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Quattro generazioni di fiorentinità

Tradizione, passione, sacrificio, calore. Il cuore pulsante di Firenze batte forte in via Rosina. Romeo, Carolina e Francesco ci sono, nonostante tutto.

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Romeo, Carolina e Francesco Romeo, Carolina e Francesco © Nadia Fondelli
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Soffitto a cassettoni “originario del cinquecento” ci tiene a puntualizzare Romeo, risalente a quando in quest'angolo di via Rosina c'erano le vecchie stalle del palazzo del Gatamelata; grandi tavoloni e sedute in legno di quando (prima del covid) “desinare” tutt'insieme era una regola della Firenze autentica; quella di sorrisi sinceri e quattro generazioni di passione per il buon convivio e per Firenze.

Non per niente questa volta il nostro giro per botteghe ci porta nel cuore pulsante di San Lorenzo, sull'angolo della piazza del Mercato e in faccia al grande mercato dove fino a inizio anno pullulavano codazzi di orientali col naso all'insù, frotte di giovani studenti yankee e un popolo cosmopolita di forestieri, turisti pret a porter e viaggiatori per diletto consapevoli che fra le viuzze strette che incorniciano le bancarelle dietro le cappelle medicee c'è ancora la Firenze vera.

Un silenzio difficile da sentire nella piazza se non fosse per il movimento del mercato “resistente”; quello bottegaio del pian terreno. In quest'atmosfera anomala ci accoglie il sorriso di Carolina che apre la porta della bottega “per noi è normale dire così!”.
E' quasi una poesia quella parola desueta nella Firenze vetrina degli ultimi anni di troppo turismo. Una parola che ha il calore di una buona coperta di lana, di quella spessa che quasi bucava sulla pelle che si usava negli anni poveri ma felici del primo dopoguerra. Gli stessi anni in cui Romeo, Amelia e il figlio Mario inaugurarono la loro attività.
Era il 1953 quando in via Rosina s'inizio a mescere vino per i facchini, i macellai e gli ortolani del mercato; poi nel 1957 dopo il matrimonio di Mario la bottega divenne anche una trattoria dove si servivano i piatti della tradizione: zuppa di fagioli e verdure, trippa alla fiorentina, pappa al pomodoro, spezzatino, baccalà il venerdì.

Entriamo e incontriamo oltre a Carolina suo fratello Francesco e Romeo: nell'ordine quarta e terza generazione di casa.
Le botteghe che cerchiamo di farvi scoprire, quelle oggi più che mai tornate nel cuore di tanti, quelle che durante i mesi più difficili ci hanno coccolato, rasserenato, sostenuto e incoraggiato sono tutte racchiuse in queste tre bei volti fiorentini.
Francesco versa il vino nel peposo che sobbolle, così come il mitico sugo di casa, “quello vero che servono quattro ore per cuocere” e racconta che quando era bambino diceva agli amichetti che il babbo andava in bottega senza in realtà nemmeno sapere che lavoro facesse. Ma la bottega a Firenze è qualcosa di speciale.
Carolina apre il forno e controlla l'arista, babbo Romeo invece con il sorriso sereno di chi ha la forza della consapevolezza racconta la Firenze di oggi e di ieri mentre trova ancora, nonostante il covid, la voglia di ironizzare su questa strana forma di ristorazione d'asporto e immagina che la nostra città quando tutto sarà finito dovrà ripartire dallo spirito del 1966 quando nonostante il fango che impiastrava le speranze e la nafta che rimaneva nel naso per mesi si trovò la forza di rimboccarsi le maniche e rialzarsi.

Fuori sulla vetrina della bottega anche il cartello che annuncia la cucina d'asporto ha stile “l'asporto è a godere” e il consiglio è che “la nostra roba l'è bona anche se vu ve la riscaldate pe' cena”.

Il sarcasmo non manca mai quando batte forte il cuore di Firenze che ama e abbraccia questa quattro generazioni di ristoratori che nonostante la piazza deserta e la sparizione totale di forestieri di ogni dove non fa sentire soli Romeo, Carolina e Francesco.
Perché alla trattoria da Mario non si è mai voltato le spalle ai fiorentini e non si è mai abbandonato la tradizione optando per menù più acchiappaturisti. Non si è mai tradito il sacrificio e il sudore di Romeo, Amelia e Mario e si è sempre ricordato che Firenze è per i fiorentini prima di tutto.
E i fiorentini anche se fingono indifferenza lo sanno bene e adesso idealmente abbracciano Romeo e i suoi figli portandosi a casa - ebbene sì in questa zona esistono ancora residenti – indimenticabili lasagne e rassicuranti braciole che così si fanno dal 1953 per far sentire loro che non sono soli e che vale la pena aprire bottega ogni mattina.
In attesa che tornino tempi migliori dove sedersi ancora insieme allo stesso tavolo a ridere, scherzare, prendersi in giro brindando con un bel bicchiere di rosso toscano.

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