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La politica volgare e la deriva di piombo

Ha ragione il nostro presidente quando dice che la violenza ha ripreso a manifestarsi in ambito politico ed è una deriva da fermare...

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Il Presidente Trump dopo l'attentato Il Presidente Trump dopo l'attentato © n.c.
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La riflessione del Presidente Mattarella

"L'attentato contro Donald Trump è motivo di grave allarme e forte indignazione. La violenza che, da qualche tempo, ha ripreso a manifestarsi in ambito politico è uno sconcertante sintomo di deterioramento del tessuto civile e del pericoloso rifiuto del confronto, del dialogo, del rispetto della vita democratica".
E' con queste parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha commentato stamani la notizia scioccante con cui ci siamo svegliati in questa caldissima domenica di luglio.
L'attentato avvenuto nel tardo pomeriggio di ieri (piena notte in Italia) a Donald Trump deve fare riflettere. Tutti.

Ha ragione il nostro presidente quando dice che la violenza ha ripreso a manifestarsi in ambito politico ed è una deriva da fermare prima che diventi pericolosa.
Una violenza che non si manifesta solo con le armi in pugno negli scenari internazionali delle guerre più o meno raccontate dal mainstream.
 

Le guerre "popolari" e quelle dimenticate

E anche qui soffermiamoci un attimo. Gaza è ormai assunta a manifesto di una certa sinistra che dimentica che sta difendendo terroristi antisemiti sgozzatori di donne e bambini. Della guerra in Ucraina si parla a intermittenza solo quando c'è da piangere per stragi di civili di un popolo votato al suicidio da un presidente malato di protagonismo che ama foraggiare in cambio di promesse vane di pace e territorio i grandi magnati del kalashikov.
Di Myanmar e Messico, che sono insieme ai due paesi sopra nei primi quattro posti nell'indice che valuta i conflitti nel mondo in quattro indicatori chiave (mortalità, pericolo per i civili, diffusione geografica del conflitto e frammentazione dei gruppi armati) nessuno parla...
Eppure non dobbiamo abituarci alla violenza: sono ben 50 Paesi con i tassi di conflitto più alti sono interessati di fatto dal 97% di tutti gli eventi registrati nel 2023. 

Non parliamo poi delle tantissime altre guerre dimenticate che si perpetuano i un quadro globale alquanto fosco che si evince dai dati raccolti dal "Conflit Index 2024", il rapporto annuale pubblicato a gennaio 2024 dall’Acled, l’organizzazione non governativa che si occupa di monitorare i conflitti nel mondo.
Ebbene basti pensare che nel 2023 i conflitti sono aumentati del 12% rispetto al 2022 e di oltre il 40% rispetto al 2020. Una persona su sei vive in un’area in cui vi è un conflitto attivo.
Nei 234 Paesi e territori analizzati, la maggioranza – 168 – ha visto almeno un episodio di conflitto nel 2023. In totale, si registrano oltre 147mila eventi di conflitto e almeno 167.800 vittime. 

La distribuzione geografica dei 50 Paesi più violenti in assoluto mostra che due di questi si trovano in Africa: si tratta di Nigeria e Sudan, con quest’ultimo che continua a peggiorare a causa delle costanti uccisioni di massa. Dato questo che però smentisce clamorosamente la letteratura dell'accoglienza dei migranti africani "a causa di conflitti."

Tre Paesi si trovano invece in Medio Oriente - Palestina, Yemen e Siria -, a riprova delle profonde criticità che persistono nella regione da decenni, mentre nel continente asiatico è il Myanmar l’unico Paese con estrema violenza.

Infine, quattro dei dieci luoghi estremamente violenti si trovano in America Latina e sono Messico, Brasile, Colombia e Haiti.
In questi Paesi non esistono grandi guerre tradizionalima piccoli conflitti multipli, mortali e pervasivi che rappresentano un fattore costante di instabilità sia nei Paesi in via di sviluppo che in quelli più sviluppati. Infatti per i gruppi armati la violenza è lo strumento più efficace a loro disposizione nella competizione per il potere e il controllo del territorio.

La copertura mediatica

Non tutti i conflitti, è questo è bene che sia chiaro una volta per tutti a tutti, ricevono la stessa attenzione mediatica, per quanto violenti.
Secondo il Rapporto, le ragioni sono diverse: in primo luogo, l’attenzione dei media è più frequentemente centrata su conflitti che sono rilevanti a livello internazionale o “geopolitico”, nel senso che hanno una risonanza oltre i confini del paese in conflitto, o coinvolgono almeno due governi. In questa categoria rientrano sia Gaza che l’Ucraina.
Secondo, è difficile riferire sui conflitti più complessi e, sempre più spesso, i conflitti interni hanno più gruppi armati, programmi concorrenti e strategie violente variabili come nel caso di Messico, Brasile o Colombia.
In terzo luogo, la minaccia agli operatori dell’informazione in alcuni conflitti impedisce una copertura completa e spesso sono i civili, le organizzazioni locali e persino i governi a fornire informazioni su ciò che accade all’interno dei conflitti.
Infine sottolineiamo noi, c'è una volontà politica sovrannazionale di pilotare il mainstream in una direzione piuttosto che nell'altra per garantirsi il dominio unico imposto dalla globalizzazione. 

Le guerre verbali

L'attacco armato al candidato ed ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump verrà presto derubricato, a favore del pensiero unico dilagante, all'atto folle e solitario di una persona isolata.
Ciò sarebbe gravissimo.
Anche se così fosse rimane l'allarme perché il video d'odio in cui il giovane si presenta alla rete prima di morire colpito da un cecchino federale è lo specchio di un'allarme che deve scattare in tutte le cosiddette democrazie occidentali.
Una mosca bianca? No. Un giovanissimo carico e caricato d'odio che nella sua giovane vita ha dimostrato schizofrenici orientamenti politici; forse in cerca di sfuggire da una politica lontana dalla gente, una politica dell'odio manifestato nelle parole e nei gesti di molti politici.

Sulla nostra sponda dell'Atlantico si è assistito a fenomeni simili solo la scorsa settimana in Francia quando, dopo una settimana di panico di "onda nera" lanciata sull'etere da ogni media francese, la diffusione del panico ha indotto al ribaltone politico e fatto trionfare una sinistra estrema scesa in campo per dimostrare contro l'ipotesi di vittoria della destra salvo poi, a ribaltone avvenuto, non avere la capacità di festeggiare ma solo di manifestare violenza con guerriglia urbana e imbrattamento di monumenti

E in Italia?
La recente campagna elettorale e le inchieste giudiziare sui politici ad orologeria non aiutano certo a tenere calma la piazza.
Da una parte e dall'altra saltano i nervi in continuazione e anziché parlare di temi ci si fronteggia dileggiando l'avversario politico che diventa un nemico.
Del resto poco possiamo pretendere se un presidente di regione crede di essere un simpatico bulletto a definire la Presidente del Consiglio una stronza.
Come si pretende poi che i toni non si alzino in ogni provincia del Belpaese e si arrivi a una deriva lessicale imbarazzante che a Firenze, ad esempio, ha costretto il candidato sindaco Schmdt a sporgere denuncia a un avversario politico che per tutta risposta è stato premiato con un assessorato.

Ascoltiamo il Presidente Mattarella che gli anni di piombo degli anni '70 li ricorda bene avendo i capelli canuti: abbassiamo i toni.
 


 

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