Ormai da qualche mese si sente tanto parlare di Città metropolitana, con toni che fanno assomigliare questa istituzione a un mostro mitologico a tre teste. Ma che cos’è, realmente, una Città metropolitana? Che cosa cambierà rispetto alla situazione attuale? Innanzitutto, la riforma Delrio (7 aprile 2014, n.56), ha le sue radici in un lungo elenco di leggi, a partire dall’ordinamento locale n.142 del 1990, diventato nel 2001 un vero e proprio articolo della Costituzione, il 114, che recita: “La Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato”. Quindi, al pari appunto dei comuni e delle province, denominazioni che ci suonano così familiari, la Città metropolitana sarà un ente locale con il compito di tutelare interessi specifici, quelli delle dieci maggiori città italiane (Firenze, Bari, Bologna, Genova, Milano, Napoli, Reggio Calabria, Roma, Torino, Venezia), più eventualmente di alcune città delle regioni a statuto speciale. Queste aree potranno essere definite città metropolitane a causa dell’alto grado di interazione che vi è tra la città e le zone limitrofe, tanto da aver bisogno di un ordinamento differenziato rispetto alla più diffusa provincia, che coinvolga maggiormente i sindaci e gli amministratori. Una democrazia più diretta, se così si può definire, che prenda una maggiore coscienza dei problemi del territorio (soprattutto per quanto riguarda infrastrutture e servizi) e sia pronta ad ascoltare i rappresentanti più vicini ai cittadini, i sindaci appunto. La riforma Delrio sottolinea infatti come il punto centrale di questi cambiamenti sia approdare a un nuovo coordinamento territoriale. In realtà, il tema è davvero confuso. Si sa con certezza che entro il 30 settembre 2014 dovranno essere convocate le assemblee dei sindaci per le elezioni del Consiglio della Città metropolitana, l’organo che andrà a sostituire l’attuale Giunta provinciale: tale organo sarà costituito dal sindaco metropolitano, cioè il sindaco della città capoluogo, nel nostro caso Dario Nardella di Firenze, e un numero variabile di consiglieri, a seconda della popolazione, che per Firenze è stato stabilito in 18 (da cui il problema attuale del Pd mugellano - e tutte le polemiche - nel dover presentare un unico candidato). L’elezione per l’area fiorentina si svolgerà domenica 28 settembre. Il passo successivo sarà, entro il 31 dicembre 2014, approvare uno Statuto che possa divenire operativo, assieme alla Città metropolitana, a partire dal 2015. Uno Statuto che, ci dicono, in questo momento è in cantiere ad opera di un’assemblea statutaria presieduta da Nardella (e dovrà essere presentato entro il 30 settembre) e che definirà l’elezione futura del Consiglio metropolitano, la quale potrebbe essere anche a suffragio universale, secondo un’idea appunto di democrazia diretta, che conferisca maggiore influenza e maggiore potere di scelta ai cittadini. Aspetti positivi dunque, che però si scontrano con alcune contraddizioni interne alla legge stessa, come la drastica cancellazione dei consiglieri provinciali, con la clausola (come si legge sul Vademecum pubblicato dal Governo) che “nessun dipendente provinciale verrà licenziato o subirà un demansionamento: la legge garantisce infatti i rapporti di lavoro a tempo indeterminato già in corso, nonché quelli a tempo determinato fino alla scadenza prevista e il mantenimento degli stessi trattamenti oggi in essere”: quindi, mentre i sindaci del Consiglio metropolitano svolgeranno l’incarico a titolo gratuito (fatta eccezione per il sindaco metropolitano, per cui può essere stabilita in deroga una specifica indennità di funzione), alcune persone rischiano di continuare a ricevere indennità nonostante la loro posizione sia stata sostituita. Questo aspetto della legge non è chiaro e necessita sicuramente di ulteriori chiarimenti. D’altra parte, un altro dubbio che non può fare a meno di sorgere è quello di: perché? L’intento fondamentale della riforma sembra essere quello di una maggiore attenzione al territorio, conferendo alle Città metropolitane una maggiore autonomia e maggiori poteri. Siamo davvero certi che questa spinta verso il decentramento, questo leggero allentamento della corda a cui lo Stato tiene legati i poteri locali, sia necessario soltanto per quelle che rientrano nei requisiti di Città metropolitane? Oppure sarebbe bastato conferire maggiori poteri alle Province esistenti, riformandone parzialmente la composizione? Magari sì, magari no. Magari una ventata di nuovo è davvero quello che serve, e questo rapporto più personale, più confidenziale, che da sempre ha legato i sindaci alla popolazione, e che adesso approda anche in un organo più “alto” come la Città metropolitana, segnerà una nuova era di attenzione al territorio e ai cittadini. Di fatto, non ci resta che aspettare, fiduciosi o timorosi, che le nuove Città metropolitane si delineino e diano i loro frutti.