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La Palestina è sempre stata una terra in conflitto? La risposta è no. Un excursus storico per imparare a costruire la pace

La crociata di Federico II di Svevia si concluse con la Pace di Giaffa: dopo decenni di conflitti, cristiani e musulmani poterono convivere pacificamente

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la Pace di Giaffa la Pace di Giaffa © Wikipedia
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Le notizie che ci giungono dalla Striscia di Gaza - l'exclave palestinese controllato dall'organizzazione terroristica Hamas, da cui il 7 ottobre scorso partì il sanguinario attacco contro Israele, dove persero la vita 1200 persone - sono amare. E destano preoccupazione, sia riguardo il presente che riguardo il futuro. Domenica 26 maggio Israele ha condotto un attacco missilistico su un campo per sfollati nella città più a sud di Gaza, Rafah, uccidendo quarantacinque civili, molti dei quali donne e bambini. L'esercito israeliano, che decretò il campo come sito sicuro, ha fatto sapere di averlo attaccato sulla base delle dichiarazioni della sua intelligence, che scovò al suo interno un complesso di Hamas. Insomma, per la popolazione civile palestinese, stremata da otto mesi di guerra, non esiste un posto sicuro in tutta la Striscia, e i morti continuano a salire. 

Il presidente democratico degli Stati Uniti d'America, Joe Biden, nei giorni scorsi ha proposto un accordo, rifiutato però dai leader di Hamas, che prevedeva il ritiro completo delle truppe israeliane dal territorio di Gaza, l'invio massiccio di aiuti umanitari alla popolazione, e la liberazione di tutti gli ostaggi. Il leader di Hamas Osama Hamdan ha dichiarato che non ci sarà alcun accordo fino a quando Israele non assumerà  una posizione chiara sulla fine della guerra e il ritiro delle truppe da Gaza. Dal canto suo, Netanyahu ha detto a più riprese che la guerra continuerà fino a quando Hamas non sarà totalmente annientata. Tradotto: fino a che non sarà ucciso l'ultimo suo combattente. Da ciò si evince che ad oggi la pace, che chiedono a gran voce la gran parte dei paesi esistenti, è un miraggio. 

La Palestina, un piccolo territorio poco più grande della Sicilia, estremamente fertile, scelto dal Dio delle tre religioni abramitiche - Ebraismo, Cristianesimo e Islam - come centro della sua manifestazione. Terra promessa per il popolo ebraico, ovvero la terra che dio promise al popolo da lui eletto, gli ebrei appunto; terra in cui nacque l'uomo al centro del cristianesimo, Gesù di Nazareth; terra in cui Maometto, considerato dai musulmani l'ultimo profeta inviato da dio sulla terra, giunse dopo aver compiuto un viaggio notturno in Paradiso, e da cui effettuerà la sua ascensione mistica - precisamente dalla città di Gerusalemme -. La Palestina, luogo che sia nella realtà che nell'immaginario comune è sempre stato conteso dai fedeli delle tre diverse religioni monoteistiche, e per questo territorio di lotte e di sangue. Ma è davvero sempre stato così? O ci fu un periodo in cui in Palestina regnò la pace, e cattolici e musulmani convissero in serenità senza voler prevalere gli uni sugli altri? Quel periodo ci fu, e anche se non durò molto, segnò una delle pagine più significative del Medioevo. 

Ci troviamo nella prima metà del 1200, in quello che viene definito Basso Medioevo, precisamente nel 1228. Le crociate, ossia le spedizioni militari in Terrasanta organizzate dalla Chiesa cattolica romana per la riconquista di Gerusalemme e dei territori caduti in mano ai musulmani, erano cominciate nel 1095. Fino ad allora, ne erano state organizzate cinque. Da secoli i musulmani presero a espandersi a macchia d'olio; la Spagna, stato occidentale, era stato conquistato dagli arabi nell'VIII secolo, e se non fosse stato per il re dei Franchi Carlo Martello, che li fermò a Poitiers nel 732, avrebbero preso anche la Francia. Per il papa, la massima autorità cattolica, i musulmani - ma anche gli ebrei e gli eretici cristiani, come i catari, che infatti vennero trucidati - andavano fermati con le armi. 

Nel 1228 Federico II di Svevia, nipote di Federico Barbarossa - re dalle eccellenti doti politiche e organizzative - era imperatore del Sacro Romano Impero. Per via della sua curiosità intellettuale, Federico fu definito dai suoi contemporanei stupor mundi - stupore del mondo - che lo portò a studiare e approfondire materie diverse, tra cui la matematica, la medicina e le scienze naturali. Fu proprio nel 1228 - a seguito delle continue sollecitazioni prima del papa Onorio III e poi del suo successore Gregorio IX - che decise di partire, insieme a un nutrito esercito, per la Terrasanta, dando inizio alla sesta crociata. La particolarità di tale crociata è che fu pacifica, senza spargimenti di sangue. Federico II infatti stipulò con il sultano Ayubbide del Cairo al-Malik al-Kamil la così detta Pace di Giaffa, che sanciva per la prima volta la convivenza pacifica tra cristiani e musulmani in Palestina. Alcuni passaggi della pace ad oggi sembrano utopie: una tregua di più di dieci anni tra cristiani e musulmani in tutto il Medio Oriente; la condivisione dei luoghi santi, permettendovi l'accesso ai fedeli di entrambe le religioni; la totale tolleranza religiosa e gli uguali diritti giuridici tra cristiani e musulmani.

Federico II fu un sovrano aperto alla diversità. Pur essendo cattolico, era affascinato dal mondo islamico, e desiderava conoscerlo, non cancellarlo come ambiva fare la Chiesa cattolica del suo tempo. A causa della sua tolleranza nei confronti dei musulmani, e dell'accordo pacifico siglato con il sultano d'Egitto, fu definito Anticristo da papa Gregorio IX. In realtà Federico II realizzò ciò che la cristianità nel suo complesso sognava, ovvero la pace in Terrasanta, che anche se durò meno del previsto fu comunque un evento raro per quei tempi. La tendenza di Federico a considerare la diversità come arricchimento, piuttosto che come minaccia, lo rende simile a un personaggio storico vissuto molte epoche prima di lui, addirittura tre decenni prima della nascita di Gesù Cristo: Alessandro Magno, il mitico re dell'impero ellenistico, che prese forma grazie alle sue conquiste territoriali. La particolarità di Alessandro fu quella di voler mescolare i greci con i persiani, popolo da lui conquistato e ammirato. Mai prima d'allora nacque un greco che volle mischiare il proprio popolo, considerato superiore, con altre popolazioni, definite barbare. 

Alessandro Magno, come Federico II di Svevia, era affascinato dai costumi e dalle culture diverse. Nel suo caso, ad affascinarlo era la cultura persiana. La sua ambizione era di creare un impero multietnico, dove popoli differenti convivessero in maniera pacifica. Federico II sapeva che la guerra portava altre guerre, e che soltanto tramite accordi di pace era possibile raggiungere il benessere dei cittadini, siano essi franchi o saraceni. Egli, che si impegnò per il trionfo della pace, dovrebbe essere una figura edificante per i governanti di oggi di Palestina e Israele. Hamas, che nel suo statuto prevede la distruzione dello stato di Israele, dovrebbe cominciare a prendere coscienza che quel giorno non arriverà mai. Il terrorismo, da Hamas previsto, causerà nient'altro che vittime innocenti, senza arrivare a nessuna risoluzione per porre fine a un conflitto che dura da più di settant'anni. Se Hamas riuscirà a sopravvivere alla guerra in corso, dovrà necessariamente cambiare pelle, e trovare il modo di mettere in atto accordi diplomatici, rifiutando il terrorismo. 

Israele invece dovrà arrendersi al fatto che non riuscirà a conquistare l'intero territorio palestinese, come forse vuole il governo di destra di Netanyahu in carica, senza subire pressioni internazionali e combattere guerre su più fronti. Israele deve cercare di mediare con il popolo palestinese, evitando di sottrargli territori e di chiuderlo in gabbia. Ai tempi di Federico II non esisteva il sionismo, la disputa era principalmente tra musulmani e cristiani, e non tra musulmani e ebrei, ma i conflitti erano sanguinari tanto quanto quelli di oggi. Non c'erano i missili che facevano crollare i palazzi, ma gli uomini, guidati dalla loro fede che doveva vincere le altre attraverso la spada, erano violenti e senza scrupoli. 

Federico II e il sultano d'Egitto al-Malik al-Kamil sono l'esempio emblematico di come sia possibile rinunciare alle armi, e alle annesse conquiste, per giungere a qualcosa di maggior valore: la convivenza pacifica tra popoli con cultura e usanze differenti. Dopo che la guerra nella Striscia di Gaza avrà fine, bisognerà ricostruire non soltanto le infrastrutture, ma la pace. Sugli scranni del potere politico dovranno sedere uomini e donne capaci di accogliere le richieste dell'altro, e perciò pronti a rinunciare a qualcosa. Fino a quando i leader di Hamas avranno come obiettivo la cacciata degli ebrei da Israele, e Netanyahu e il suo governo la tolleranza verso i coloni che costruiscono abitazioni in terra palestinese e la messa in pratica di una politica di oppressione verso gli abitanti di Gaza - ricordiamo che la Striscia è presidiata da Israele, che ne controlla perfino l'entrata e l'uscita delle merci e dei cittadini - il conflitto perdurerà. L'augurio è che possa realizzarsi il periodo di pace tanto atteso, dove terrorismo e sopraffazione saranno soltanto un brutto ricordo. 

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