E’ passato quasi un mese dall’inizio della mia esperienza Erasmus a Madrid, il caotico centro spagnolo, che può dimostrarsi tanto dispersivo (a causa della sua grandezza e freneticità) quanto accogliente, grazie alla calorosa cultura degli abitanti spagnoli, sempre disponibili e aperti verso il prossimo.
Eppure, proprio quella cultura guidata dall’unità assoluta, è sottoposta a dura prova in questi giorni: da quando ha iniziato a farsi spazio il progetto concreto di un referendum riguardante l’indipendenza della Catalogna, la Spagna è stata attraversata da un’ondata crescente di tensioni.
Il tutto si è inasprito una ventina di giorni fa, nella notte tra il 6 e il 7 settembre, quando il Parlamento catalano ha decretato l’approvazione della legge per convocare il primo di ottobre il referendum sulla secessione della Spagna. Immediata e infuocata è stata la risposta del primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy, che ha affermato: “Questo voto non si celebrerà in alcun caso”; “è un chiaro e intollerabile atto di disobbedienza alle nostre istituzioni democratiche.”
Da quel momento, il governo spagnolo ha dato ordine all’avvocatura dello Stato di presentare un “immediato ricorso di incostituzionalità” e denunce penali contro Puigdemont (presidente della Generalitat de Catalunya), il governo catalano e i membri della presidenza del Parlamento catalano. Vi sono stati arresti, tumulti e una miriade di manifestazioni in tutta Spagna, sia a favore che contro la secessione. Quest’ultime, in particolare, sono state numerose anche a Madrid, alle quali ho personalmente assistito: centinaia di persone riunite a Puerta del Sol, con striscioni proclamanti l’unità e l’unicità della Spagna.Adesso che mancano pochi giorni al fatidico referendum (sul cui destino e sulla cui validità ci sono ancora molti dubbi), il dibattito si fa sempre più infuocato. A tal proposito, mi ha colpito molto un articolo scritto tre anni fa da Enrique Gil Calvo, docente di Sociologia dell’Università presso la quale sto attualmente svolgendo i miei studi, l’Universidad Complutense de Madrid.
Il titolo e il sommario dell’articolo sono già evocativi della posizione del docente: CONTRO IL DIRITTO DI DECIDERE - la maggioranza non può togliere la cittadinanza ai catalani che vogliono essere spagnoli. Ciò che viene criticato nell’articolo non è nè il diritto di decidere per sè stessi (in quanto base inviolabile dell’autonomia personale) nè la “regola della maggioranza”, uno dei principi base dei regimi democratici. Ciò che, invece, viene contestato, è la prerogativa di poter decidere per gli altri su questioni di enorme importanza, come, appunto, la cittadinanza.
In mancanza di meccanismi decisionali alternativi, è incontestabile la necessità dell’utilizzo della regola della maggioranza per prendere le decisioni nelle odierne società democratiche. Tuttavia, tale regola è sottoposta ad un limite: può (anzi, deve) essere utilizzata fino a quando non pregiudica i DIRITTI PRIVATI INALIENABILI delle minoranze. Questi ultimi non possono essere intaccati, altrimenti verrebbe oltrepassato il confine invisibile della libertà personale dell’individuo ("la tua libertà finisce dove inizia la mia", come recita la regola kantiana).
Vi sono, in sostanza, alcuni diritti fondamentali che nessuna maggioranza (per quanto legittima) può opprimere, negare e/o violare, tra i quali rientra anche il diritto alla determinazione della propria identità (uno dei cui pilastri fondamentali è proprio la cittadinanza): senza un’identità a cui fare riferimento, diventa molto difficile orientarsi e muoversi nel mondo attuale, visto che esso è, purtroppo o per fortuna, ricco di numerose variabili.
Termino questo articolo/riflessione con una domanda che mi sta vorticando in testa da giorni, tra una tapa e l’altra: come si può privare della cittadinanza spagnola i cittadini catalani che si sentono ANCHE spagnoli? O, ancor peggio, i cittadini catalani che si sentono INNANZITUTTO spagnoli?