Ultimamente, carta stampata, informazione televisiva e radiofonica, si sono “accorte” delle scarse nascite nel nostro Paese e si sono fatte varie ipotesi e piccoli cambiamenti per cercare di invertire la tendenza. Per la verità, negli anni, di tanto in tanto è stato evidenziato il problema, un problema che era già noto vent'anni fa e che si è risolto sempre con un nulla di fatto. Una recente indagine ci informa che il 68% delle lavoratrici dipendenti in Toscana, ha chiesto la modifica del contratto dopo la nascita dei figli, ottenuta del 25%; il 90% vorrebbe un aiuto dalla propria azienda, ma appena il 10% lo ha ricevuto.
Come si vede, sono molte le difficoltà da superare e ho il sospetto, che anche questa volta, fra poco tempo non si sentirà più parlare di questo, sostituito da altre difficoltà irrisolte. Confesso, che spero di sbagliarmi. Però, mi viene spontanea una battuta: Ci si accorge e si chiude la porta della stalla, quando i buoi sono scappati e da tanto !
Questa riflessione, però, mi ha dato lo spunto per “rovistare” indietro nel tempo e sorridere un po'. Come? Rivisitando com'era il rapporto mamma-bambino nella nostra regione, qual era la protezione del nascituro, gli accorgimenti messi in atto per un suo futuro migliore e vedere come fosse diverso e a tratti molto particolare il loro legame, ma sempre “condito” da grande amore.
Cominciamo col dire, che nella nostra regione, si evitava di concepire nei giorni ventosi oppure vicini a solenni festività come il Natale e la Pasqua, per evitare che il bambino crescesse superbo e violento. Quando una donna incinta non poteva soddisfare il desiderio di mangiare un frutto o una pietanza particolare, si dava una pacca sul sedere, in tal caso “la voglia” si sarebbe impressa nelle natiche del bambino.
Era ritenuto per sempre fortunato, il fanciullo che veniva alla luce “con la camicia” (la placenta) e fatto segno di attenzioni particolari; in alcune zone questa veniva essiccata, cucita in un sacchettino e messa al collo a protezione del bambino. Nelle campagne della Valdichiana, le aspiranti mamme chiedevano a Sant'Anna o a Sant'Elisabetta di partorire il figlio con la “camicia” e se ciò accadeva, questa doveva essere in parte conservata e una parte bruciata; le ceneri, poi, venivano gettate in un fiume da un ponte dove c'era un tabernacolo con l'immagine della Madonna o nell'acqua di una sorgente dedicata alla Vergine. In altre zone della Toscana, la placenta aveva valore di talismano e si usava nasconderla sotto il focolare se di una femmina, o farla beccare dagli uccelli se di un maschio.
Le protettrici delle partorienti, come è noto, erano la Madonna, Sant'Anna e S. Margherita, che venivano invocate al momento del parto. Mentre, una figura particolare è quella di San Torello, che riguarda una sola una della nostra regione e specificatamente quella di Poppi, nel Casentino, dove il santo veniva implorato dalle donne sopra parto, perché San Torello si prendeva per sé tutti i dolori e le salvava dai pericoli connessi alla maternità; ma, ad onor del vero, le donne casentinesi pregavano San Torello anche per trovare marito.
In un paese del nostro Appennino mugellano, invece, le donne si raccomandavano a Santa Reparata, patrona e protettrice delle partorienti del luogo e recitavano questo motto bene augurante: Santa Reparata, che l'uscita sia dolce come fu l'entrata.
A Monterchi, nell'Aretino, le donne del paese in attesa di un bimbo facevano una breve processione e raggiungevano l'Oratorio della Madonna del Parto, e davanti a quello splendido affresco imploravano protezione durante il travaglio.
Se il nuovo nato era bruttino, l'amor di mamma lo vedeva, sicuramente, bello da grande: “brutto in fasce, bello in piazza”. Una credenza popolare toscana indicava “l'uomo salvatico” come un essere molto pericoloso per i bambini; per questo motivo, in alcuni luoghi della regione, era uso che tre uomini vegliassero sulla porta di casa della partoriente, muniti si scope e nodosi bastoni per cacciarlo.
Quando il bellico del neonato cadeva, sia le mamma che la balia raccoglievano la parte secca e la depositavano sotto una pietra del focolare; con questo gesto, il bambino sarebbe cresciuto buono, non sarebbe mai caduto e non sarebbe scappato di casa. Nelle campagne fiorentine per assicurare lunga vita al nascituro e tenerlo lontano dalle convulsioni, il primo venerdì della sua nascita da una pianta sempre verde, il sopravvivolo, veniva estratto il succo e fatto bere al piccolino.
In Mugello, nella prima vestizione di un maschietto, era tassativamente vietato fargli indossare indumenti o guarnizioni di seta, che avrebbero potuto nuocere alla sua mascolinità; era regola, poi, che il neonato, di qualunque sesso, portasse al polso un braccialettino di corallo rosso almeno per un anno, per proteggerlo dal malocchio. Sempre per tener lontane le malie, veniva messo fra le fasce del nascituro un sacchettino guarnito di pagliuzze e stelline d'oro con le iniziali di Gesù e della Madonna.
Una attenzione particolare doveva prestare la madre quando allattava, affinché non cadesse per terra nemmeno una goccia di latte, altrimenti il prezioso alimento si sarebbe “sdegnato” e a proposito di questo alimento, quando per il troppo latte le mammelle della madre si inturgidivano, avevano cioè il “male del pelo”, si faceva ricorso a uno strano rimedio: sopra la mammella dolente veniva messo un pettine d'avorio. In tutte le zone della regione, spesso ci si rivolgeva a un guaritore per far tornare il latte e una delle soluzioni consisteva nel far bollire in un paiolo un mazzo di “restone” (una varietà di frumento), poi l'acqua veniva travasata e messa in un catino e si facevano impacchi alle mammelle della nutrice, dopodiché si massaggiavano con il mazzetto di spighe di grano restone, che doveva essere raccolto tassativamente il giorno dell'Ascensione.
Nel Valdarno, i “mediconi” per far tornare il latte alle partorienti succhiavano il capezzolo della donna e le raccomandavano di pregare la Madonna delle Fonti e di bere l'acqua di una fontana che si trovava nelle campagne di Montevarchi. Nel Senese, invece, le neo-mamme si recavano a Semifonte, presso la Fonte di Santa Caterina, venerata per antica tradizione in quanto ritenuta “miracolosa” per il latte materno.
Un ultima curiosità: Fra il 1400 e il 1500 i maestri ceramisti toscani crearono dei piatti destinati alle donne di alto rango che, dopo aver partorito, dovevano subito essere rifocillate; questi manufatti, quasi sempre dipinti da entrambe le facce, anche da pittori famosi, venivano chiamati Desco da Parto oppure Scodelle da Puerpere.