giorno, per mano sua, avvengono carneficine di civili. Oltre ai soldati israeliani, a presiedere i centri di distribuzione ci sono i contractors, ovvero militari di compagnie private statunitensi. Le notizie che ci giungono raccontano che soldati, droni e persino carri armati - com’è accaduto a Khan Yunis lo scorso giugno, dove i carri armati israeliani hanno sparato colpi di cannone, mietendo un gran numero di vittime - fanno fuoco sulle persone in fila per il mangiare. La BBC ha riportato che da fine maggio, ovvero da quando la Ghf ha iniziato a operare, oltre 500 palestinesi sono stati assassinati e oltre 4000 sono rimasti feriti. Per questo, 130 enti di beneficenza e ONG hanno chiesto che l’organizzazione smetta di operare.
A ogni strage. l’esercito israeliano o nega ogni accusa, chiudendosi nel silenzio, o afferma di aver sparato colpi di avvertimento contro individui ritenuti sospetti. Eppure i testimoni ci sono, e i morti a terra anche. La verità non si mette a tacere con le armi.
L’esercito di Israele non ha chiarito cosa intende per individui sospetti; ha soltanto parlato di persone che si avvicinavano ai soldati con fare sospetto. E questa sarebbe una giustificazione per sparare su chiunque? Oltretutto, alcuni militari di Tel Aviv hanno dichiarato di aver ricevuto l’ordine preciso di spararesulla folla. Se ciò venisse confermato, sarebbe gravissimo. Ma ordine o non ordine dall’alto, le vittime ci sono. Quando un missile iraniano colpì l’ospedale Soroka di Beer Sheva, Netanyahu disse davanti alle telecamere che Israele bombarda solo postazioni militari o obiettivi strategici, e non luoghi neutrali come gli ospedali. Bella faccia tosta, caro Netanyahu. In certi casi, sarebbe meglio non commentare, soprattutto in modo così ipocrita.
Fino ad ora Israele non ha ricevuto una risposta energica e compatta circa il suo comportamento a Gaza. I massacri vengono compiuti giornalmente, senza che nessuno muova un dito. Gli Stati Uniti sono scesi in guerra contro l’Iran al fianco di Netanyahu bombardando il sito nucleare di Fordow, ma sulle vittime innocenti che quest’ultimo sta mietendo a Gaza non viene mosso un dito, segno che l’Occidente, che si ramifica in Medio Oriente nello stato ebraico, è convinto che ogni azione che viene compiuta in nome della democrazia e dell’autodifesa contro regimi autoritari come Hamas o l’Iran sia buona e giusta.
Come ci ricorda la Bibbia, l’angelo più bello creato da dio si ribellò e divenne cattivo. L’Occidente democratico non sta forse, in relazione alla Striscia di Gaza, trasformandosi nel diavolo?
Sparare sulla folla non è forse terrorismo, fenomeno che Israele dice di voler combattere?
L’Occidente deve prendere provvedimenti, e subito. Stavolta lo stato ebraico non era di fronte a una minaccia reale, e se la linea rossa è stata superata non poche volte in quest’ultima fase di questo lungo e terribile conflitto, adesso è davvero troppo. Non è ammissibile morire in fila per un pacco di farina, quando si sono persi familiari, casa, lavoro, dignità. La parola genocidio, che alcuni hanno utilizzato per descrivere la situazione a Gaza, e che molti hanno ritenuto esagerata poiché priva di fondamento, potrebbe essere l’accusa a cui nessuno avrebbe più il diritto di controbattere, viste le circostanze.
L’Occidente è ancora disposto a sostenere Israele, o è pronto a sanzionarlo all’unanimità?
La risposta a tale domanda inciderà sugli scenari futuri di società e politica occidentali e, nel caso fosse negativa, avremo perso la bussola, la cui assenza potrebbe far crollare ogni nostro valore. Trasformarci in altro, magari in una coalizione di paesi illiberali e guerrafondai, non sarebbe più così impossibile.
Paolo Insolia