A cento anni dalla fine del conflitto che ha inaugurato la modernità, ancora, e forse mai più di ora, è importante ricordare - Fino al 29 novembre è possibile visitare la mostra, gestita da Elisa Fiorelli, sulla Prima Guerra Mondiale, presso la casa di Giotto a Vespignano. Elisa Fiorelli è una giovane appassionata che in quindici anni ha reperito moltissimo materiale tra fotografie, cartoline, lettere, oggetti come elmetti o pale per la neve ed ha allestito una bellissima mostra, arricchendola anche di didascalie, poesie, citazioni da grandi libri come “Un anno sull’altipiano” di Emilio Lussu. Dalle parole sulle varie didascalie che accompagnano gli scatti, è possibile farsi un’idea di cosa può esser stata la guerra non solo nella realtà, ma anche e soprattutto nell’immaginario di chi l’ha combattuta. Guerra: l’unica regola è uccidere il nemico. Ma perché lo è, e chi è il nemico per un ragazzo di appena venti anni di età, che è sempre stato con la sua famiglia a coltivare la terra? L’Italia del 1914 non è interventista. La maggior parte degli italiani non è interessata alla guerra, vista come un’ingente perdita di forza lavoro. C’è una piccola elite di giovani intellettuali e di politici, però, che hanno a noia la pace. Fanno parte di una generazione che non ha conosciuto la guerra e neanche i loro padri l’hanno vissuta, non potendone perciò trasmettere il ripudio. Questi giovani si formano perciò in un ambiente permeato di un classicismo patriottico e ben presto nazionalista che vuole la penisola italiana forte e influente come una volta, la vuole cioè una delle grandi potenze europee. All’indomani del 1915, sulle riviste vengono pubblicati articoli contro o a favore l’entrata dell’Italia in guerra, fino a che gli accordi tra Salandra e Sonnino e la Triplice Intesa non sono firmati. Da questo momento tutto tace, vinto e schiacciato dal rumore assordante dell’artiglieria. Ma chi è che indossa la divisa e che prende in mano le armi? Sicuramente coloro che si arruolano volontariamente, cioè gli interventisti, e cinque milioni di uomini, ragazzi e ragazzini di appena sedici anni, che subiscono le decisioni di una piccola minoranza politica e intellettuale. Fuori da questa minoranza schiacciante c’è una piccola parte di anti interventisti, ma soprattutto ci sono i neutralisti: sono coloro che non dicono né sì e né no, coloro che decidono di non schierarsi. Così, milioni di italiani che neanche immaginavano cosa fosse una guerra, si trovano soffocati nel fango e nel fetore di morto delle trincee, combattono una guerra statica ed estenuante, perdono decine, centinaia, migliaia di compagni in pochi giorni, per conquistare solo pochi metri di territorio. Vivono insieme alla morte, che diventa per loro familiare pur restando orribile e temutissima. I soldati mutilati negli ospedali sono costretti a scrivere nelle lettere “Sto bene”, “sto molto bene”, “non è niente di grave” per far sì che vengano spedite. Molti imparano ad uccidere prima di aver amato, e molti muoiono senza aver conosciuto l’amore. La morte diventa ben presto l’unico vero nemico dei soldati di ogni schieramento. Tutto questo e molto altro ancora emerge dalle fotografie, dalle didascalie, dalle lettere della mostra, curata con moltissima attenzione e passione. Attraverso tutte le testimonianze raccolte, magari donate da famiglie mugellane, Elisa ci invita a ricordare. E’ importante ricordare perché certi comportamenti, come l’indifferenza politica, hanno causato tragedie e hanno portato molte persone ad accecarsi con la luce prepotente di chi decide le sorti di tutti, quando restare nell’umbra di chi non sceglie non è più permesso. E’ importante ricordare perché il nostro presente “scontato”, pacifico e democratico, è stato costruito da coloro che hanno vissuto esperienze tragiche e le hanno guardate con disgusto, pensando e costruendo perciò un futuro migliore per i propri figli e per l’umanità dell’avvenire. Il nostro presente “spensierato” potrà essere preservato solo continuando a trasmettere alle nuove generazioni certi valori, come uguaglianza e pacifismo, e leggendo per poi raccontare certe storie, molte delle quali si possono conoscere anche alla mostra e che forse lasciano più consapevolezze di qualsiasi manuale di storia.