
Ciò che sta accadendo negli ultimi giorni tra Stati Uniti, Ucraina e Russia – non è un caso se la parola Ucraina è stata inserita in mezzo: rispecchia la sua posizione geografica, ovvero schiacciata e quindi, come si vedrà, spartita dalle due superpotenze nucleari – potrebbe sembrare una barzelletta, e invece è pura realtà.
Dopo tre anni di guerra, senza l’ombra di un negoziato di pace, e con Europa e USA che hanno mantenuto in piedi l’esercito di Kiev grazie a lauti aiuti militari – senza però riuscire a fermare l’avanzata di Mosca, che occupa territori di cinque regioni a est del Paese slavo, per l’equivalente di circa il 20% del territorio – siamo arrivati a una possibile svolta: gli Stati Uniti hanno finalmente trovato il modo di guadagnare.
Proprio così. Donald Trump, di nuovo presidente in carica dopo quattro anni a guida Joe Biden, ha proposto al suo omologo Zelensky di sottoscrivere un accordo vantaggioso – per lui. Questo nasce dalla priorità del tycoon di rimpinguare le casse dello Stato dopo che gli Stati Uniti hanno finanziato l’Ucraina in guerra. L’accordo prevede la costituzione di un fondo comune gestito da entrambi i Paesi firmatari, su cui verrà versato il 50% dei proventi derivanti dalle future estrazioni delle risorse naturali dello Stato invaso. Parte di tali ricavi andrà a finanziare la sua ricostruzione, mentre l’altra verrà spartita tra i due Paesi.
Inizialmente la proposta di Trump consisteva nel ricevere l’equivalente di 500 miliardi di ricavi, ma Zelensky, vista l’enormità della cifra, rifiutò. Il testo definitivo, che doveva essere approvato venerdì scorso durante la visita di Zelensky alla Casa Bianca – saltata per l’acceso scontro verbale avuto con Trump e il vicepresidente Vance – non menziona i 500 miliardi, anche se si tratta comunque di una cifra astronomica, ma neanche garanzie di sicurezza esplicite per la difesa di Kiev.
L’idea dell’accordo con gli Stati Uniti sulle risorse naturali venne in mente a Zelensky nel tentativo di propiziare la Casa Bianca a continuare ad aiutare l’Ucraina. La bozza definitiva, però, non fa riferimento, o lo fa in maniera piuttosto ambigua, agli aiuti da destinare alla guerra. È questo il motivo centrale dello scontro tra Trump e Zelensky, dove il primo chiede la pace immediata tra i due Paesi in conflitto – senza dare alcuna garanzia all’Ucraina sugli oblast occupati – mentre il secondo ha la necessità di sapere se l’integrità statale del Paese che amministra verrà mantenuta.
Lo scontro, come è possibile vedere dal video trasmesso dalla gran parte dei canali d’informazione, ha avuto inizio quando Vance ha dichiarato che Trump sta cercando di risolvere la guerra tramite la diplomazia. Zelensky allora ha controbattuto ricordando che nel corso dell’ultimo decennio Putin ha più volte violato gli accordi, sottintendendo che solo con l’uso della forza è possibile debellarlo. A quel punto è intervenuto Trump, che con toni accesi ha accusato il presidente ucraino di stare giocando con la Terza guerra mondiale, e che solo grazie al suo operato è possibile risolvere la situazione.
E qui si arriva al fulcro della questione. Putin è inamovibile: non rinuncerà mai ai territori occupati dai suoi militari in Ucraina. Qualunque accordo preveda l’integrità territoriale di Kiev, Crimea compresa, la Federazione Russa lo farà saltare, e la guerra continuerà a mietere vittime. Dal canto suo, Zelensky non si ritirerà dal conflitto fino a quando l’Ucraina non avrà il controllo su ogni centimetro della propria terra. In base a queste due posizioni, il conflitto non avrà mai fine.
Ed ecco che interviene Trump, interessato soltanto a fare gli interessi dell’America e a intestarsi il ruolo di pacificatore, ignorando il fatto che un Paese democratico ed europeo abbia subito una vera e propria aggressione, con conseguente mutilazione territoriale. Il presidente plurimiliardario, come si suol dire, vuole prendere due piccioni con una fava: essere ripagato per gli aiuti militari forniti all’Ucraina tramite i proventi delle terre rare e, al contempo, dare a Putin ciò che desidera: la parte est del Paese.
Cosa ci guadagnerebbe Kiev? Un bel niente. Trump dimentica che gli ucraini si sarebbero difesi dall’aggressione russa anche senza aiuti; nessuno ha obbligato l’Occidente a fornirgli supporto militare e logistico. I leader europei e quello americano Biden hanno preso le loro difese perché guidati dall’idea che nessuno può arrogarsi il diritto di invadere un Paese sovrano – bisogna dirlo: con tanto di ipocrisia, vista la questione della Palestina, non ancora riconosciuta dai Paesi occidentali – e che valori quali la libertà di scegliere con chi stare (l’Ucraina ha chiesto di entrare a far parte della NATO e dell’Unione Europea) devono essere garantiti anche a costo di ricorrere alle armi.
L’Occidente ha aiutato l’Ucraina per mantenere saldi i principi di cui si fa portatore, e non in vista di un guadagno immediato, sposando la linea dell’Atene antica e democratica, che finanziava guerre per esportare il concetto di democrazia là dove ce ne fosse bisogno. Al contrario, Trump si fa beffe dei principi che guidano la nostra parte di mondo – nel litigio avuto alla Casa Bianca ha chiamato stupido Joe Biden per aver trasferito centinaia di miliardi di dollari nelle casse dell’Ucraina senza garanzie di ritorno – mantenendo una linea incentrata sulla cura del proprio cortile.
La domanda che preme fare, che è poi la stessa che tutti si chiedono da tre anni, e su cui verte l’intera vicenda, è se sia possibile lasciare che i più forti possano ottenere ciò che vogliono con la forza, senza che nessuno li contrasti. La maggior parte dei Paesi europei risponde negativamente, infatti è andata, e continua ad andare, in difesa di Kiev.
In conclusione: dove inizia e dove finisce l’etica della difesa, soprattutto oggi, dove esiste il rischio di una bomba atomica? Fino a dove è possibile spingersi in un conflitto contro la Russia, uno dei Paesi più potenti al mondo? E poi: è possibile arrivare al tavolo delle trattative da una posizione di forza, considerando le migliaia di testate nucleari possedute da Mosca? La fine sembra sempre vicina, ma ogni volta tarda ad arrivare, e gli interrogativi sono sempre lì, a renderci sicuri e incerti allo stesso tempo.
Ciò di cui possiamo essere certi è che senza gli Stati Uniti l’Ucraina collasserà in poco tempo, con conseguente perdita di altre vite umane e infrastrutture distrutte, a meno che alcuni Paesi europei non intendano inviare truppe sul campo di battaglia, come già caldeggiato dal presidente francese Macron. A quel punto, il conflitto potrebbe allargarsi, con conseguenze imprevedibili.
Articolo a cura di Paolo Insolia