In tempi lontani le chiese per Natale erano stracolme di persone, mi chiedo se, ora, nell'era digitale dove c'è posto per tutto, se esiste ancora la percezione del valore spirituale di questa festa? Difficilissima risposta che lascio ai lettori, ai quali propongo tre stralci di libri relativi alla “Festa più bella dell'anno”, di qualche tempo fa.
Don Carlo Celso Calzolai ricorda il suo Natale di bambino nel paese di Borgo: In tutte le chiese del paese si fanno le novene di Natale; dalla monache, il cappuccino intona e rispondono dall'alto delle grate le suore. La voce sembra venire dal Paradiso.
La vigilia di Natale tutti mangiano di magro. Si sente dire: “Chi non fa la vigilia di Natale, corpo di lupo e anima di cane”. Si preparano i cappelletti. In ogni madia c'è un ciambellone ed in ogni vetrina un panforte. Senza di questi non sarebbe Natale.
Dalle nove suonano (le campane) continuamente per la messa di notte. Tutte le chiese restano chiuse, soltanto la pieve è aperta e illuminata. Gesù Bambino è già sull'altare, coperto da un fazzoletto bianco; al Gloria, il Nicci lo toglierà e Gesù verrà a sorridere a tutti. I Confratelli delle Compagnie cantano il Mattutino. Beppe del Vigiani, governatore dei Rossi, legge le profezie; il Rinaldi, capo degli Azzurri, intona il Te Deum; spetta al priore di Olmi cantare la messa. Alla fine il pievano porta Gesù in culla nel presepio, prima lo dà a baciare. Molte donne piangono, tutti cantano “Tu scendi dalla stelle...”.
Le stelle stanotte sono più lucenti, ma il cielo minaccia la neve. È tanto bello il Natale bianco!
Tratto da: C. C. Calzolai – Borgo San Lorenzo nel Mugello, Firenze 1974.
Il professor Vittorio Messeri con delicatezza unica, parla di sensazioni e sentimenti, che il Natale gli richiama alla mente: Con il passare degli anni molti sentimenti mutano di intensità, altri di nuovi e sconosciuti ne nascono, molte emozioni svaniscono, altre prendono il posto di quelle già sopite, ma la trepidazione che arreca il Natale rimane invariata in questo mio cuore che invecchia, mi prende con la stessa intensità di quando ero un bambino, tra mura e ambienti diversi, sotto sguardi ormai lontani come l'eternità... Ricordo il fremito e l'incanto che mi pervadevano alle luci delle candele accese sull'abete, che allora mi pareva un albero altissimo e quelle del presepio raccolto su un tappeto di muschio, che allora mi pareva un prato.
Il suono della campana, che annunciava l'inizio della festa, quel profumo di resina e d'incenso che si diffondeva nella stanza, quando, dopo la preghiera recitata davanti alla Capannina, venivano spente le candele e riaccese le luci per scartare i pacchetti. Era un sogno, una parentesi di vita che sapeva di paradiso, di mistero, di pace, di serenità...
Tratto da: V. Messeri – L'Asprosordo, Firenze 1995
Un ricordo vivo e indelebile di “qualche tempo fa”: “Tra poco gl'è ceppo”, “Ti auguro buon ceppo” dicevano i nostri nonni quando si avvicinava il Natale. È noto, come nelle campagne, la vigilia della festa, in tutte le case veniva messo sul focolare un grosso tronco, conservato proprio per questa occasione e che serviva a scaldarsi durante le notte santa. Certo è, che il ceppo ha caratteristiche più magiche che religiose. Infatti, le sue ceneri erano ritenute dono del cielo capaci di aiutare la fertilità di uomini e donne, degli animali e dei campi; i carboni si tenevano da parte per combattere la grandine e la tempesta.
E a proposito della notte di Natale, era accettata l'idea che i nonni trasmettessero ai nipoti o alle nipoti il dono della veggenza, della guarigione attraverso le mani e della rabdomanzia, cioè di trovare le vene d'acqua servendosi dell'energia dei legni. In tempi lontani, in questa notte, gli innamorati gettavano foglie d'ulivo sulla brace ardente e se queste si giravano e rigiravano a lungo, si aveva la prova della fedeltà dell'amata o dell'amato.
Vecchi, grandi e piccini si riunivano attorno al focolare e afferrate le molle battevano sul ciocco da dove si sprigionavano nuvole di scintille (monachine) e ognuno intrecciava auguri, auspici e preghiere, incantamenti e magie, che venivano risucchiate dalla cappa del camino schizzando verso il cielo in compagnia delle faville. Il ceppo rappresentava il simbolo dell'unione del cielo e della terra con la luce; dell'unione della famiglia con il fuoco e portatore di flussi positivi nella casa e nella terra. Il mese si chiudeva con una grande serenità nel cuore.
Tratto da: A. Altieri - La grande vallata, Borgo San Lorenzo 2022.
Articolo di Alfredo Altieri