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Strage deposito Eni a Calenzano: non si parli di fatalità!

La strage era annunciata? La domanda è perché non è stato fatto niente quando si sapeva? Chi sta versando lacrime di coccodrillo?

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Il disastro di Calenzano Il disastro di Calenzano © facebook
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La piana fiorentina massacrata e violentata. Prima l'acqua e poi il fuoco.
Che la zona fosse una delle più massacrate d'Italia per il consumo di suolo e la cementificazione selvaggia era noto e ve ne abbiamo ampiamente parlato all'indomani della tragica alluvione di un anno fa con dettagliati reportage, che potete trovare nei miei editoriali. Tragicamente nemmeno molti residenti sapevano però di convivere accanto a una bomba che poteva esplodere in ogni momento. Ed è andata bene, basta pensare cosa poteva succedere se ad esplodere era una cisterna, o più di una......

Nel momento in cui Firenze per la seconda volta in un anno è protagonista di un tragico incidente sul lavoro e nel momento in cui si contano ancora i morti e dispersi e si soccorrono i feriti è doveroso anche iniziare a interrogarsi sul perché tutto questo è successo, soprattutto perché molti adesso parlano di una strage annunciata.
In ben due occasioni erano stati sollevati molti dubbi sulla presenza della struttura, lì in quel sito.

Il primi cattivi pensieri sono stati espressi in un'intervista curata da Gian Luca Garetti e datata 3 novembre 2020 (leggi qui) uscita su "La città invisibile" quando il ricercatore del Cnr Maurizio Marchi di Medicina Democratica parlava dei rischi di questo sito.
Nell'articolo si legge: "I principali rischi sono, a mio avviso di quattro ordini: 1: incidenti catastrofici (esplosioni, anche a catena, incendi) 2: sversamenti “silenziosi”, prolungati nel tempo, come già avvenuto a Livorno, al sito Eni di Pomezia e probabilmente in altri siti petroliferi non solo Eni, a danno delle falde idriche 3: l’impatto sulla salute dei lavoratori e dei cittadini circostanti gli impianti 4: i consumi petroliferi diffusi sulle strade, nelle città (pensiamo allo stato pietoso in cui versa il centro di Firenze con il traffico di auto e scooter …)".

Due anni dopo, per la precisione nel giugno 2022 è lo stesso comune di Calenzano, dove si trova il sito, a richiedere un approfondimento che evidenziava chiaramente i rischi.
Uno studio basato sulle rilevazioni Arpat (l’Agenzia Regionale per la protezione ambientale della Toscana) che potremmo definire un perfetto manuale di quello che in protezione civile viene definito "rischio industriale" evidenzia la presenza di due insediamenti classificati come «a rischio di incidente rilevante»; tra questi, spicca proprio il deposito Eni situato in via Erbosa e che si trova la confine con i comuni di Campi Bisenzio, Prato e Sesto Fiorentino.
Una struttura di grandi dimensioni che occupa una superficie di 170.300 metri quadrati ed è strategica per la rete italiana dei carburanti.

Lo studio lo evidenzia molto bene la sua collocazione definita particolarmente critica per la vicinanza a importanti infrastrutture regionali e nazionali.

La ferrovia si trova a poche decine di metri, l’Autostrada del Sole A1 a circa 800 metri, mentre la A11 Firenze Mare dista un chilometro e mezzo. Anche l’aeroporto di Peretola è molto vicino, a poco più di 5 chilometri dal deposito. Ma non è tutto: nelle immediate vicinanze ci sono due centri commerciali, uno dei quali tra i più grandi d’Italia, che fortunatamente oggi non sono stati coinvolti nell’incidente.

Non vogliamo nemmeno immaginare – e lo ripetiamo – cosa sarebbe potuto accadere se le fiamme non fossero state circoscritte al solo impianto di carico e l’esplosione avesse coinvolto anche le cisterne. L’area è fortemente urbanizzata, sia a livello industriale che civile, e nei pressi dell’impianto scorrono due corsi d’acqua, il Garrille e il Marina. Il primo è proprio adiacente ai confini dello stabilimento, aumentando esponenzialmente il rischio di contaminazione delle acque.

Un rapporto chiaro e dettagliato includeva un piano d’emergenza con aree ben definite attraverso zone di colore diverso.

  • La zona rossa, la più vicina all’impatto, ha un raggio di 80 metri dal punto dell’evento. Qui possono operare esclusivamente i vigili del fuoco, ma chi si trovasse in questa zona durante l’incidente sarebbe esposto a un rischio di letalità elevato. È definita la zona di "sicuro impatto".
  • La zona arancione, detta "zona di danno", ha un raggio di 130 metri. In quest’area, chiunque si trovi è a rischio di effetti sanitari irreversibili. Non vi sono edifici residenziali, ma l’area include il passaggio della ferrovia della linea Bologna-Firenze.
  • Infine, la zona gialla, denominata "zona di attenzione", copre un raggio di 200 metri dall’evento. Pur presentando un rischio più contenuto, può comunque causare danni reversibili, specialmente in soggetti fragili.

Tutto questo era noto. Ogni rischio era stato messo nero su bianco, in maniera dettagliata e comprensibile. E allora perché è accaduta la tragedia? Il rischio è stato sottovalutato? Perché si è deciso di costruire in un’area così vulnerabile? E ora, chi piange lacrime di coccodrillo?

Domande che esigono risposte, nel rispetto e nel ricordo delle vittime, più che mai necessarie.

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