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Firenze e il suono dei tuoi passi

Anche i fiorentini stanno a casa, fuori tutto è sospeso in un silenzio irreale di una Firenze mai vista

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Il Duomo deserto Il Duomo deserto © Nadia Fondelli
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Mentre tutti sono (giustamente a casa) nel rispetto del decreto Firenze vive "sospesa" e sonnacchiosa in un sole che sbuca a malapena ma che forse, complice la poca presenza umana in giro, fatica a riscaldare coi suoi raggi.

Abbiamo fatto un giro in questa Firenze inedita del marzo 2020. Siamo entrati in Piazza del Duomo da via del Proconsolo e ciò che ha colpito più del bianco del marmo del Duomo che quasi si specchiava nel grigio privo di calpestio della piazza è stato il silenzio, quasi assoluto. Un silenzio rotto solo dai passi veloci di un sacerdote che, dalla porticina laterale del Duomo se ne andava direzione Arcivescovado.
Dall'altra parte della piazza si sentivano nitidamente quei passi, uno dopo l'altro. Due taxi stazionano chissà da quanto sul lato della piazza mentre l'attraversiamo nel silenzio assordante proviamo a parlare per sentire l'eco della nostra voce.

Piazza San Giovanni è abitata solo da un gruppo di sparuti piccioni che paiono sostituirsi ai turisti nell'ammirare la Porta del Battistero. Oltre a loro solo i due militi di guardia in mimetica. Via Roma è una striscia d'asfalto grigia e triste, così come Piazza della Repubblica con i suoi caffè chiusi e la sua giostrina serrata.
Il mercato del Porcellino non esiste più in questo marzo che pare uscito direttamente da un film di fantascienza, giocando con la nostra ombra fra gli archi della loggia siamo accanto al Porcellino insolitamente ammirato solo dalla pietra serena del palazzo di fronte. Per la prima volta, io fiorentina doc, riesco a toccargli il naso. Un gesto che oggi suona quasi scaramantico.

Risalgo via Vacchereccia giusto in tempo per giungere in un'incredibile Piazza della Signoria dove l'unico rumore che rimbalza è lo scrosciare dell'acqua della fontana dell'Ammanati prima che parta, sono le 18.00 in punto, il suono dell'inno d'Italia che si alza solenne da una finestra.
Nella piazza deserta mi trovo esattamente al suo centro senza temere lo sgomitio dei turisti, senza scansare le frotte di crocieristi con giude e sento che mi cade una lacrima sulla guancia mentre mestamente mi ritrovo esattamente al centro dello scenario naturale del Piazzale di quella che fu la Galleria d'arte più visitata del mondo fino a giungere là, sulla terrzza dei Canottieri fronte Ponte Vecchio silenzioso e deserto.

Abbasso la testa, mi commuovo ancora e mestamente torno indietro per cercare un po' di rumore almeno in via de Neri dove sicuramente l'unto della schiacciata più famosa del mondo mi consolerà.
Anche qui tutto è immobile e cristallizzato, le siepi messe per dividere le file in coda in cerca di un boccone da selfare sembrano militi immobili schierati e il borg'unto è sempre unto, ma di un unto ormai datato. Mi allungo in Piazza Santa Croce abitata solo da due piccioni e da un Dante Alighieri sempre più sbigottito e decido che puà bastare.

Torno a casa e penso se mai qualche collega ha visto Firenze così. Chissà come l'hanno vista nel 1944 sotto i bombardamenti, oppure nel 1966 all'umido dell'alluvione. So solo come l'ho vista io, piangendo, nell'era del Coronavirus















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