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Gabriele Sarti, il maestro benemerito che ama la Boxe (Mugello) da oltre 40 anni

Dai primi passi nel mondo pugilistico fino al 1982 quando fonda la Boxe Mugello, oggi punto di riferimento in tutta Italia...

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Gabriele Sarti Gabriele Sarti © Boxe Mugello
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Si scrive Boxe (Mugello) si legge Gabriele Sarti. E non c’è da stupirsi visto quest’ultimo è da ben 47 anni nel mondo di questa nobile arte. Gabriele inizia a farsi le ossa nel 1977 all’Accademia Pugilistica Fiorentina. Poi nel 1982 il grande salto: fonda la Boxe Mugello che negli anni è diventata un punto di riferimento in tutta Italia.

La sua “creatura“ quest’anno ha compiuto 42 anni, ma l’allenatore non ha nessuna intenzione di fermarsi. Normale per uno che per 12 anni è stato rappresentante dei tecnici in Regione Toscana, è stato eletto nell’esecutivo tecnici e adesso fa parte della commissione tecnica nazionale. E per non farsi mancare niente quest’anno è stato premiato come maestro benemerito.

Ma in cosa è cambiata la boxe rispetto al passato? Quali sono le principali difficoltà nel gestire una società storica come la Boxe Mugello? C’è mai stato un momento nel quale hai pensato di abbandonare tutto? Cosa ti spinge, dopo tutti questi anni, ad andare ancora in palestra? Gabriele si è messo comodo, come quando sta seduto a bordo ring, e ha risposto a tutte queste domande. Poi sui prossimi obiettivi, l’allenatore ha lanciato un appello a tutto il territorio.

Partiamo dal principio. Cosa ti ha spinto a diventare allenatore?

“Ho l’onore di aver portato il pugilato nel Mugello. Ero un pugile che nel 1977 iniziò a frequentare l’Accademia Pugilistica Fiorentina. Purtroppo la distanza da Borgo San Lorenzo a Firenze, a quei tempi, era tanta. Credevo molto in questo sport e nel suo valore, e di conseguenza, nel 1982 decisi di fare questo salto fondando la Boxe Mugello. E alla fine ho avuto ragione in tutto“.

Ti sei ispirato a qualcuno in particolare?

“Venendo dalla scuola fiorentina, direi Dino Ciappi, il mio allenatore che praticamente mi ha dato dei forti insegnamenti, come successivamente mi ha dato Carta Carlo. E da allora ho copiato un po’ il modello di quest’ultimo“.

In cosa è cambiata la boxe rispetto al passato?

“È cambiata tantissimo, in particolare ad essere cambiata è la struttura del guantone. Il pugilato oggi è molto più vivace, ci sono più movimenti di gambe, mentre prima era più basato sulla forza fisica, più di contatto. Secondo me il vecchio pugilato era migliore”.

Con quale spirito continui ad andare in palestra dopo tutti questi anni?

“La forza me la danno questi ragazzi perché quando apro la palestra e trovo ad aspettare anche quelli che non hanno le caratteristiche per fare il pugilato, questo è quello che mi appassiona. Io non miro a fare il campione, ma a fare la felicità di un ragazzo“.

C’è mai stato un momento nel quale hai pensato di abbandonare tutto?

“Ci fu un periodo intorno al 1992, ma fu breve, di solo 5/6 mesi. Poi alla prima manifestazione che tornai a vedere mi si riaccese l’entusiasmo e dentro di me promisi di non avere più queste lacune. Riformai la società, la feci ancora migliore. Rifarei tutto quello che ho fatto, magari anche meglio. L’esperienza l’ho fatta sui ragazzi perché ne ho avuti di veramente validi. E quello che mi fa piacere è che i ragazzi che ho avuto, adesso nella vita comune si sono tutti realizzati“.

Qual è stata la tua più grande soddisfazione?

“Ce ne sono state tante. Le vittorie danno soddisfazione però i momenti più belli sono stati nel recupero dei ragazzi. A volte portare uno di loro, non capace nei movimenti, a fargli fare un match, è una soddisfazione bellissima. Ripeto non è fare il campione ma avvicinare questi ragazzi a questo sport. A volte, ho fatto veramente delle magie“.

E la più grande delusione?

“L’infortunio di mio figlio Leonardo ai Campionati Regionali perché era veramente lanciato. A vederlo, venne addirittura il Commissario Tecnico della nazionale Raffaele Bergamasco. Insomma, si smosse tutta la Federazione per vederlo perché Leonardo è stato uno tra i migliori in Italia nel periodo tra il 2015 e il 2016. Si meritava molto di più. Purtroppo i giochi politici me lo hanno escluso".

Quali sono le principali difficoltà nel gestire una società storica come la vostra?

“Innanzitutto, trovare volontari. Essere 365 giorni presenti è tanta roba. Trovare anche dirigenti che hanno le capacità e la voglia di credere nel nostro progetto. Infine, tenere con l’amministrazione comunale un rapporto, anche perché in 40 anni credo di aver dimostrato quello che c’era da dimostrare“.

I prossimi obiettivi?

“Trovare una palestra perché a dicembre qui dobbiamo lasciare. Poi portare al titolo italiano Leonardo Sarti e ce la faremo. Ma vogliamo l’aiuto di tutto il territorio e di tutte le amministrazioni“.

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